La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 5 agosto 2015

I benefici dell'accoglienza dei migranti in un Paese in crisi


di Roberta Biasillo
Fa riflet­tere il modo in cui i prin­ci­pali quo­ti­diani del nostro Paese guar­dano all’immigrazione. Anche Erne­sto Galli Della Log­gia sul Cor­riere della Sera del 2 ago­sto («Sui migranti non ser­vono ser­moni»), pur ten­tando di rispon­dere alla cri­ti­che di chi pro­te­sta con­tro gli sbar­chi e la nostra acco­glienza, ritorna su un luogo comune, quello dei costi ecces­sivi della loro gestione, invo­cando addi­rit­tura il prin­ci­pio di ugua­glianza tra migranti e italiani.
Il ragio­na­mento è: l’Italia ha un’elevata disoc­cu­pa­zione e un livello cre­scente di povertà, è giu­sto con­ce­dere, alcune prov­vi­denze a rifu­giati e richie­denti asilo piut­to­sto che aggiun­gerne altre agli ita­liani? La solu­zione avan­zata è quella di ero­gare agli enti che si occu­pano di que­sti migranti un ammon­tare di beni e ser­vizi pari a quelli che spen­dono nell’integrazione. Tale ero­ga­zione, per sor­tire gli effetti migliori, dovrebbe con­clu­dersi in tempi brevi e dovrebbe essere gestita dal governo centrale.

