di Sergio Cararo
Al di là della morsa del gelo che attanaglia il paese da nord a sud, la temperatura politica dei prossimi mesi potrebbe al contrario surriscaldarsi parecchio. I “cigni neri” che si alzano sempre più spesso spazzano via parvenze di stabilità e toppe peggiori del buco. Proponiamo ai lettori e ai compagni che seguono il nostro giornale alcuni spunti che, ci sembra, meritano di essere discussi e approfonditi. Contiamo che, almeno su questo, i commenti non siano demenziali o limitati ad una logica del like che diventa sempre più mortificante.
1) Gli effetti del NO al referendum sui progetti delle classi dominanti sono stati più pesanti di quanto abbiamo immaginato. E’ quasi desolante verificare la distanza tra le preoccupazioni degli esponenti della borghesia (dal Corriere della Sera a Confindustria) e la rassegnazione con cui anche tante compagne e compagni hanno visto nella nomina del governo/clone di Gentiloni un passaggio amministrativo, quasi che il risultato referendario e la sua composizione sociale siano stati alla fine irrilevanti. Sono i nostri nemici a riconoscere che non è stato così. L’essersi abituati alle sconfitte non deve e non può impedire di riconoscere una vittoria, e soprattutto i suoi effetti. Il risultato referendario dimostra che anche in Italia si è rotta la capacità di egemonia delle classi dominanti sulla società, ed in particolare sui segmenti sociali più colpiti dalle misure antipopolari adottate in questi anni, su input siadell’Unione Europea che dell’odio di classe dei ricchi. Il sistema di comando e controllo fondato su mass media, vincolo europeo, personalità dello spettacolo, piccoli intellettuali, gruppi affaristici, cortigiani del potere, non riesce più a imporre la sua tabella di marcia.
2) Le classi dominanti in Italia, dopo la variabile “imprevedibile” di Berlusconi – che ha rinviato di almeno diciassette anni (dal 1994 al 2011) le scelte strategiche del capitalismo più legato alla dimensione europea, ben riassunte nella lettera della Bce dell’agosto 2011 che portò al “golpe” e al governo Monti – oggi vedono fallire il tentativo di imporre la lorogovernance tramite il bipolarismo. La causa, ancora una volta, è una nuova variabile imprevista: il M5S. L’entrata in campo di un terzo soggetto politico consistente ha fatto saltare ogni velleità maggioritaria e la farsa dell’alternanza di governo. Quello che tutti vedono è il tentativo di depotenziare con ogni mezzo l’ingombrante opzione del M5S (vedi il sistematico killeraggio bipartisan sulla Raggi a Roma, favorito dall'indubbia inconsistenza di quella giunta). Molto meno evidente è che, se dovesse fallire il tentativo di frantumare il fenomeno “grillino”, una parte della borghesia potrebbe vedere il M5S – o parte di esso – come una opzione possibile per mettere una ulteriore toppa ad una situazione strappata in più punti. La repentina scelta del M5S al Parlamento Europeo di aggregarsi al gruppo parlamentare liberale ha mandato qualche palese segnale in questa direzione; anche se il rifiuto opposto dai “liberali europei” dimostra che certi salti della quaglia – abituali nel devastato panorama italico – non sono (ancora) facilmente replicabili su scala continentale. O perlomeno ha messo a nudo la debolezza del “blocco sociale” alla base del successo grillino, che non può vantare al momento alcuna frazione rilevante del capitale dominante in Europa.
3) Di fronte al fatto che quote consistenti della popolazione si estraniano, si distanziano e si dichiarano ostili al sistema e ai suoi custodi, le organizzazioni politiche delle classi dominantisono costrette a mettere da parte i riti del bipolarismo obbligato, e ricorrono sempre piùspesso a governi di coalizione o di “unità nazionale” tra partiti che prima si spartivano il monopolio della rappresentanza alternandosi al governo, senza però grandi differenze tra loro. Le due fazioni del “partito unico” sono ora costrette, quasi ovunque, ad agire come unsoggetto unico tenuto insieme dalla preoccupazione dei “populismi”,dietro cui non è difficile intravedere la voglia di riscatto sociale delle classi subalterne; spesso deviata a destra e contro falsi bersagli, naturalmente, ma potente e al momento incomprimibile. Avere o non avere un governo non è più la principale delle preoccupazioni del capitale dominante. Il “lavoro sporco” contro i lavoratori salariati e i ceti medi impoveriti si può fare anche con il “pilota automatico” messo in campo dall’oligarchia europea. Il Belgio e la Spagna sono stati anni e mesi senza governo, ma questo non ha provocato scossoni o instabilità significative.
4) Il governo Gentiloni, per quanto grigio e sottotono, non sembra nato per lasciare presto la partita. Il vertice europeo di marzo a Roma e la riunione del G7 a Taormina, in maggio,rappresentano una strettoia in cui l’Italia non può presentarsi senza un esecutivo. In tale scenario diventa difficile arrivare ad elezioni entro giugno. La natura e la modalità democristiana del governo Gentiloni-Mattarella, sta cercando di ridurre i danni dell’arroganza scervellata di Renzi e Napolitano, ma cerca anche di mantenerne gli obiettivi di fondo sul piano economico, sociale, istituzionale. Sul suo cammino si trovano però incognite pesanti, come il possibile referendum su Jobs Act e voucher, la nuova legge elettorale; la tagliola di marzo della Commissione Europea sulle spese in chiave elettoralevolute da Renzi nella Legge di Stabilità; per non parlare degli ingenti interessi da pagare sui titoli del debito pubblico in scadenza nel 2017. Infine, ma non certo per importanza, ci sono le turbolenze internazionali, sia quelle relative ai rapporti interni all’Unione Europea, sia quelleche innescate dall’avvento di Trump alla guida degli Stati Uniti.
5) Le classi dominanti, sia a livello europeo che negli Usa, continuano a mettere toppe peggiori del buco nel tentativo di dare soluzione – senza riuscirci – alla crisi di sistema riesplosa nel 2008. Sempre più spesso si ricorre alla politica dei fatti compiuti (vedi i blitz di Obama prima di lasciare la presidenza Usa) o alle rigidità dei vincoli (vedi le direttive sempre più strette dell’Unione Europea sull’economia, o sul riarmo militare europeo), nel tentativo di dare una parvenza di stabilità ad un sistema in continua fibrillazione.
6) Dunque la gelata invernale di questi giorni si incrocia sul terreno politico, con lastre ghiacciate e scivolose ben più pericolose. Il problema è come coglierne il lato positivo, per rovesciare la tendenza o almeno far deragliare il convoflio del potere. L’esito del referendum dimostra che, seppur niente affatto facile, non è impossibile. Si tratta di individuare le contraddizioni più dolorose del nemico di classe e usarle per far crescere un movimento popolare che torni a rivendicare una cambiamento politico e sociale vero e non fittizio. Uscita dall’Unione Europea, dall’Eurozona e dalla Nato; nazionalizzazione di banche e aziende strategiche; un piano straordinario per il lavoro vero, possono essere i punti minimi su cui rimettere in marcia un processo. Ci attendono mesi importanti, se si vuole assumere un ruolo da giocatori e non da bofonchianti tifosi in poltrona.
Fonte: Contropiano.org
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.