Intervista a Ugo De Siervo di Giovanni Floris
Lei è tra i costituzionalisti che hanno firmato l’appello per il NO per la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi, perché?
"Perché noi di mestiere facciamo i professori di diritto costituzionale, altri hanno fatto i magistrati di carriera, poi molti di noi si sono ritrovati alla Corte Costituzionale, abbiamo dovuto farla rispettare, quindi abbiamo seguito con attenzione quello che avveniva intorno alla revisione della Costituzione sulla base della nostra esperienza, Ahimé noi siamo mediamente dei riformatori che non hanno paura che la Costituzione possa essere adeguata o cambiata. Però seguendo i lavori, leggendo i documenti ecc, ci siamo un pó spaventati, perché c’è molta improvvisazione, molti punti che non tornavano, molte norme ambigue, molte lacune e allora abbiamo detto: attenzione qui stiamo discutendo di modificare più di 40 articoli della Costituzione repubblicana, quindi, voglio dire, un pezzo grosso.
Ma vale la pena di modificarla radicalmente? Stiamo attenti a non introdurre situazioni che per rimediare ad alcune cose combinano guai maggiori e più diffusi."
Ma vale la pena di modificarla radicalmente? Stiamo attenti a non introdurre situazioni che per rimediare ad alcune cose combinano guai maggiori e più diffusi."
E quindi vi siete messi insieme e avete detto di no!
"Molti di noi hanno preso l’iniziativa, abbiamo avuto una cosa molto semplice, abbiamo avuto un grande successo nella raccolta delle adesioni, persone molto rappresentative, larga parte di coloro che hanno fatto parte della Corte Costituzionale, alcuni dei costituzionalisti, non tutti, ma alcuni tra i più noti, tra i più attivi.
Lei dice addirittura improvvisazione.
Lei si ricorda la prima proposta del presidente del Consiglio su come bisognava formare il Senato? Parlava di metterci i sindaci dei comuni capoluoghi di provincia, cioè una roba che non esiste al mondo, non può esistere perché se uno viene candidato al Comune viene candidato per gestire il Comune non certo per fare le leggi della Repubblica che sono tutt’altra cosa."
Poi si è evoluta, si è lavorato tanto.
"Si è evoluta, è cambiata e in qualche misura si è raffinata, anche se – come dire – è molto appesantita per compromessi, dibattiti, uno sull’altro, senza quel minimo di umiltà che ci vuole quando si fa un lavoro del genere. Nell’Assemblea Costituente dove c’erano dei personaggi che venivano da situazioni eccezionali, gente di grande livello, i testi che venivano votati furono visti e rivisti da comitati, sottocomitati, addirittura incaricarono una microcommissione riguardo alla lingua che si era usata, che fosse un buon italiano, perché le Costituzioni devo essere anche leggibili."
Questa volta invece cosa è successo?
"Adesso no."
Adesso la critica che verrà mossa al suo intervento sarà: ma questi sono professori, sono supponenti, mancano del senso della realtà…
"Ma non è vero! Io non parlo male degli altri, di chi la pensa diversamente, e vorrei che anche gli altri facessero lo stesso. Siamo persone che hanno una certa esperienza, che hanno studiato e che hanno fatto anche i giudici. Io insisto su questo, il giudice sa che per tre paroline scritte in un modo o nell’altro si dà ragione all’uno o all’altro. Quindi siamo molto attenti non a quello che può essere la Costituzione ma a quello che è. Ecco, allora a leggere questa revisione costituzionale insieme a qualche soddisfazione…"
Una domanda di scenario: molto spesso si dice “se non passa questa riforma costituzionale mettiamo una pietra tombale sulle riforme. Questa è l’ultima volta che l’Italia può dare la sensazione di voler cambiare, di voler essere più moderna”.
"Ma non è vero! Nella storia italiana della Repubblica dal ’48 ad ora la Costituzione è stata cambiata 15 volte, le leggi di contorno, che si chiamano leggi costituzionali, o che sono equiparate, sono state cambiate 20 volte. Nel 2001 c’è stata una riforma che ha modificato 19 articoli, nel 2005 c’è stata una riforma che voleva modificare più di 50 articoli e per fortuna è stata respinta da un referendum popolare. Questa riforma vuole a sua volta cambiarne 40. Nel 2012 si sono rifatte le norme costituzionali sul bilancio, quindi non è vero … La nostra Costituzione è sottoposta a molti esami critici ma non è che se si boccia una volta non si fa più."
Andiamo nel merito: punto forte della riforma è che se ne va il Senato, non vota più, finisce il bicameralismo perfetto.
