di Ilaria Bonaccorsi
"L'integrazione è fallita, quindi rimandiamoli a casa loro”. La leggerezza con cui queste parole vengono pronunciate di continuo negli studi televisivi (ma non solo) mi colpisce sempre. Mi colpirebbe anche se stessimo parlando di mele o pere, di innesti scientifici di specie rare o di geni da fare incontrare ai fini di qualche ricerca. Invece parliamo di vite umane. Che noia, mi si dice ogni volta. Eppure è così. Mi hanno chiesto: “Non vede una svolta nell’operato del nuovo ministro degli Interni Minniti?”. No, non vedo una svolta, lo ripeto. Vedo semmai un peggioramento orribile su quella lunga traiettoria che parte dalle quote obbligatorie, passa per i muri, la relocation, Frontex, fino ai deliri sulle invasioni e il terrorismo.
Per poi arrivare al previsto, persino banale, finale. Un ministro che va in terra di guerra e che dice: “Noi vi paghiamo, voi ve li tenete”. Sempre quelle vite umane di prima, né le mele né le pere. Noi vi paghiamo e voi ve li tenete. Dove poi se li tengano e chi paghiamo noi per tenerseli non conta. Piccoli Cie, invece di grandi Cie. Questa sarebbe la svolta. Piccoli campi di concentramento invece di grandi campi di concentramento. Sembra un po’ la storia dei piccoli manicomi sparsi sul territorio invece dei grandi manicomi in cui le vite umane non erano più considerate umane. Dice bene Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa: «Le carceri esistono già, e ci vanno i delinquenti. Qui non c’è alcuna invasione da fronteggiare, semmai c’è da rispondere a una richiesta d’aiuto». E quando parla ha una targa davanti a sé sulla quale c’è scritto: “Quando alzi un muro, pensa a chi lasci fuori”.
Per poi arrivare al previsto, persino banale, finale. Un ministro che va in terra di guerra e che dice: “Noi vi paghiamo, voi ve li tenete”. Sempre quelle vite umane di prima, né le mele né le pere. Noi vi paghiamo e voi ve li tenete. Dove poi se li tengano e chi paghiamo noi per tenerseli non conta. Piccoli Cie, invece di grandi Cie. Questa sarebbe la svolta. Piccoli campi di concentramento invece di grandi campi di concentramento. Sembra un po’ la storia dei piccoli manicomi sparsi sul territorio invece dei grandi manicomi in cui le vite umane non erano più considerate umane. Dice bene Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa: «Le carceri esistono già, e ci vanno i delinquenti. Qui non c’è alcuna invasione da fronteggiare, semmai c’è da rispondere a una richiesta d’aiuto». E quando parla ha una targa davanti a sé sulla quale c’è scritto: “Quando alzi un muro, pensa a chi lasci fuori”.
Il mio problema è questo. Penso a chi lasciamo fuori, o sotto il mare, o dentro i Cie, piccoli campi di sterminio d’umanità. Ma noi dibattiamo di altro. Sicurezza è una parola di sinistra? Ai tempi delle fake news, delle bufale e delle post-verità vogliono imporci anche quest’altro strampalato dibattito. Odioso perché falso. Al quale possiamo rispondere solo così: sicurezza è un termine di sinistra solo se vuol dire messa in sicurezza loro, delle vite umane che scappano e che se sono fortunate riescono ad arrivare. Perché se mettiamo in sicurezza loro, siamo sicuri anche noi. Siamo liberi di essere liberi perché loro sono liberi di vivere una vita umana. Come noi. Non c’è convenzione geopolitica o pigmento della pelle che giustifichi tanta stoltezza. L’integrazione è fallita? Chiediamoci perché e come costruirla invece. Sfondiamoci di dibattiti e di studio su questo, vi prego.
Fonte: Left
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