di Matteo Pucciarelli
In libreria è appena uscito un agile saggio di riflessioni politiche sulla sinistra (cos'è oggi? Serve ancora? A chi?) scritto da due amici e compagni, Tonino Bucci e Giulio Di Donato: Quale sinistra? (Rogas edizioni). Il loro lavoro parte da un presupposto oggettivo, che condivido in pieno, ma che in molti fanno finta di non vedere: «Colpita in primo luogo dalla crisi dei circoli e dei tradizionali canali di militanza di partito, la sinistra radicale soffre ormai da un decennio a questa parte di una frattura fra il proprio linguaggio e il senso comune di un paese che non riesce più a interpretare e a convincere». Mi chiesero una prefazione, ho accettato con un piacere. La trovate qui sotto.
«Mi ritrovo a scrivere questa riflessione esattamente un anno dopo la vittoria dell'oxi in Grecia, una vittoria fatua che nel giro di poche ore si è trasformata in sconfitta. Fu il giorno in cui sembrò che Davide potesse battere Golia. Mi trovavo ad Atene per lavoro in quei giorni e sembrava di stare al centro del mondo. Era davvero il centro del mondo, dal punto di vista giornalistico certamente, ma anche politico: nella vecchia Europa ripiegata su se stessa c'era un governo di un piccolo Paese, culla della democrazia e del pensiero moderno, che aveva il coraggio di ribellarsi.
Un governo di sinistra, una sinistra "vera", quella che aveva combattuto contro la dittatura dei Colonnelli e che poi era stata a Genova nel 2001. Un premier giovane e determinato capace di utilizzare un linguaggio fresco ma radicale: capace, ancora, di conquistare democraticamente una maggioranza parlamentare.
Poteva essere l'inizio di una nuova storia, dove le ragioni di un pensiero critico si coniugavano con la difficile arte del governare i processi, stando in mezzo alle contraddizioni. Perché - va detto - di essere minoritari, confinati nelle riserve indiane, non ne avevamo (abbiamo) voglia neanche noi. Nella consapevolezza, chissà quanto realistica, che una sinistra coerente che non dimentica la bussola - la lotta contro le disuguaglianze, di qualunque tipo esse siano - sia oggi la risposta giusta, una risposta di buonsenso alle crescenti ingiustizie che il sistema neoliberista ha fomentato dietro la promessa fallace del benessere per tutti.
Quel sogno sembrava a portata di mano ma lo abbiamo già accantonato, a metà tra malinconia e vergogna. Siamo stati davvero così ingenui nel credere nella favola impossibile? Ci siamo goduti un giorno di festa senza cambiare niente di ciò che ci circonda?
La risposta alle domande forse la avremo tra dieci, o venti anni. Ma piuttosto che derubricare quella pagina di storia, sicuramente controversa ma certamente esaltante, nell’album dei tradimenti sarebbe meglio analizzare la sfida incompiuta che la sinistra ha di fronte: quella culturale. Quella fatta di parole, pensieri, valori comuni e condivisi. Prima di tutto ciò che è politica esiste un sistema cognitivo che anticipa e poi cavalca le tendenze. Non esisterà mai un nuovo socialismo, o una nuova utopia che prova ad adattare quel modello all’esistente, senza la piena consapevolezza della distanza siderale tra la realtà di ciò che si muove nella pancia di una maggioranza sociale ormai indistinta e l’album dei ricordi della sinistra.
La stessa parola “sinistra” nella percezione comune ha perso ormai una sua validità. Cosa vuol dire oggi sinistra? La domanda va fatta a un’anziana signora al mercato o a uno studente 18 di un istituto professionale: non vi sapranno rispondere. Le organizzazioni politiche e sindacali che vengono da quella storia sono ormai residui di un passato involuto, senza alcuna spinta propulsiva. Proprio oggi che, guarda un po’, le disuguaglianze avanzano senza alcun riguardo per nessuno. Il paradosso moderno è questo, almeno in Italia: il bisogno di sinistra aumenta e la sinistra scompare.
Le ricette sono pane per teorici o stregoni. Per chi vive nel mondo reale – e molti degli ultimi mohicani, compagni di lotta e magari aggrappati a qualche piccolo posto di potere, non lo fanno da svariati anni – la risposta sta in una certezza banale: la storia è fatta di cicli storici che si ripetono. L’onda che a Genova è morta è in fondo a qualche oceano pronta a spumeggiare di nuovo, chissà grazie a quale scintilla e con quale forma. Una nuova generazione, oppure un nuovo sentire comune. Ma per chi anche adesso è qui, certo della propria identità, del proprio stare al mondo, tocca solo e semplicemente studiare, provare, sporcarsi le mani o imbrattare qualche foglio. Preparandosi al momento che arriverà, per mano nostra o di chi forse non è ancora nato. Calibrando le mille complessità di un mondo globalizzato fatto di numeri, equazioni, tecnicismi: un tasto premuto negli Stati Uniti può significare la bancarotta di uno Stato dall’altro capo del mondo. Illudendoci che bastasse l’arte della politica, pensando che il bagaglio ideologico pregiato del marxismo fosse sufficiente, questa realtà matrigna ci ha tolto il terreno sotto i piedi.
E allora, per domani, serve connettere competenze diverse, unire professionalità distanti tra loro, utilizzare la fantasia di cui disponiamo per ribaltare il tavolo. O almeno per pensare di poterlo fare. Umanità, radicalità, realismo dell’utopia, coerenza, generosità, uguaglianza: possiamo anche non chiamarla “sinistra”. L’importante è farsi capire da quel 99 per cento della popolazione mondiale che ancora non sa – e attende che qualcuno glielo spieghi a dovere – che il restante 1 per cento possiede la medesima ricchezza di tutti gli altri. Siamo tanti, torniamo a parlarci».
Fonte: MicroMega online - blog dell'Autore
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