di Francesco Caruso
Ieri come oggi, per affrontare i «problemi scottanti del nostro movimento», la domanda sul «che fare?» del giovane Vladimir Ilych Ulyanov resta di estrema attualità. Tuttavia, a differenza di allora, con il progressivo tramonto della granicità del Soggetto e del suo corollario deterministico sulle «magnifiche sorti e progressive», il tema della soggettivazione politica ha acquisito un peso rilevante nel dibattito teorico, soprattutto in quei segmenti dell’intellettualità organica che si ostinano a interfacciare la verifica delle proprie ipotesi nella materialità dei processi sociali.
Conviene comunque immergersi in un lessico talvolta criptico, per cercare di sbrogliare una matassa molto complicata. Se il passaggio dalla classe in sé alla classe per sé non è un automatismo meccanicistico o il prodotto telecomandato da una illuminata avanguardia politica, come si sedimenta l’accumulo di coscienza ed esperienza? Come si intersecano struttura e azione o, per dirla in termini meno sociologici, spontaneità e organizzazione?
Conviene comunque immergersi in un lessico talvolta criptico, per cercare di sbrogliare una matassa molto complicata. Se il passaggio dalla classe in sé alla classe per sé non è un automatismo meccanicistico o il prodotto telecomandato da una illuminata avanguardia politica, come si sedimenta l’accumulo di coscienza ed esperienza? Come si intersecano struttura e azione o, per dirla in termini meno sociologici, spontaneità e organizzazione?
A queste domande Massimo Modonesi tenta di fornire una risposta nel libroSubalternità, antagonismo, autonomia (Editori Riuniti, pp. 166, euro 15), con l’obiettivo esplicito dapprima di sistematizzare e poi interconnettere queste tre categorie politiche all’interno di un quadro teorico di respiro più generale.
L’alfabeto dei subalterni
Preliminarmente l’autore svolge un lavoro serrato di sintesi del dibattito sorto intorno a ciascuna di queste categorie, da Karl Marx fino ai giorni nostri, per poi passare a un triplo lavoro di interpretazione, sistematizzazione e interconnessione, rivolgendosi ai filoni teorici che a suo avviso hanno maggiormente cristallizzato e focalizzato l’attenzione in modo più fecondo intorno a queste tre categorie: il gruppo indiano dei subaltern studies (subalternità), l’operaismo di Toni Negri (antagonismo) e il consiliarismo del gruppo francese «Socialismo o Barbarie» (autonomia).
Il primo capitolo si sofferma infatti sulla declinazione specifica della categoria gramsciana di subalternità che il gruppo di ricerca indiano dei Subaltern Studiesutilizza nel lavoro di scavo storiografico e sociale, alla ricerca delle «preziose tracce di iniziativa autonoma» che Antonio Gramsci esortava a esplorare nell’azione dei gruppi subalterni.
I teorici Ranajit Guha e Partha Chatterjee inseguono e tentano di decifrare le ribellioni popolari, di cui la storia dell’India contemporanea è particolarmente ricca, con l’obiettivo esplicito di individuare un alfabeto e uno spazio autonomo di espressione dei subalterni, per restituirne una dignità e una dimensione politica che la storiografia e la politica ufficiale, tanto liberale quanto marxista, tende generalmente a negare. Richiamandosi alla centralità del rapporto dialettico tra «spontaneità e direzione consapevole» di Antonio Gramsci, Modonesi evidenzia però come spesso questi studiosi rimuovano l’ambivalenza della categoria della subalternità, che va intesa anche come subordinazione e non solo come rifiuto e resistenza, con il conseguente rischio di scivolamento verso una essenzializzazione della subalternità che definisce «subalternismo».
Il secondo capitolo si sofferma invece sull’elaborazione teorica della categoria di «antagonismo» di Toni Negri nel corso degli anni Settanta, individuando una cesura storica con i suoi scritti successivi incentrati invece sulla categoria di «autonomia». Si tratta in verità di una dicotomia difficilmente inestricabile negli scritti negriani dell’epoca, tuttavia Modonesi intravede l’utilizzo della categoria dell’antagonismo come elemento qualitativo della soggettività operaia, che verrà definendosi come «operaio sociale», e che troverà espressione attraverso una sequenza di indipendenza proletaria, autovalorizzazione e contropotere. Se in un primo momento «antagonismo e autonomia appaiono simultaneamente come punto di partenza, processo e fine», nel corso del tempo l’autonomia diventa per Negri qualità ontologica in sé, produttrice e non più prodotto dell’antagonismo. Questo determina un «essenzialismo autonomista» in cui l’antagonismo perde il suo carattere processuale, convertendosi in una proprietà, in una qualità del soggetto «invece di designare l’incorporazione di pratiche ed esperienze nel quadro di un processo di soggettivazione».
