di Marco Bertorello
Ieri non è stata certo una giornata favorevole al salvataggio delle banche italiane: prima la Corte dei Conti ha espresso «perplessità» sul coinvolgimento nel Fondo Atlante di Cassa depositi e prestiti (terzo finanziatore con 500 milioni), dopo l’Agenzia bancaria europea, a conclusione degli ormai temuti stress test, ha ritenuto la banca Monte dei Paschi sottocapitalizzata e con un eccesso di crediti deteriorati.nSoltanto lo scorso aprile Matteo Renzi dichiarava che il Fondo Atlante costituiva la soluzione dei problemi del nostro sistema bancario.
Il governo e i principali istituti di credito nazionali avevano appena creato questo nuovo Fondo, coinvolgendo banche, l’immancabile Cassa depositi e prestiti e altri soggetti finanziari. Da allora la crisi bancaria non è stata risolta e coinvolge sempre più tutti gli istituti a livello continentale, maggiormente dopo Brexit. Non per inspiegabili manovre speculative, quanto perché a ogni shock economico i punti deboli del sistema iniziano a ballare in misura maggiore. Come accade alle banche italiane, piene di sofferenze, frutto di una lunga e profonda crisi.
Il governo e i principali istituti di credito nazionali avevano appena creato questo nuovo Fondo, coinvolgendo banche, l’immancabile Cassa depositi e prestiti e altri soggetti finanziari. Da allora la crisi bancaria non è stata risolta e coinvolge sempre più tutti gli istituti a livello continentale, maggiormente dopo Brexit. Non per inspiegabili manovre speculative, quanto perché a ogni shock economico i punti deboli del sistema iniziano a ballare in misura maggiore. Come accade alle banche italiane, piene di sofferenze, frutto di una lunga e profonda crisi.
La prima versione del Fondo è stata pressoché prosciugata dalla crisi di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, che ha lasciato in cassa solo 1,7 miliardi, di cui 500 milioni già immobilizzati come riserva sempre per le banche venete. Fin dalla sua nascita Atlante è andato in cerca di finanziatori prevalentemente privati, onde evitare problemi con l’Europa e le sue direttive ostili agli aiuti di Stato. I risultati, però, sono stati al di sotto delle attese. L’ambizione era quella di fornire una soluzione di mercato a un problema che era nato nel mercato. Ma si sa che il mercato è generoso quando c’è da guadagnare e molto meno quando c’è da rimetterci, o perlomeno da rischiare sul serio.
Nel frattempo il rischio banche è andato aumentando in conseguenza dello scossone Brexit a cui vanno aggiunti i risultati degli stress test della Bce che tra le italiane hanno sostanzialmente bocciato Monte dei Paschi, facendo tornare urgente la necessità di reperire altre risorse per ricapitalizzare la banca senese e alleviarla delle sofferenze, che lorde sono di 47 miliardi a fronte di 130 mld di crediti in essere.
Considerate le coperture e le svalutazioni di questo fardello viene calcolato che perlomeno siano necessari altri 3,5 miliardi. Il rischio è che Monte dei Paschi possa costituire la punta dell’iceberg degli affanni del sistema creditizio italiano. Per la banca senese il salvataggio potrebbe essere il frutto di un intervento di attori privati, compresa la potente J P Morgan, oppure direttamente pubblico, qualora il primo scenario si rivelasse impossibile. Anche nel primo caso, però, sarebbe richiesta una funzione di garanzia per lo Stato. Una funzione che Il Sole 24 Ore ammette essere «centrale». La sfera pubblica, infatti, dovrebbe garantire un’operazione di mercato basata sulla trasformazione delle sofferenze in titoli cartolarizzati, cioè spacchettati, dove il rischio viene suddiviso e al contempo rarefatto tra tanti acquirenti.
Le cartolarizzazioni che sono state tra i principali mali che diedero origine alla crisi del 2008 tornano per essere la cura. Un espediente per consentire a soggetti privati di assumersi il rischio, ma con la garanzia preliminare di un soggetto pubblico. In questo caso l’operazione è talmente rischiosa che le garanzie sono fornite a monte, già prima di una crisi, mentre ai tempi di Lehman Brothers furono date dopo per salvare le banche considerate «troppo grandi per fallire». L’impostazione vigente, sia quella considerata (in maniera indebita) totalmente di mercato sia quella con il coinvolgimento diretto dello Stato, rappresenterebbe formalmente il mancato rispetto delle norme vigenti.
Perciò sono in corso da tempo trattative con Bruxelles per giustificare tali aiuti in ragione dell’eccezionalità dei problemi e del contesto internazionale instabile. Per salvare il mercato ogni cosa diventa possibile, ciò che resta proibito è un’opzione in cui risorse pubbliche possano essere impiegate per salvare i piccoli risparmiatori o per creare un polo bancario pubblico che magari non si mangi periodicamente i loro modesti risparmi. Comunque la si guardi la sfera pubblica resta una mucca da mungere solo in caso di necessità o, se preferite, il salvatore di ultima istanza.
Fonte: il manifesto
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