di Tommaso Basevi
Rendere l’Islam compatibile con i principi universalistici e la laicità. E’ la scommessa con cui, al di là dei proclami islamofobi e delle misure emergenziali decise in questi giorni, si sono cimentati tutti i governi e i presidenti francesi. A partire dai primi anni ’90 e fino ad oggi. E la strage a Charlie Hebdo e gli attentati del 13 novembre non spostano la questione, anzi la rendono ancora più attuale.
Naturalmente, dopo l’attacco al cuore di Parigi, la pressione esercitata dalla schiera di maitres a penser neo-conservatori che agitano lo spettro dello scontro di civiltà e l’appeal del Front National diventato, secondo il sociologo Emmanuel Todd, «portabandiera di un neolaicismo rigorista che punta a costruire una repubblica dell’esclusione», rischiano di aumentare ancora.
L’incandescente sfida tra chi crede possibile un compromesso, un possibile “patto di cittadinanza” con la più grande comunità musulmana d’Europa e chi, invece, ritiene che ogni passo in questa direzione sia un cedimento e un segno del declino della Nazione è ancora aperta.
Chi ha ruoli istituzionali, come il premier francese Manuel Valls, minaccia la chiusura delle moschee radicali, ordina perquisizioni senza mandato nelle periferie a rischio salvo poi proclamare solennemente che «dialogare con i musulmani di Francia è il miglior modo per restare fedeli agli ideali dellaRépublique».
Proprio Valls, nel recente passato, ha più volte incontrato i rappresentanti delConseil francais du culte musulman, l’organismo creato nel 2003 da Nicolas Sarkozy per permettere alle istituzioni di avere un interlocutore affidabile e capace di rappresentare la seconda comunità religiosa di Francia.
Ad inizio estate il governo socialista aveva promosso una grande consultazione con le federazioni musulmane per dare il via all’ennesima riforma del cosiddetto Islam de France e aprire il dialogo su questioni molto concrete come la sicurezza dei luoghi di culto e la formazione degli imam.
La riunione era allargata a diverse correnti compresa quella che si ispira ai Fratelli Musulmani. Un’apertura resa necessaria dalla crisi di legittimità che, negli anni scorsi, ha investito un Cfcm lacerato da guerre intestine e incapace di rappresentare la propria base e in particolare le generazioni più giovani.
Oltre alla radicalizzazione di una frangia ultraminoritaria ma comunque significativa della popolazione musulmana a preoccupare è soprattutto l’ingerenza di paesi stranieri (Marocco, Turchia, Arabia Saudita) che finanziano la costruzione di moschee e formano gli imam (l’80% dei quali non è francese).
Proprio per questo l’esecutivo aveva pensato di estendere il numero delle facoltà universitarie abilitate a rilasciare diplomi di educazione civica e culturale agli imam che normalmente sono obbligati a recarsi all’estero per seguire corsi di teologia musulmana inesistenti in Francia (ad eccezione di un corso all’Università Paris VIII).
A complicare ogni intervento diretto dello Stato in questo campo, contribuisce però proprio una delle leggi-faro della Francia repubblicana, la legge di separazione tra lo Stato e le Chiese. Promulgata nel 1905 questa legge nega un riconoscimento ufficiale delle diverse religioni e vieta ogni intervento finanziario a loro favore. Di fatto quindi impedisce l’emersione di un Islam “istituzionalizzato”, più trasparente e meno permeabile a possibili derive fondamentaliste.
L’ex presidente Sarkozy che oggi, nei suoi meeting da leader dell’opposizione, invita «le religioni ad adattarsi alla République» spiegando che «chi viene qui deve assimilarsi e adottare la nostra cultura», si era mostrato in passato molto più attento e possibilista oltreché opportunista. Nel 2004, poco prima che scoppiasse la rivolta nelle banlieues, era stato proprio lui a farsi paladino di una «laicità positiva»: «L’Islam – spiegava — ha un ruolo da svolgere in particolare nelle periferie difficili dove è preferibile che i giovani possano avere speranze spirituali piuttosto che adottare come religione la violenza, la droga o il denaro».
Attaccato dai laici duri e puri, Sarkozy aveva poi dovuto abbandonare il suo piano che prevedeva, tra l’altro, proprio alcune, timide ma significative, modifiche alla legge di separazione, promulgata in un’epoca in cui la presenza dell’Islam in Francia era inesistente.
Il suo successore François Hollande non sembra volersi spingersi così in là.
«Oggi il clima è cambiato e si vuole relegare la religione esclusivamente nell’ambito privato» spiega il sociologo dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze Olivier Roy.
«A far paura – aggiunge il ricercatore del Cnrs Marwan Mohammed — è la visibilità stessa dell’Islam che è immediatamente associata all’islamismo o addirittura al terrorismo. In questo contesto ogni domanda religiosa anche la più banale provoca inquietudine e viene equiparata a una deriva integralista».
Trasformata nell’ultimo baluardo contro il dilagare del fondamentalismo religioso la legge di separazione, architrave della République, contribuisce alla discriminazione di un Islam alla costante ricerca di un riconoscimento. Modificarla è un rischio che, nel contesto attuale, nessuno oggi in Francia sembra voler correre.
Fonte: il manifesto
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