La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 24 luglio 2016

Ucraina, comunisti perseguitati. Chi sarà il prossimo?

di Artyom Buzila
Il 30 giugno, la corte del distretto di Kiev della città di Kharkov ha ordinato una detenzione preventiva di 60 giorni per Alla Alexandrovskaya, capo della cellula locale del Partito Comunista Ucraino (KPU) messo recentemente fuori legge, due volte deputata del consiglio regionale e quattro volte membro del Verkhovna Rada (parlamento ucraino). La donna, di 67 anni, è rimasta in attesa del giudizio per quasi 24 ore, durante le quali è stata colta da malore e costretta a rimanere in piedi durante tutta la sessione. Oltre a finire in carcere, il tribunale ha disposto il sequestro di tutti i suoi beni.
Precedentemente, gli investigatori avevano perquisito l’appartamento dell’Alexandrovskaya, le hanno requisito il materiale informatico e lo hanno portato in un luogo di custodia. La sospettata è accusata di aver infrnato due articoli del codice penale ucraino: l’articolo 110 (separatismo) e il 369 (corruzione di pubblico ufficiale). Secondo l’accusa l’Alexandrovskaia, assieme a suo figlio Aleksander, che ora risiede nella federazione russa, ha pagato grandi somme di denaro per corrompere i deputati dei consigli comunali (in particolare della città di Yuzhnoye) con l’obiettivo di ottenere voti a sostegno della federalizzazione del paese. Naturalmente, secondo il SBU, queste attività erano dirette dai servizi segreti russi (FSB).
La difesa dell’Alexandrovskaya nega le accuse e insiste sul fatto che l’esponente politico ha sempre agito di accordo con la legislazione ucraina.
In primo luogo, è necessario menzionare alcuni dettagli sulla personalità e le attività dell’Alexandrovskaya. Starete pensando: si tratterà di una “separatista” anti-Maidan che hanno preso parte all’ occupazione dell’amministrazione regionale o del consiglio comunale nella primavera del 2014? O è almeno stata una commentatrice attiva sui media russi? Dopo il colpo di stato del Maidan, l’Alexandrovskaia ha lavorato nell’organizzazione civile “Sloboda”. Le finalità erano del tutto pacifiche, anche in base agli standard dell’attuale regime politico: conseguire più potere per la regione di Kharkhov, seguenoo la riforma governativa per decentralizzare il potere e la capacità di applicare misure economiche proprie. Non c’era nessuna menzione all’auto-determinazione di Kharkov, dell’autonomia nazional-culturale dei cittadini di etnia russa, di un parlamento proprio né, naturalmente, dell’autonomia.
Durante quasi un anno l’Alexandrovskaia ha esercitato le sue attività pubblicamente e apertamente. Sloboda teneva le sue riunioni in un hotel di Kharkov, mai segretamente. Organizzava manifestazioni nella capitale. Ha pure organizzato una raccolta di firme per una petizione al Presidente dell’Ucraina. Ha addirittura ricevuto una risposta dal capo aggiunto dell’amministrazione Poroshenko, Alexey Filatov, che aveva assicurato che la petizione sarebbe stata considerata. In tutto questo tempo non ha ricevuto pressioni di sicurezza né minacce di accusa di attività illegali.
Ma adesso le cose sono cambiate.
Perché sta succedendo questo? La minaccia “separatista”, quando politici e cittadini comuni sono scesi per strada portando il nastro di San Giorgio, la bandiera russa, e gridando slogan tipo “abbasso la junta” è finita da molto tempo. Almeno nel breve periodo. Ma il regime traballa: milioni di persone stanno soffrendo della situazione economica, dell’aumento dei prezzi e molti sono stanchi dello stato di polizia. Tuttavia, il valoroso servizio di sicurezza (SBU) sbatte in prigione i cittadini che pensano liberamente.
