di Antonio Sciotto
Il Sud ha finalmente segnato una crescita positiva dopo 7 anni di crolli, ma questo non basta a rilanciarlo in maniera strutturale: +1% il Pil meridionale nel 2015, lo 0,3% in più di quello rilevato nell’intero Paese (0,7%). Evidentemente gli indicatori economici positivi non servono per il momento a trattenere la fuga degli abitanti – specie i più giovani e qualificati – verso altri lidi in cerca di fortuna. I numeri vengono dal Rapporto 2016 Svimez sull’economia del Mezzogiorno, e parlano anche di un «rischio desertificazione» negli ultimi 20 anni, con l’emigrazione di 1,113 milioni di persone, la maggior parte concentrate nelle fasce d’età 25-29 e 30-34 anni.
Va ricordato ovviamente che questo picco di crescita viene dopo anni in cui il Meridione è rimasto indietro rispetto al resto d’Italia: dal 2007, spiega lo Svimez, «il Pil in quest’area è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%)». La crescita nel Sud ha beneficiato nel 2015 di alcune condizioni peculiari: un’annata agraria particolarmente favorevole; la crescita del valore aggiunto nei servizi, soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche nell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte del flusso turistico verso il Mezzogiorno; la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato a un’accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la restituzione.
Manca però, è l’analisi contenuta nella relazione del presidente Adriano Giannola, «una politica industriale dedicata ai problemi specifici del Mezzogiorno», e per il momento quanto messo in cantiere dal governo Renzi non indica una vera inversione di rotta: «Il piano Industria 4.0 dovrebbe tenere conto in modo incisivo delle esigenze delle regioni del Sud, ma così non è».
Ci sono alcuni aspetti positivi, ma devono essere implementati: «Bene ha fatto il governo a ripristinare solo nel Mezzogiorno per il 2017 l’esonero totale dal pagamento dei contributi Inps a carico del datore di lavoro per i nuovi assunti, giovani e svantaggiati, a tempo indeterminato», ma il capitolo aiuti va rafforzato. «È necessario orientare le risorse verso interventi per la crescita dimensionale e per internazionalizzare, verso l’accesso al credito, oltre che a favore della ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico».
«Va implementata – suggerisce infine lo Svimez – Industria 4.0 declinando territorialmente a favore del Sud gli incentivi. Finanziare a tasso zero le imprese meridionali per la nuova Sabatini e implementare anche al Sud i competence center. E rilanciare l’attrattività degli investimenti attraverso le Zes, Zone economiche speciali».
Non male anche le più recenti performance dell’occupazione: cresce quella giovanile nel 2016 (+3,9%, rispetto a una media nazionale del +2,8% e al +2,4% del Centro-Nord). Nel 2015 gli occupati sono cresciuti dell’1,6%, pari a 94 mila unità: ben più dello 0,6% del Centro-Nord (91 mila unità).
«Se si investisse in cultura al Sud come già avviene nel Centro-Nord, l’occupazione crescerebbe di circa 200 mila unità, di cui 90 mila laureati», spiega lo Svimez, illustrando le grandi potenzialità turistiche del Meridione: tra il 2014 e il 2015 oltre un milione di presenze dall’estero negli esercizi ricettivi, con un aumento dell’8% della spesa dei turisti stranieri.
Ma è «l’occupazione atipica a essere tendenzialmente cresciuta» con «l’esplosione dei voucher ai quali occorre mettere un freno». Al Sud il 60% degli individui in famiglie giovani è a rischio povertà, e il Piano del governo per la lotta alla povertà «è solo un primo passo», «le risorse sono ancora troppo poche»: consentono di raggiungere al massimo un terzo dei 4,5 milioni di persone in povertà assoluta, di cui circa 2,1 milioni vivono nel Mezzogiorno.
Fonte: Il manifesto
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