La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 13 giugno 2016

Bisogna lottare ogni giorno

di Donatella Donati
9 luglio 1998, una data e un contorno un po’ surreale. Negli anni Novanta Pisa fu il primo comune, a quanto so, a istituire un registro delle unioni civili, e allora io e Grazia, la mia compagna che è morta cinque anni fa, pensammo bene di iscriverci, se non altro per sostenere questa giusta iniziativa nel suo valore almeno simbolico. Non ci pareva di fare proprio niente di straordinario, erano ben altre le difficoltà che avevamo incontrato, e restammo stupite quando il Comune ci informò che saremmo state la prima coppia non eterosessuale d’Italia a fare l’unione civile. Bè, pensai, tanto meglio, non è certo questa la prima volta che sono la prima a fare qualcosa; e anche a Grazia andava bene.
Ma il bello fu che una o due sere prima del giorno dell’iscrizione (non la chiamo cerimonia, perché fu una cosa semplicissima e naturale per noi; ci andammo da sole, e testimoni furono persone del Comune), ricevemmo una telefonata da Sergio Lo Giudice, che proprio in quel periodo divenne presidente nazionale dell’Arcigay dopo esserne stato, se ben ricordo, il responsabile per la Toscana. Ci voleva avvertire che la notizia era trapelata e che probabilmente ci sarebbero stati giornalisti ad aspettarci in Comune. Al telefono risposi io e dissi che non ci importava. Però lui temeva che, secondo come veniva riportata nei giornali la cosa, altre persone gay s’intimidissero e tornassero indietro nel percorso di assunzione della propria identità sessuale e così via. E ci chiedeva se non volessimo anticipare l’orario dell’iscrizione. “Cosa? Risposi. Non ci vogliamo mica nascondere noi. Quanto all’ipotetica paura altrui, a un certo punto bisogna crescere, eh”. Mi dette ragione.
Non ricordo di avere visto giornalisti quella famosa mattina, (ho controllato ora la data, era il 9 luglio del ’98), ma il giorno dopo, affacciandomi alla finestra dello studio, vidi in caratteri cubitali nella locandina non ricordo se del Tirreno o della Nazione dell’edicola sotto casa mia: “Due lesbiche si sposano a Pisa”.Feci una bella risata, e Grazia, che era scesa come sempre a comprare i giornali, alzò la testa, mi vide e rise anche lei.
La notizia comparve anche su Repubblica e su altri giornali, e diverse persone amiche e conoscenti ci telefonarono per chiederci se eravamo proprio noi, e due nostri amici gay ci mandarono perfino una bella pianta d’ibisco per ringraziarci, scrissero, di quanto avevamo fatto per tutti loro. Diversi giornali e riviste ci chiesero, anche dopo diverso tempo, un’intervista, ma noi rimandammo tutti e tutte all’unica intervista che ci sembrò giusto accettare e che ci venne fatta da Franco Grillini, che in quel periodo, dopo essere stato il presidente nazionale dell’Arcigay, ne era diventato o stava per diventarne presidente onorario.
Questa storia a me sembra quasi surreale, perché grande è la distanza fra come la cosa fu vista da fuori e come fu vissuta da noi. Come ho detto, erano ben altri i problemi che, nei dieci-undici anni da quando stavamo insieme, io e Grazia avevamo dovuto affrontare.
Nel complesso mi pare che sia alquanto più facile ora. Ma dobbiamo vigilareaffinché, come in altri aspetti della vita sociale e politica, non ci avvenga di accorgerci un giorno che siamo tornati e tornate indietro, gradino dopo gradino.
Niente è scontato, ogni giorno bisogna lottare.

Fonte: comune-info.net 

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