di Antonio Sciotto
Sui voucher non basta ritornare ai paletti della legge Biagi, «sono uno strumento malato, devono essere abrogati». La segretaria Cgil Susanna Camusso lancia la campagna per i due referendum sui buoni lavoro e appalti dal Palazzo dei Congressi dell’Eur, dove ha riunito delegati e camere del Lavoro da tutta Italia. Più tardi, in audizione alla Commissione Lavoro della Camera spiega che «bisogna regolamentare il lavoro accessorio in termini di contrattualizzazione come quello subordinato e in termini di tracciabilità». Servono cioè regole stringenti, perché oggi «anziché fare emergere il nero, come tanti dicono, i ticket generano altre forme, ancor più precarie, di sommerso e sfruttamento».
NO QUINDI ALLE soluzioni di compromesso indicate nelle settimane scorse dallo stesso presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio, Cesare Damiano (Pd), e dalla segretaria della Cisl Annamaria Furlan. Ma se il Parlamento facesse una legge «che risponde ai nostri quesiti – spiega Camusso – noi saremmo contenti, non è che ci stracciamo le vesti».
Il dibattito è chiaramente aperto, tanto più che dopo il giudizio della Consulta sull’Italicum potrebbe essersi rimaterializzata la possibilità che le elezioni si tengano a giugno: il che farebbe quasi certamente rinviare il referendum al 2018. La stessa Camusso non ha indicato le politiche come priorità, ribadendo di non essere d’accordo con chi invoca una «corsa alle urne»: «Ci piacerebbe andare al voto avendo un sistema elettorale omogeneo tra Camera e Senato. Ci sono urgenze che hanno bisogno di risposte, come la disoccupazione giovanile, le zone colpite dal terremoto e i diritti del lavoro».
POSIZIONE SIMILE a quella espressa in questi giorni da Forza Italia, partito che proprio ieri – attraverso la deputata Renata Polverini – dopo un incontro sulla Carta dei diritti universali del lavoro si è impegnato a «chiedere di incardinare (nella discussione alla Camera, ndr) quanto prima possibile la legge di iniziativa popolare per cui la Cgil ha raccolto 1,2 milioni di firme», perché è arrivato il momento di «aprire una discussione sui temi del lavoro».
Ma l’assemblea del Palacongressi è stata anche l’occasione per rilanciare l’identità della Cgil. Sollecitazione che è arrivata dall’ex segretario generale Antonio Pizzinato – «ho la tessera da 70 anni», ha detto dal palco – che ha invitato funzionari e delegati a una sveglia: «Ai miei tempi, quando c’era la fabbrica fordista, era semplice: bastava metterti fuori al cambio turno e parlavi con i lavoratori, raccoglievi le loro richieste e facevi le piattaforme. Ma oggi, quando il 96% delle imprese è sotto i cinque dipendenti, quando a Milano non ho più la Falck ma il 30% di persone che lavorano nel commercio e nel turismo, dove andiamo se chiudiamo la dede alle sei del pomeriggio?».
«BISOGNA INTERCETTARE quei milioni di giovani che lavorano con i voucher», ha incalzato Pizzinato. «Giuseppe di Vittorio come ha preparato l’avvento dello Statuto dei lavoratori? Andando a parlare con chi sta nei campi e nelle fabbriche, e poi lavorando anche per convincere la politica e il Parlamento».
Insomma, basta burocrazia, «basta separare il sindacalista tecnico che offre assistenza da quello politico che disegna una prospettiva per cui battersi», ha aggiunto Camusso raccogliendo l’invito del suo predecessore Pizzinato. «Noi dirigenti dobbiamo cercare di essere più umili e meno autoreferenziali, perché la rappresentanza non la allarghiamo se stiamo sempre tra noi». «E quando viene un lavoratore alla lega o al patronato, una volta che avete finito con i suoi documenti, non lo lasciate andare in silenzio: spiegategli che si può battere con noi, perché sicuramente non è entrato alla Cgil come in un qualsiasi altro ufficio».
LA CGIL, NELLA CRISI della rappresentanza di oggi – che investe la politica, e anche il lavoro, «lasciando spazio ai populismi» – cerca insomma anche di fare nuovi iscritti. Non tanto o non solo per far quadrare meglio i conti, ma per trovare uno slancio: per parlare con i ciclofattorini di Foodora, ad esempio, o con gli operatori di Almaviva. «Una ferita», definisce la stessa Camusso i 1.666 licenziamenti al call center, con il sapore amaro che il sindacato forse non ha fatto quanto poteva.
«Prendiamo tanti voti alle elezioni delle Rsu, ci accorgiamo che si parla di noi e delle nostre idee – riprende Camusso – ma poi scopriamo di essere presenti in uno spazio sempre più piccolo rispetto alla totalità del mondo del lavoro. Adesso dobbiamo vincere la pigrizia, non dare più tutto per scontato, e coinvolgere i tanti che si appassionano ai nostri temi senza avere magari neanche la possibilità di eleggere un delegato».
«OSARE DI PIÙ», «Tutta un’altra Italia» gli slogan che la Cgil sceglie per la battaglia dei due referendum. E la parola «Libertà»: che si riferisce a un altro quesito, quello sull’articolo 18, bocciato dalla Consulta. Ma che resta un faro: «Perché in qualsiasi posto di lavoro devo poter dire “No, questo non è giusto e non si fa”, senza temere rappresaglie e licenziamenti ingiusti».
Fonte: Il manifesto
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