Il rischio del volontarismo
L’ultima categoria sulla quale il libro si sofferma è quella di autonomia, a partire dalla specifica declinazione che questa assume nell’elaborazione del gruppo di consiliaristi che ruota intorno alla rivista «Socialismo o Barbarie», edita tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Francia. In questo caso la rilevanza teorica è data dall’intreccio della nozione di autonomia come indipendenza di classe nel contesto di dominazione ma anche di rottura e prefigurazione all’interno di un processo di formazione della società emancipata.
L’autonomia diventa non solo principio, mezzo e fine, ma anche condizione, strumento e risultato, in una assolutizzazione che rischia di perdere il quadro delle «condizioni oggettive», e scivolare verso il volontarismo più estremo, nel quale restano solo l’appropriazione e la trasformazione soggettiva della realtà. L’evoluzione successiva di questo filone dentro il ciclo autogestionario francese tenderà a riaprire la dicotomia tra l’autogestione come mezzo e l’autogestione come fine. In sintesi, subalternisti, postoperaisti e consiliaristi, sebbene mostrino i tratti più fecondi e innovativi di approfondimento del rapporto tra «soggettivazione politica e marxismo» – come recita il sottotitolo del libro –, ricadono tutti in un eccesso di «essenzialismo» che li porta ad assolutizzare e rinchiudere il quadro teorico di riferimento intorno alla propria categoria-chiave.
Il contributo in termini di originalità del volume si ritrova non a caso nell’individuazione della complementarietà di queste tre categorie: una volta depurate dalla sovrapoliticizzazione della teoria è possibile infatti procedere all’individuazione sia delle profonde omologie di metodo e di sostanza – in primo luogo lo sforzo comune di comprensione della realtà strutturale e processuale a partire dalla centralità dell’intersezione tra rapporti di potere e costruzione del soggetto – ma anche delle loro rispettive specificità.
In particolare, sulla base dell’analisi dei processi di soggettivazione le categorie di subalternità, antagonismo e autonomia vengono tradotte nella triade dominazione, conflitto e liberazione, mentre in termini di agency la triade si traduce in subordinazione, insubordinazione e emancipazione.
Una breve considerazione in chiusura. Dai tempi della Prima Internazionale, se non dai primi movimenti protosocialisti, la discussione tra antagonismo e autonomia ha sempre assunto una tensione dicotomica: soprattutto nelle stagioni di riflusso della conflittualità sociale, liberisti e libertari non hanno mai mancato ciclicamente di annunciare l’avvenuto passaggio dall’ «Assalto al cielo all’alternativa». In questo libro troviamo invece un tentativo di connessione teorica, in cui non trova spazio l’esaltazione dell’a torsione postmoderno sull’ibridazione, ma i piedi restano ben saldi nella materialità dei processi reali: tutto questo non poteva che svilupparsi in quel laboratorio che oggi è l’America Latina, dove i forti processi di mobilitazione sociale rendono di estrema attualità – come sottolinea lo stesso Modonesi – il recupero di una vision marxista centrata sul conflitto, la crisi e la formazione di soggettività antisistemiche, potenzialmente anticapitalistiche.
Orizzonti meridiani
Sebbene il richiamo a Gramsci, l’analisi del pensiero di Toni Negri, le origini italiane dello stesso autore lascino desumere uno sguardo proteso verso l’Italia, questo libro – pubblicato in spagnolo, in Messico, nel 2010 e successivamente in inglese nel 2014 dalla Pluto Press – nasce e si rivolge alle inquietudini politiche che sottostanno all’ultimo decennio di lotte sociali latinoamericane. Massimo Modonesi infatti da oltre venti anni, oltre ad insegnare alla Università Autonoma di Città del Messico, è uno studioso marxista conosciuto e stimato in tutta l’America Latina. Per la prima volta, con questo volume tradotto per la casa editrice Editori Riuniti, l’autore presenta il suo lavoro anche nella piccola e sonnolenta provincia italiana, ripercorrendo per molti aspetti lo stesso impegno teorico compiuto recentemente dagli attivisti meridionali del laboratorio Orizzonti Meridiani nel tentativo di definire una sorta di «Sud-alternità» che funga da sintesi tra subalternità, antagonismo e alternativa.
Tuttavia riportare a casa sua, nel suo meridione, un Gramsci ripulito nelle acque del Gange dalle incrostazioni storicistiche che ne hanno impedito per anni la sua connessione con i filoni antagonisti e autonomi nel nostro paese, è un lavoro difficile e ancora tutto da compiere.
Del resto il successo editoriale della versione spagnola di questo volume non è altro che la conferma della miseria dell’eurocentrismo: mentre nella sempre più invecchiata Europa si discute di muri e fili spinati, nei sud del mondo si dibatte e ci si confronta sul come far scorrere il sangue nuovo nelle arterie della futura umanità.
Fonte: il manifesto
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