Con una visione della realtà che la circonda ancora una volta fuori fase, era piuttosto velleitaria la minaccia dei ministri Ue a Erdogan, lunedì a Bruxelles: se la Turchia ripristina la pena di morte, non entrerà nell’Unione. Ieri il nostro ministro degli Esteri lo ha ripetuto con convinzione in varie interviste. Posto che il problema ora sia come tenere quelli che pensano di uscirne e non come attrarne di nuovi in Europa, l’idea che Bruxelles ha di quel Paese è decisamente antiquata: alla Turchia di oggi, quella di Erdogan, non interessa più entrare nella Ue.
Le sue ambizioni sono ormai globali, più orientali che occidentali, più da Sublime Porta che da paese moderno. La trattativa con la Ue avviene solo per tenere un’opzione sempre aperta come vuole la diplomazia e perché, alla fine, è economicamente vantaggiosa: come dimostra l’accordo sui rifugiati.
Le sue ambizioni sono ormai globali, più orientali che occidentali, più da Sublime Porta che da paese moderno. La trattativa con la Ue avviene solo per tenere un’opzione sempre aperta come vuole la diplomazia e perché, alla fine, è economicamente vantaggiosa: come dimostra l’accordo sui rifugiati.
È giusto che un governo che crede alla pena di morte non debba entrare nell’Unione. Ma la questione della condanna capitale diventa sempre più irrilevante rispetto agli altri valori democratici che la Turchia dovrebbe affermare e che invece schiaccia. Sfruttando la legittima necessità di riportare l’ordine dopo un inusitato tentativo di golpe fuori dalla storia e da ogni logica politica, il regime di Erdogan si sta trasformando sempre più in una satrapia levantina.
L’uomo che aveva costruito in Turchia un’economia smagliante da XXI secolo, la sta riportando indietro nel tempo: a quando il sultano vietava l’importazione dall’Europa delle macchine stampatrici perché i turchi non dovevano leggere. Oggi il presidente sta mandando in galera gli ultimi giornalisti indipendenti ancora a piede libero. Il passo avanti rispetto al sultano è relativo: i turchi dunque possono leggere ma solo quello che vuole il regime.
Non c’è categoria professionale, non c’è settore civile né militare che non sia sottoposto in queste ore a liste di proscrizione di fronte alle quali quelle di Silla e di Ottaviano durante la morente repubblica romana, sembrano innocui spoils system. Decine e decine di migliaia di persone: militari, poliziotti, imprenditori, funzionari di governo, dipendenti pubblici, giornalisti, insegnanti di ogni ordine e grado. Arrestati, licenziati, epurati, picchiati. Improvvisamente, tutti terroristi. È evidente che una lista di epurandi così vasta e dettagliata non poteva essere stilata su due piedi: era pronta da molto tempo prima del golpe. E se il colpo di stato non ci fosse stato, il partito-sempre più regime di Erdogan avrebbe trovato altri pretesti utili.
Dopo aver deciso di trasformare di nuovo Santa Sofia in moschea, ora Erdogan vuole rimodellare anche piazza Taksim, a Istanbul, dove i democratici hanno sempre celebrato le loro manifestazioni. Vorrebbe costruirvi due caserme e una moschea. Come per la pena di morte, sono il popolo e il parlamento che lo vogliono. E lui, Erdogan, si piegherà al volere della democrazia: come il generale al-Sisi in Egitto, come diceva Saddam Hussein, come dicevano i golpisti latino-americani e tutti i dittatori europei del XX secolo.
La cattedrale che nel 1931 Ataturk aveva trasformato in museo e la piazza nel centro della città, sono due fondamentali simboli di modernità e laicità della Turchia. Trasformarle in caserme e moschee e non in altro, spiega la profondità dell’involuzione del paese. Esce fuori l’antica natura intollerante e reazionaria del movimento dei Fratelli musulmani del quale il partito di Erdogan fa parte.
Come per il generale al-Sisi che ha una matrice diversa ma uguali comportamenti illiberali, anche di Erdogan molti dicono che è un alleato necessario per sconfiggere il radicalismo islamico. Trasformando tutti gli oppositori in terroristi – ora anche gli insegnanti, i travet e i giornalisti – questi dittatori o dittatori in pectore, sono i più efficaci incubatori di quell’estremismo che dicono di combattere. Evitando minacce ormai superate dagli eventi, forse dovremmo rassegnarci che la Turchia – questa Turchia – apparterrà all’Europa parzialmente e solo per ragioni geografiche. Il Medio Oriente con i problemi dei quali Erdogan è sempre stato più un mestatore che un risolutore, la sta risucchiando inesorabilmente.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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