Riflet­tendo su que­sta visione qual­cosa non torna. Siamo sicuri che la nostra disoc­cu­pa­zione e le poli­ti­che dell’accoglienza siano in con­trad­di­zione e non pos­sano dia­lo­gare? È pen­sa­bile che i ter­ri­tori che attuano pro­getti di inclu­sione non siano ripa­gati, anche in ter­mini eco­no­mici, dalle atti­vità che i pro­getti stessi vi pon­gono in essere? Non sono forse un inve­sti­mento piut­to­sto che un onere? In realtà, guar­dando alle moda­lità attra­verso le quali si strut­tura l’accoglienza di richie­denti asilo e rifu­giati, quella più riu­scita va in dire­zione oppo­sta a quanto pro­po­sto da Galli Della Log­gia e si ispira al prin­ci­pio di pro­get­tua­lità a medio o lungo ter­mine e al pro­ta­go­ni­smo degli enti e delle asso­cia­zioni locali. Che i migranti siano quel corpo estra­neo che uti­lizza le nostre tasse è una reto­rica costruita da chi con­si­dera l’immigrazione una spe­cie di zona rossa. Si veda quanto ha scritto su que­sto gior­nale il 30 luglio Ales­san­dro Por­telli.
Esi­stono pre­sunte zone rosse dell’accoglienza in Ita­lia, si chia­mano Cara, Cda, Cpsa e Sprar, i primi tre sono cen­tri gover­na­tivi e l’ultimo è una rete di pro­getti ter­ri­to­riali. Secondo i dati mini­ste­riali aggior­nati al 15 mag­gio 2015 gli stra­nieri inse­riti nei cir­cuiti ita­liani dell’accoglienza, volti quindi al rico­no­sci­mento dello sta­tus di rifu­giato o del diritto di asilo, sono 73.705 e la spesa gior­na­liera ammonta a circa 2,6 milioni di euro. È dif­fi­cile avere un’idea esatta dei costi che que­ste strut­ture assor­bono per la varietà dei pro­grammi e per il con­corso di finan­zia­menti euro­pei, locali e nazio­nali, ma si pos­sono ten­tare stime più pun­tuali facendo rife­ri­mento al sistema Sprar, carat­te­riz­zato pro­prio dalla tra­spa­renza della rendicontazione.
Sem­pre secondo i dati del Mini­stero dell’Interno sul ter­ri­to­rio nazio­nale sono attivi 428 pro­getti affe­renti appunto al Sistema di Pro­te­zione per Richie­denti Asilo e Rifu­giati, ai migranti spet­tano 2–2,5 euro al giorno e il resto delle risorse, poco più di 30 euro al giorno per migrante, finan­zia un indotto virtuoso.
Sull’indotto vir­tuoso che que­sti inter­venti di acco­glienza inte­grata rie­scono a met­tere in moto vale la pena sof­fer­marsi. Prima di tutto non sono una impo­si­zione del Governo cen­trale, ma sono gli enti locali a richie­dere su base volon­ta­ria di pren­dervi parte; in secondo luogo pun­tano alla pro­mo­zione e allo svi­luppo di reti e siner­gie locali; infine si tratta gene­ral­mente di pic­coli gruppi di migranti inse­riti in pic­coli cen­tri e di per­corsi di inse­ri­mento socio-economico il più pos­si­bile par­ti­co­la­reg­giati. Disto­gliamo un attimo la nostra mente dal per­ce­pire l’immigrazione come un feno­meno di massa dre­nante risorse pub­bli­che, come sac­che di uma­nità paral­lela e guar­diamo i numeri: circa 74.000 richie­denti acco­glienza attual­mente seguiti (stima per eccesso) su una popo­la­zione di circa 60 milioni di per­sone (stima anche que­sta per eccesso); 8.092 comuni di cui il 70,5% con meno di 5.000 abi­tanti e con feno­meni di spo­po­la­mento, impo­ve­ri­mento e invec­chia­mento rela­tivo della popo­la­zione resi­dente; tasso di disoc­cu­pa­zione nazio­nale pari al 12,7% e crollo della domanda di lavoro qualificato.
Met­tendo insieme que­sti ele­menti tro­vare un spa­zio con­di­viso e non con­teso, una zona per­mea­bile e non rossa è pos­si­bile e gli Sprar ne sono un esem­pio. Essi rap­pre­sen­tano nei pic­coli cen­tri una rispo­sta alla crisi occu­pa­zio­nale e di modello inse­dia­tivo ed eco­no­mico, gene­rando richie­sta di lavoro alta­mente qua­li­fi­cato (media­tori cul­tu­rali, inse­gnanti, istrut­tori, psi­co­logi), por­tando vita­lità in cen­tri sto­rici in semi-abbandono, risco­prendo atti­vità legate al ter­ri­to­rio e for­nendo nuova mano­do­pera per le bot­te­ghe arti­giane. È nei pic­coli cen­tri che l’integrazione può tor­nare a dimo­strare il suo essere una dina­mica inter­per­so­nale naturale.
Ad oggi è il Mez­zo­giorno – quello che lo Svi­mez ha appena descritto come espo­sto a un serio rischio di «sot­to­svi­luppo per­ma­nente» – a con­tri­buire mag­gior­mente con risorse, spi­rito di acco­glienza e pro­fes­sio­na­lità e sono invece le grandi città e alcune Regioni del Nord, quali la Lom­bar­dia, la Ligu­ria, il Veneto e la Val d’Aosta, a dif­fi­dare gli enti locali dal per­se­guire qual­si­vo­glia pra­tica di inserimento.
C’è una ulte­riore rifles­sione da fare sul sistema di pro­te­zione in esame e riguarda la dimen­sione pro­get­tuale degli inter­venti. Que­sta va a minare un’altra reto­rica legata all’immigrazione, quella dell’emergenza. La pia­ni­fi­ca­zione è uni­ver­sal­mente rico­no­sciuta come uno stru­mento eco­no­mico impor­tante, fon­da­men­tale nel gui­dare lo svi­luppo ter­ri­to­riale ma in mate­ria di immi­gra­zione acqui­sta anche altri risvolti per nulla secon­dari, quali la tutela delle pro­ce­dure demo­cra­ti­che e la pos­si­bi­lità di con­trollo pub­blico. Alcune espe­rienze mostrano come un modello di inclu­sione sociale diverso e legato alle voca­zioni ter­ri­to­riali sia pos­si­bile e incre­men­ta­bile, un modello lon­tano dai riflet­tori media­tici (che rac­con­tano solo sto­rie di ten­sioni e raz­zi­smo) e al riparo dalla cor­ru­zione della cat­tiva poli­tica e dalla spe­cu­la­zione di affa­ri­sti senza scrupoli.
L’immigrazione in Ita­lia, fuori dalla solita reto­rica, può diven­tare una oppor­tu­nità di rina­scita sociale, di ride­fi­ni­zione in posi­tivo della geo­gra­fia eco­no­mica e di ela­bo­ra­zione di un discorso pub­blico ispi­rato al rispetto della dignità umana e dei valori della Repubblica.

Fonte: il manifesto

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