di Laura Pavesi
Violenti nubifragi hanno provocato alluvioni e allagamenti in Friuli, Puglia, Campania, a Genova, Benevento e Taormina. Le forti piogge hanno causato frane e caduta di massi su strade e ferrovie paralizzando la circolazione in Veneto, Sicilia e Calabria, e fatto esondare di fiumi a Piacenza, Olbia, Benevento, Roma, nel Lazio e in Abruzzo. Una catena di eventi naturali e meteorologici estremi che ha causato, in soli due mesi, vittime, feriti, milioni di euro di danni. E decine di sfollati.
La comunità scientifica internazionale definisce questa particolare tipologia di persone “profughi ambientali” o “sfollati ambientali” -spesso chiamati“Internally Diplaced Person(s)” (o IDPs) cioè persone costrette a trasferirsi “altrove” ma all’interno del Paese d’origine- e sta indagando le cause di un fenomeno che riguarda sia i Paesi a basso-medio reddito, sia quelli ad alto reddito come l’Italia e la Francia (il bilancio del recente nubifragio che ha inondato e devastato la Costa Azzurra è di una ventina di morti, decine di sfollati e centinaia di milioni di euro di danni).
Nel solo 2014, ben 19,3 milioni di persone in tutto il mondo hanno dovuto sfollare e abbandonare le loro case a causa di eventi distruttivi di natura meteorologica, idrologica e geofisica. I dati sul fenomeno globale dei “profughi ambientali” sono stati resi noti dal recente studio intitolato “Global Estimates 2015-People displaced by disasters” e realizzato dall’IDMC (Internally Displacement Monitoring Centre) del Norwegian Refugee Council (NRC) in collaborazione con l’UNHCR.
Lo studio dell’IDMC esclude intenzionalmente i profughi e rifugiati generati da cause non imputabili alla natura, come guerre e conflitti armati, incidenti nucleari e industriali. Del totale 2014, circa 1,7 milioni di IDPS hanno dovuto abbandonare le case in seguito ad eventi geofisici come i terremoti, mentre i restanti 17,5 milioni sono sfollati a causa di calamità naturali correlate al clima. Si calcola che oggi, nel mondo, una persona ogni secondo o poco più diventi un nuovo sfollato e che ognuno di noi abbia il doppio di probabilità di diventare profugo ambientale rispetto a quarant’anni fa. Ma, come spiegaMichelle Yonetani, ricercatrice e autrice del report IDMC, il numero degli sfollati ambientali nel mondo è in aumento a causa di fattori riconducibili più all’uomo che alla natura: “L’IPCC (Inter-governmental Panel on Climate Change) ha affermato che in futuro la frequenza e l’entità delle calamità naturali aumenteranno a causa dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane, tuttavia non possiamo ascrivere il fenomeno dello sfollamento ambientale esclusivamente ad essi. La maggioranza di questi sfollamenti”, afferma Yonetani, “interessa popolazioni e comunità vulnerabili ed esposte al pericolo di alluvioni e nubifragi perché le loro abitazioni sono costruite in aree a rischio idrogeologico. Il vero pericolo è dunque vivere in case e in zone che sono già ad alto rischio”.
Lo scorso anno nei Paesi industrializzati sono stati registrati circa 1,8 milioni di nuovi sfollati ambientali e tra le aree più colpite figurano il Giappone (oltre 700.000 persone), gli Stati Uniti (34.000) e l’Unione Europea (40.000). Secondo l’ultimo “Rapporto periodico sul rischio posto alla popolazione italiana da frane e inondazioni - 2014” del CNR-IRPI (Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica) lo scorso anno risultavano evacuate o senzatetto in Italia oltre 3.300 persone per frana e 6.600 per inondazione. Mentre nel solo periodo 2009-2013 sono state evacuati, rispettivamente, 14.000 e 31.000 italiani.
Secondo l’ultimo rapporto realizzato da ANCE-CRESME (Associazione nazionale costruttori edili e Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio) e intitolato “Dobbiamo aver paura della pioggia?”, le vittime del dissesto idrogeologico in Italia nel decennio 2002-2014 sono state 293. Per la messa in sicurezza del territorio nazionale, stando alle stime dei PAI nazionali (Piani stralcio per l’Assetto Idrogeologico), basterebbero “solo” 40 miliardi di euro.
Su 8.000 comuni italiani più di 6.600, cioè circa l’80%, sono classificati ad “elevata criticità idrogeologica” e in questi comuni pericolosi risiede quasi il 10% dell’intera popolazione italiana (5.700.000 persone). Ma l’aspetto più “paradossale”, come lo definisce ANCE-CRESME, è che su queste aree, oltre a 1.100.000 edifici residenziali, sono stati costruite anche 6.400 scuole (1 su 10 in Italia) e 550 ospedali (sempre 1 su 10).
Paola Salvati, ricercatrice dell’IRPI, conferma che “uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico in Italia, ad esempio, è che si registrano sempre meno giorni di pioggia in un anno e, al tempo stesso, piogge sempre più intense. Se cadono decine di millimetri di pioggia in poche ore, il suolo deve smaltire velocemente enormi quantità di acqua, ma non è più in grado di farlo perché il territorio è impermeabilizzato da cemento e asfalto e perché i tracciati naturali dei corsi d’acqua sono sbarrati da case, industrie, strade. L’alterazione dell’ambiente naturale e l’antropizzazione eccessiva di torrenti, fiumi e alture, alla prima forte pioggia, generano alluvioni e frane con conseguente sfollamento della popolazione, danni economici e vittime”.
Dai dati dell’International Disaster Database del CRED (Center for Research on the Epidemiology on Disaster) emerge che in Italia alluvioni, esondazioni e smottamenti sono la seconda causa di sfollamento della popolazione dopo i terremoti. La stessa direttrice del CRED, Debarati Guha Sapir, ci conferma che “è innegabile che esista una correlazione tra cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi. Il numero di uragani e tempeste è in costante aumento, così come lo sono siccità e desertificazione. Tra le calamità naturali correlate ai cambiamenti climatici, le più pericolose sono proprio le alluvioni. Esiste un’elevata probabilità che in futuro questi eventi naturali devastanti diventino sempre più frequenti e, quindi, è necessario che le popolazioni siano adeguatamente informate e preparate”.
Anche Vittorio d’Oriano, vice presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG), sottolinea che “i geologi italiani da almeno trent’anni denunciano questo stato di cose. Oggi si parla di ‘bombe d’acqua’, figlie dei cambiamenti climatici, che spesso sono associate all’imponderabilità. Ma sono parole che servono solo a quietare la coscienza di coloro che, direttamente o indirettamente, hanno omesso e omettono di avviare una concreta ed efficace politica di prevenzione”.
Fonte: Altreconomia
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