di Massimo Villone
Il nuovo senato è una miniera di affascinanti scoperte. L’ultima è che i consiglieri senatori delle regioni a statuto speciale non arriveranno nemmeno a sedersi sull’agognata poltrona. Il vigente articolo 122 della Costituzione dispone l’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di parlamentare. La legge Renzi-Boschi cancella l’incompatibilità per quanto riguarda i senatori, eletti dai consigli regionali nel proprio ambito. Sono dunque senatori in quanto consiglieri, e se cessano dalla carica regionale perdono anche il seggio in senato.g
Il problema nasce perché la incompatibilità tra consigliere e parlamentare è separatamente stabilita anche dagli statuti speciali, adottati con legge costituzionale (art. 3 Sicilia; art. 17 Sardegna; art. 28 Trentino-Alto Adige; art. 17 Valle d’Aosta; art. 15 Friuli Venezia Giulia).
Si ha dunque un paradosso: il senatore deve necessariamente essere un consigliere, ma il consigliere delle regioni a statuto speciale non può essere senatore.
Il consiglio di regione speciale che eleggesse un proprio componente al senato, dovrebbe poi dichiararlo decaduto dalla carica di consigliere. Ma così verrebbe meno anche la legittimazione a sedere in senato, con conseguente decadenza anche da quella carica. Esiste dunque tra la legge Renzi-Boschi e gli statuti speciali un contrasto insanabile, che si può superare solo cancellando l’incompatibilità disposta dai secondi.
La domanda è: può la Renzi-Boschi modificare gli statuti speciali? In apparenza sì, perché è legge costituzionale come gli statuti speciali, e dunque – essendo successiva – entrando in vigore con la vittoria dei sì li modificherebbe cancellando l’incompatibilità.
Ma non è così. Perché pur essendo gli statuti speciali una legge costituzionale come la Renzi-Boschi, sono modificabili solo con un procedimento particolare, che aggiunge a quello previsto dall’articolo 138 della Costituzione il parere obbligatorio del consiglio regionale ed esclude il referendum nazionale nel caso di approvazione delle modifiche (art. 43 ter St.si.; 103 TAA; 50 V.d.A.; art. 63 F.V.G.). Lo Statuto della Sardegna prevede anche la possibilità di un referendum consultivo tra la prima e la seconda deliberazione (art. 54).
Lo statuto speciale è – come dicono i costituzionalisti – una fonte atipica rinforzata, modificabile solo con il procedimento in essa specificamente previsto.
La cosa si spiega considerando che siamo di fronte a due ordinamenti diversi: l’ordinamento statale e l’ordinamento regionale. Sono due sistemi separati, ciascuno modificabile con il procedimento in esso previsto. Quello statale potrà essere modificato con il procedimento ex art. 138 della Costituzione, quello regionale con le modalità dell’articolo 138 più le modalità aggiuntive previste da ogni statuto speciale. Quindi la Renzi-Boschi può cancellare la incompatibilità nell’ordinamento statale, ma non in quello regionale, dal quale potrà essere rimossa solo con altra legge costituzionale approvata secondo quanto previsto dagli statuti. E fino a questa ulteriore legge un consiglio di regione speciale che eleggesse i consiglieri senatori dovrebbe poi dichiararne la decadenza. Se omettesse di farlo, violerebbe lo Statuto. E non dimentichiamo l’interesse a far dichiarare la decadenza di chi avrebbe titolo a subentrare. Prepariamoci a un festival di carte bollate.
Agli errori si accompagnano omissioni e bugie. Sentiamo i sostenitori del sì rassicurare le comunità locali che temono il neo-centralismo statalista con la favola che manterranno il pieno controllo sul proprio territorio. Ma omettono di dire che la clausola di supremazia prevista dalla Renzi-Boschi permette alla legge statale di invadere qualsiasi materia di competenza regionale per ragioni di interesse nazionale o di unità giuridica ed economica della Repubblica. Nessuna materia sfugge, dalle trivelle all’ambiente, alla sanità. E per la legge adottata in base alla clausola di supremazia il voto della Camera prevale su quello del Senato dei territori. È questo l’argine a difesa delle comunità?
L’arroganza e la prevaricazione che hanno segnato l’approvazione della Renzi-Boschi hanno prodotto pressappochismo e sciatteria. In fondo, per evitare pastrocchi bastava che a Palazzo Chigi leggessero le carte. Ma questo è appunto il problema: bisognava saper leggere.
Fonte: Il manifesto
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