"Non è che non si vota più, perché non è stato abolito il Senato, questo deve essere ben chiaro; il Senato è stato depotenziato, è stato ridotto a fare meno cose. Una cosa grossa in meno fa, non da più la fiducia al governo che è un vantaggio per i governi il che non è né diabolico, né nulla, comunque è un vantaggio per i governi. Poi però per tenere in piedi questo organo gli hanno dato tanti altri pezzi di funzioni; un organo per avere legittimazione da una parte deve avere una rappresentatività e dall’altra delle funzioni; ecco, qui le funzioni erano debolucce; intanto c’era la revisione della Costituzione che è una cosa importantissima, e poi gli hanno aggiunto un po’ di competenze legislative piene, sedici materie. Dunque il Senato può votare leggi, queste sedici leggi possono passare solo con il consenso di Camera e Senato. Ma in questa riforma queste materie sono, come dire, un pot pourri, cioè prese un po’ da una parte un po’ dall’altra, soprattutto non toccano il punto decisivo; il punto decisivo sarebbe che il Senato dovrebbe avere più potere laddove si discute di articolazione periferica dello Stato, dove si parla di autonomie regionali e locali e invece quelle competenze non gli sono state date, tutto ciò che il Parlamento dovrà decidere sulle regioni viene deciso dalla Camera dei deputati con solo un parere del Senato. Il Senato decide sui trattati con l’Unione Europea, sulla legislazione fondamentale sugli enti locali, su Roma capitale e quant’altro, cioè su cose marginali relativamente meno importanti, soprattutto poco significative, se il Senato dovesse davvero garantire le regioni, che sono state al contempo molto depotenziate. Poi avrebbe delle fantastiche funzioni di controllo sul governo; però è strano un Senato che non dà più la fiducia al governo ma ne controlla l’operato. E qui c’è un po’ una scissione, una contraddizione."
Riduce i costi della politica?
"I politici, coloro che vivono legittimamente dell’attività svolta per le istituzioni, se sono persone serie, sono decine di migliaia in Italia, togliere duecento senatori vuol dire forse fare una cosa opportuna ma che non cambia proprio nulla; vorrei aggiungere un’altra cosa, questa stessa riforma non tocca ad esempio la straordinaria finanza di regioni speciali come la Sicilia, Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta, che come cifre si può dire sono assai più significative."
Ci sono due approcci contraddittori da parte di chi, come lei, sostiene le ragioni del NO: uno dice che la riforma è stata fatta un po’ col senso dell’opportunità politica immediata, dando dei contentini un po’ ad uno e un po’ all’altro, l’altro dice: qua entra in gioco la democrazia, è una riforma che mette in discussione le basi stesse della democrazia, perché avremo un onnipotente premier che fa quello che vuole con una Camera che gli risponde, nomina il Presidente della Repubblica, nomina la Corte Costituzionale, fa quello che vuole; quindi o la riforma è fatta male, raffazzonata, oppure è un grande piano strategico per distruggere la democrazia.
"Io non sono un catastrofista però certo il governo con la legge elettorale nuova, con l’abolizione della fiducia da parte del Senato, con alcune leggi nuove che può fare su una corsia preferenziale (le leggi che devono essere votate entro 70 giorni) certamente assume, forse anche opportunamente, un forte ruolo istituzionale; il punto più debole di tutto in generale è un altro: questa riforma è una riforma fatta da poco più della maggioranza assoluta dicendo: poi andiamo al popolo per avere il consenso; questo meccanismo è molto pericoloso. Quelle 35 riforme di leggi costituzionali, della Costituzione, che sono state fatte, sono sempre passate, salvo che in quattro casi, con la maggioranza dei due terzi che è la prima grande scelta che fa l’art. 138 della Costituzione, perché la nostra Costituzione fissa le regole del gioco per tutti, per chi è maggioranza e per chi è opposizione. Se noi riduciamo la Costituzione, invece, a una cosa che viene decisa dalla maggioranza politica e poi si va al popolo, noi distruggiamo il concetto di Costituzione. I costituenti più saggi all’epoca della Costituente parlavano di casa comune, la Costituzione deve essere la casa comune in cui tutti si riconoscono, se io forzo troppo la modifica della Costituzione riducendo (il consenso) a chi è momentaneamente maggioranza, per qualche piccolo accordo, per qualche piccola conquista della maggioranza, e poi (faccio) una bella campagna demagogica, stiamo attenti distruggiamo la Costituzione in questo modo."
Sarà così ma se un sostenitore del SI le rispondesse: lei vota con Casa Pound, con Grillo, con Salvini? Questo la fa riflettere?
"No, non mi fa riflettere. Io qui e tanti altri, tanti cittadini che vogliono essere informati sul contenuto di questa riforma, vogliamo confrontarci con il valore della Costituzione; poi strumentalmente ci saranno i partiti di destra, di sinistra, di centro che aderiranno, non aderiranno, faranno gli sgambetti, quella è un’altra dimensione, legittima ma noi parliamo di Costituzione."
Questa è la trascrizione dell’intervista di Giovanni Floris al prof. Ugo De Siervo, per nove anni Presidente della Corte Costituzionale, nel programma “Di Martedì” de “La /”, del 7 giugno 2016
Questa è la trascrizione dell’intervista di Giovanni Floris al prof. Ugo De Siervo, per nove anni Presidente della Corte Costituzionale, nel programma “Di Martedì” de “La /”, del 7 giugno 2016
Fonte: Libertà e Giustizia
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