di Christian Marazzi
Non è un tema molto dibattuto, almeno in pubblico, eppure per la scienza economica e la sua credibilità è una questione assolutamente cruciale. Da qualche anno a questa parte, la produttività del lavoro è un indicatore che fa a dir poco difetto, è una unità di misura che non riesce più a misurare la reale efficienza del lavoro, il che non è cosa da poco se solo si tiene conto del fatto che le negoziazioni sui salari fanno sempre riferimento agli indici di produttività. Di solito per produttività del lavoro si intende il PIL per ora lavorata. Ebbene, tra il 2004 e il 2014, specie nei paesi economicamente avanzati, questo indice della produttività del lavoro si aggira mediamente attorno all’1%, circa la metà rispetto alla produttività media dei due decenni precedenti. La combinazione di bassa produttività e di forza-lavoro stagnante a causa dell’invecchiamento della popolazione porta dritti alla stagnazione della crescita economica.
Le spiegazioni ricorrenti di questo crollo della produttività sono diverse: c’è chi sostiene che, ormai, il progresso è finito, nel senso che le rivoluzioni tecnologiche del passato, dall’elettricità all’automobile, non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle più recenti delle tecnologie dell’informazione, perché queste ultime migliorano sì le forme di vita, ma non le cambiano radicalmente (Robert Gordon); c’è chi dice che la crescita del settore dei servizi comporta necessariamente una diminuzione della produttività, dato che nei servizi il fattore umano-relazionale è difficilmente automatizzabile; e c’è chi sostiene la tesi della dismisura (mismeasurement), cioè della crescente difficoltà di misurazione del PIL conseguente alla crescita dell’economia digitale, dove sempre più attività legate ad internet e ai motori di ricerca non appaiono nelle statistiche del PIL (Sir Charles Bean).
Secondo altri analisti, infine, il calo della produttività si spiega anche tenendo conto della diminuzione di nuove imprese rispetto a quelle più mature, oppure alla riduzione dei salari della forza-lavoro qualificata, in particolare in questi anni di crisi, oppure ancora, alla preferenza del lavoro vivo disponile in abbondanza rispetto a nuovi investimenti in tecnologia.
Forse, però, il calo della produttività nasconde qualcosa di più profondo, in parte dovuto alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, in parte, alle nuove organizzazioni dei processi produttivi.
Quello che è aumentato in misura notevole in tutti questi anni è l’interazione, la cooperazione sociale della forza-lavoro, cioè proprio quella produttività che non viene pagata dal capitale, ma che è la vera forza propulsiva della crescita economica.
Fonte: Tysm.org
Originale: http://tysm.org/la-crisi-della-misura/
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