L’unica possibile minaccia è, in teoria, l’opposizione legittima, quella che è formalmente consentita dalla legge e che continua la sua attività in Ucraina. Questi, l’opposizione, non protestano contro la guerra civile in Donbass, non esigono la cancellazione della politica criminale di integrazione europea, e rifiutano di riconoscere che la Crimea è persa per sempre. Ma criticano la politica socio-economica delle autorità, di volta in volta chiedono le dimissioni di alcune cariche governative e sostengono gli accordi di Minsk. Ovvero provano, se è possibile, a non vendere l’anima e, contemporaneamente, a tenersi fuori di galera.
Su questa lista si possono inserire alcuni deputati del Blocco dell’Opposizione (almeno l’ala di sinistra delle sue fila, come Vadim Rabinovich o Evgeny Muraev), il leader delle forze di sinistra Vasyl Volga o Natalia Vitrenko, del Partito Socialista Progressista. A questi si può aggiungere l’Alexandrovskaia, che operava all’interno della legge, ma che chiaramente non sostiene Poroshenko e i suoi. La fine dell’opposizione legale è diventata il prossimo obiettivo del SBU (e quindi del regime di Kiev in generale) dopo aver messo fine con i “separatisti radicali” e con ciò che rimane della primavera russa, che continua in clandestinità.
E questa persecuzione non si limita ai politici, ma anche a giornalisti, intellettuali e figure pubbliche.
Ad esempio i membri del Consiglio Popolare di Bessarabia, che operano dentro la legge, nonostante il loro carattere draconiano e dittatoriale, hanno ricevuto simili accuse. Io stesso, che lavoravo per un importante giornale on line, Navspravda, e sporadicamente scrivevo articoli e reportage per il quotidiano Vzglyad, cercavo di mantenermi dentro la legge [Artyom Buzilla si è dichiarato colpevole del reato di separatismo per evitare una pena che poteva arrivare a 5 anni di carcere. Ha passato 11 mesi in prigione e ha abbandonato il paese immediatamente dopo essere stato messo in libertà, NDT]. O Elena Glischinskaya e Vitaly Didenko: la loro attività di giornalisti professionisti non riguardava affatto l’arrivo dei carri armati russi a Odessa o le dichiarazioni di Odessa e Bessarabia come stati indipendenti.
Il caso più recente si è verificato solo pochi giorni fa. Il capo di Odessa di “Settore Destro” Sergey Sternenko ha chiesto al direttore dell’Università Nazionale di Odessa di rimuovere Elena Radzikhovskaiya, Professore Associato e Dottore di Storia. Ha accusato la donna di essere esattamente come suo figlio (l’attivista di Borotba Andrei Brazhevsky), rimasto ucciso nella Casa dei Sindacati di Odessa il 2 maggio 2014. La sua colpa sarebbe quella di aver osato parlare del rogo davanti al Parlamento Europeo. Adesso rischia di perdere il suo lavoro a causa di intimidazioni organizzate con molta probabilità dagli stessi radicali che stanno dietro la morte di suo figlio. Non mi sorprenderebbe se il SBU si interessasse a questa storia – no, non per investigare sulle azioni di Pravj Sektor contro persone innocenti, ma piuttosto sulle opinioni della Radzikhovskaiya.
L’Ucraina continua a sprofondare nella palude dell’autoritarismo. Arresti, intimidazioni, ogni cosa è possibile. Molti dei miei colleghi russi mi chiedono: “Perché il sud est si è arreso? Perché Odessa, Kharkov, Kherson rimangono in silenzio?”. E io cito come esempio casi come quello dell’Alexandrovskaya. Qualsiasi attività sociopolitica, per non parlare di atti di protesta, ben che vada finisce con minacce e intimidazioni da parte della destra radicale, se invece va male finisce con l’arresto e con una lunga detenzione da parte dei servizi di sicurezza. Se trattano così ex deputati parlamentari e famosi giornalisti, cosa faranno ai cittadini comuni? Nessuna attività è possibile senza arrivare ad un accordo con il regime.
E intanto la repressione continua e non si vede una fine. Chi sarà il prossimo?

L'autore è ex prigioniero politico

Fonte: Contropiano 

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