di Enrico Terrinoni
Qualcosa si muove in Irlanda – e anche abbastanza in fretta dopo il referendum sulla Brexit – riguardo alle prospettive di abolire quella partition che da quasi cento anni oramai divide l’isola in due. Il primo ministro delle 26 contee del Sud, o Repubblica d’Irlanda che dir si voglia, il taoiseach Enda Kenny, leader di Fine Gael, il partito erede di chi nel 1921 prese la decisione di accettare che l’isola venisse «temporaneamente» divisa, ha per la prima volta lasciato intravedere la possibilità di una riunificazione tra le due Irlande. È avvenuto una settimana fa, ma per i media è passato quasi sotto silenzio, alla McGill Summer School tenutasi nella Contea di Donegal.
Kenny ha dichiarato che l’Unione europea dovrà prepararsi alla richiesta di un referendum sulla legittimità del «confine invisibile» tra Nord e Sud previsto dagli accordi di pace del venerdì santo del 1998. Quel trattato considerava il referendum un passaggio obbligato qualora fosse emersa chiaramente la volontà della maggioranza del popolo nordirlandese di riunificarsi col Sud.
Kenny ha dichiarato che l’Unione europea dovrà prepararsi alla richiesta di un referendum sulla legittimità del «confine invisibile» tra Nord e Sud previsto dagli accordi di pace del venerdì santo del 1998. Quel trattato considerava il referendum un passaggio obbligato qualora fosse emersa chiaramente la volontà della maggioranza del popolo nordirlandese di riunificarsi col Sud.
Ma Kenny è andato oltre. Ha delineato un paragone storico con la caduta del Muro di Berlino che ha permesso alle due Germanie di tornare a essere unite. L’Irlanda del Nord dovrebbe ricevere dalle istituzioni europee, ha detto, «lo stesso trattamento ricevuto dalla Germania dell’Est quando è caduto il muro» affinché le venisse evitato il «lungo percorso accidentato della domanda di appartenenza all’Unione europea». Ha parlato poi di un futuro impossibile da quantificare, forse dieci o venti anni, ma ha ribadito che la discussione su questi scenari prima o poi deve avere inizio.
Si tratta di un terreno, forse l’unico, su cui Kenny sembra ora muoversi parallelamente non solo con Sinn Féin, che chiede il referendum sul confine dal giorno dopo il voto sulla Brexit, ma anche con il leader del maggior partito di opposizione, il Fianna Fail Michael Martin. Questi, alla stessa Summer School, l’aveva persino preceduto esprimendo l’auspicio che la Brexit potesse riavvicinare le due Irlanda: «Potrebbe darsi che la decisione dell’Irlanda del Nord di opporsi a una maggioranza britannica anti europea sia un momento cruciale per le politiche riguardanti il Nord. Il fatto d’aver votato remain mostra a tutti il bisogno di ripensare lo status quo. Spero che spinga verso una maggioranza a favore della riunificazione, e se questo accade, dovremmo essere noi a innescare l’iter per un referendum».
Tale singolare consonanza di auspici è accompagnata da una seria autocritica da parte di Martin, il cui partito ha governato la Repubblica quasi sempre dalla sua nascita, e fino a pochi anni fa, quando l’esplosione della crisi economica ha finito per defenestrarne quasi tutta la leadership. Ma il Fianna Fail è ovviamente ancora un partito di enorme rilievo, e si prepara con queste mosse anche a riprendere in mano il paese sull’onda di un sentimento nazionale rinnovato e riarticolato: «È una triste realtà che il governo e i nostri media siano stati inclini a ignorare l’Irlanda del Nord se non in presenza di una qualche crisi». Il bisogno, ha detto, è di richiamare l’isola intera «a non dividersi in gruppi, a dimostrare che può ricevere ascolto un ampio rango di interessi comuni, e non più quelli dei singoli partiti al potere».
Gerry Adams, leader nordirlandese del partito Sinn Féin, ha colto la palla al balzo, dichiarando che le parole di Kenny e di Martin mettono finalmente nell’agenda politica del governo della Repubblica il tema della riunificazione; ma ha anche chiesto di fissare un termine, che auspica non andare oltre i quattro anni, due anni perché si concretizzi la Brexit, e altri due affinché si raggiunga un negoziato tra Unione europea e Regno Unito sulla questione irlandese: «Per quanto mi riguarda, avrei voluto vederlo implementato ieri, un referendum sul confine, invece secondo le parole del taoiseach ci vorrà altro tempo; ma intanto ha accettato il concetto, e sarà parte delle negoziazioni con la Gran Bretagna, il che è un bene».
Il governo britannico per ora non vuole sentirne parlare. La nuova premier, Theresa May, al momento del suo insediamento ha tenuto a precisare che il nome del suo partito per intero è Conservative and Unionist Party, come a specificare non solo che per lei l’Unione del Regno è un valore irrinunciabile, ma anche che gli interessi degli unionisti del Nord Irlanda verranno tenuti da conto.
Il segretario di stato per l’Irlanda del Nord del nuovo governo, James Brokenshire, ha detto di non scorgere le condizioni per un referendum, ma ha allo stesso tempo ribadito di non volere che il confine diventi veramente tale con la relativa protezione su entrambi i fronti, poiché danneggerebbe la libertà di movimento tra le due parti dell’isola.
Nel frattempo, si moltiplicano i sondaggi più o meno occasionali che in tanta parte del Nord sembrano esprimere una netta maggioranza trasversale a favore della riunificazione in chiave europeista. Come anche le prese di posizione sulle spinte indipendentiste della Scozia, che idealmente potrebbero trainare anche la situazione in Irlanda del Nord. Theresa May ha iniziato a comprendere la portata di un possibile veto del parlamento scozzese alla Brexit, paventato dal primo ministro di Scozia Nicola Sturgeon.
Anche il vice primo ministro irlandese Martin McGuinness ha fatto esplicito riferimento a queste dinamiche, spiegando di aver detto al telefono al May che «gli scozzesi si sono espressi in maniera chiara, e anche noi – sono posizioni che vanno rispettate». Ovviamente, ha argomentato il tutto senza giocare la carta identitaria, ma portando alla ribalta questioni economiche, come l’assenza d’ora in poi dei sostanziosi fondi europei destinati alle sei contee, che colpirà settori trasversali come l’istruzione e l’agro alimentare. Questo a significare che la preoccupazione del Nord non è più limitata a una sola comunità, ma permea tutti gli strati della società. Si auspica, quindi, una riunificazione non su base settaria, che calpesti i diritti di una parte della società, ma un processo di pace rinnovato che coinvolga tutti allo stesso modo, e miri a superare le divisioni all’insegna di un bene comune. Un bene comune irlandese.
Fonte: Il manifesto
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