La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 30 maggio 2017

Il nuovo corso

di Sergio Farris 
Dunque, il gruppo parlamentare del Partito Democratico si appresta a presentare un emendamento alla manovra finanziaria da 3,4 miliardi nel quale è stata inserita la “novella” legislativa che ripristina l’uso dei voucher e “regola” la prestazione occasionale di lavoro per le imprese. La “manovrina”, somministrataci dalla Commissione Europea tanto per ribadirci chi veramente controlla la politica fiscale nazionale, diviene anch’essa un omnibus, cioè un mezzo per far approvare con voto di fiducia le misure più disparate.
A parte questo, che non costituisce di per sé una novità, l’aspetto saliente della vicenda è che la reintroduzione dei voucher (rinominati libretto famiglia) insieme all’esordio di una ulteriore forma di precarietà lavorativa, evidenzia il fatto che le forze politiche le quali hanno in Commissione Bilancio alla Camera votato a favore del provvedimento, calpestano la democrazia senza neanche peritarsi di salvare le apparenze. Una volta di più, la maggioranza parlamentare del momento dimostra con una certa iattanza la propria separatezza rispetto al corpo sociale, sulla carta sovrano e al quale le procedure costituzionali riservano, anche tramite istituti specifici (nella fattispecie, l’art. 75 della Costituzione), la partecipazione a importanti decisioni ad esso riguardanti. Il fatto che si sia simulato l’intento di eliminare una norma che contemplava un’infima forma di ingaggio lavorativo (il voucher) soltanto al fine di eludere una consultazione popolare in materia, non lascia spazio ad interpretazioni alternative: è stata inflitta una grave lesione all’ordinamento democratico. 
Non nutrivamo dubbi circa il posizionamento da parte dell’attuale governo e del suo partito di riferimento a favore di una politica che prevede il sacrificio del lavoro dipendente a tutto vantaggio del profitto d’impresa. Sullo sfondo, vi è l’interessata e collusa convinzione ideologica secondo cui, nel quadro nazionale che si vuole concepire alla stregua di un'irrealistica fissità armonica, vi sarebbero soltanto soggetti sociali tutti parimenti qualificabili nel duplice e indistinto ruolo di “produttori” e “consumatori”, di modo che verrebbero opportunamente obnubilate le distinzioni di ceto basate sulla proprietà dei fattori di produzione e sul reddito che ne deriva. Ecco, allora, il fuorviante ammiccamento alle “famiglie” bisognose di servizi altrimenti non procacciabili tranne che in condizioni di lavoro irregolare, ed il richiamo ai piccoli produttori (cioè le micro imprese, che sono in Italia il 95%) altrimenti ostacolati dal costo del lavoro e dalla burocrazia. 
Ma ciò detto, l'altro elemento che viene in rilievo è il deteriore aspetto che assume, nella poco commendevole vicenda, l’implicito fine di soffocare sul nascere qualunque dibattito pubblico che ponga al centro i temi del lavoro e della relativa precarietà. Quest’ultima deve considerarsi un dato acquisito, cristallizzato sul piano giuslavoristico, istituzionalizzato sul piano politico e, infine, interiorizzato nel sentimento comune. Va scongiurato, inoltre, il rischio che con la risalita dell'inflazione non si verifichi il caso che anche i salari comincino ad assumere una traiettoria ascendente. Su questo fronte, i “nostri” politici tengono la guardia costantemente alta.
Questione chiusa. E’ questo il messaggio che la trasformistica maggioranza politica coagulatasi in Commissione Bilancio contro il lavoro (anche Forza Italia e Lega hanno votato a favore) trasmette al paese. E per quanto riguarda lo sfregio alla democrazia, pazienza. Tanto, si dirà, la maggior parte dei cittadini era già disaffezionata.

L'articolo è liberamente riproducibile citando la fonte

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.