La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 giugno 2017

Proporzionale e Mitbestimmung: alcune note sulla democrazia tedesca

di Lorenzo Cattani
Nel dibattito pubblico degli ultimi giorni si è discusso molto di come dovrebbe essere la legge elettorale. Fra le varie proposte, quella che attualmente ha guadagnato più spazio è quella del cosiddetto “proporzionale alla tedesca”, considerato come un ottimo esempio di legge che garantisce un buon equilibrio fra rappresentatività e governabilità. Tuttavia, in questo dibattito si tende a vedere la legge elettorale come un qualcosa di separato da tutto il resto, interpretandola più come un’istituzione che stabilisce meramente le modalità di un’elezione, senza prendere in esame quelli che sono i legami fra questa istituzione e tante altre. In questo articolo, prendendo spunto proprio da un dibattito pubblico che si è concentrato su questo modello, verrà proposta una panoramica sulla democrazia tedesca, in particolare sui legami fra il sistema politico e quello del governo d’impresa e delle relazioni industriali, cercando di fare luce sul perché in Italia la “democrazia renana” non abbia mai smesso di suscitare interesse.
Co-determinazione e stakeholding
Le caratteristiche principali del modello tedesco sono abbastanza note. Tuttavia, è interessante osservare le strategie d’impresa applicate all’interno delle aziende tedesche. Alla base del modello di stakeholding, vi è un’idea molto specifica del concetto di impresa che in Germania appare molto solida. Tale idea è quella dell’impresa come “entità sociale” che, basandosi su dei valori fondamentali e su una determinata concezione di ordine morale all’interno di una società, vede le imprese come delle istituzioni sociali che formano la nostra identità e non sono solo delle alleanze contrattuali per una temporanea ricerca di profitti. Il “valore intrinseco” dell’azienda viene giustificato poiché sarebbe moralmente giusto, non dipenderebbe da variabili “concrete” ma si baserebbe invece su emotional faith e social belief. L’entità più collettiva che individuale delle imprese tedesche fa sì che i dirigenti debbano tutelare gli interessi di tutti gli stakeholder. Ne consegue che il mercato non possa essere l’unico strumento per la gestione delle relazioni tra management e dipendenti o delle relazioni tra imprese. L’intervento legale per risolvere fallimenti di mercato, costi di transazione o dispute e conflitti d’interesse diventa necessario, così come diventa necessario un sistema che possa garantire bilanciamento nella gestione dell’azienda. Tale bilanciamento prende forma in due modi: concentrazione della proprietà e rappresentanza dei lavoratori
In Germania le relazioni tra imprese e proprietari sono caratterizzate da grandi azionisti (in alcuni casi uno solo) che seguono motivazioni principalmente strategiche quando decidono di acquistare le azioni di un’impresa (anziché concentrarsi sulla massimizzazione del valore azionario). Secondo Seibert il 90% delle aziende tedesche ha al suo interno un azionista che possiede almeno il 10% dell’azienda. Gli investitori che possono avere interessi strategici detengono il 57% delle azioni su tutto il mercato azionario, tali investitori sono banche, soggetti provenienti dal settore pubblico e altre imprese. Allo stesso tempo la forza lavoro gode di un forte potere di voice tramite la contrattazione e la co-determinazione (Mitbestimmung), tramite la formazione dei consigli del lavoro e dei consigli di sorveglianza[1]. I consigli del lavoro vengono chiamati in causa quando bisogna prendere decisioni su temi specifici che influenzano direttamente le condizioni lavorative, come ad esempio la riduzione dell’orario lavorativo e gli straordinari, le condizioni economiche, il pagamento dei bonus, ma anche l’introduzione di nuove tecnologie. In tutti questi casi gli interessi dei lavoratori vengono rappresentati dai consigli del lavoro. Nei consigli di sorveglianza invece vengono prese decisioni strategiche come investimenti importanti, fusioni e acquisizioni, politica in materia di dividendi, cambiamenti nella struttura del capitale e nomina dei top manager. Anche in questa sede i lavoratori hanno i propri rappresentanti che lavorano a stretto contatto con i consigli del lavoro e i rappresentanti sindacali, perciò non vanno visti come rappresentanti isolati.
Mark J. Roe, autore di un libro sulle “determinanti politiche della corporate governance” sostiene che l’efficacia di un particolare modello di governo d’impresa vada misurata in relazione al proprio contesto istituzionale. Nella sua analisi, Roe scompone l’impresa in tre componenti: proprietà, management e forza lavoro, affermando che per poter essere produttiva, un’azienda debba minimizzare il conflitto sociale[2] fra questi tre attori. Nello specifico, il conflitto sociale, che spesso coinvolge proprietari manager e lavoratori, porta a compromessi politici che possono determinare la struttura di una delle componenti fondamentali dell’impresa. L’idea è che la politica possa determinare, ad esempio, una particolare struttura della forza lavoro, la quale sarebbe compatibile solo con una particolare struttura del management e della proprietà. Ad esempio, la co-determinazione richiede una proprietà concentrata poiché tanti azionisti che possiedono piccole quote di un’impresa farebbero più fatica a confrontarsi con il labor block. Tuttavia, se è possibile che la politica determini una tale strutturazione del governo d’impresa, è logico pensare che la struttura della politica stessa debba mettere i policy marker nelle condizioni di poter effettivamente prendere le decisioni più adatte all’impalcatura istituzionale del regime di produzione. Per questo motivo, viene presentata una descrizione generale del sistema politico tedesco, evidenziandone le principali analogie con il governo d’impresa e le relazioni industriali.

Democrazia non-maggioritaria e complementarietà istituzionali

Il motivo per cui la legge elettorale tedesca è largamente vista come un successo è perché fondamentalmente racchiude al suo interno le caratteristiche del capitalismo e della democrazia tedeschi, cosa che la rende la miglior legge elettorale possibile per l’intero sistema.
Ogni studente di scienze politiche ha incontrato, durante il suo percorso di studi, il lavoro di Arend Lijphart sulle democrazie maggioritarie e consensuali. Nel caso tedesco, per quanto non si possa parlare di democrazia consensuale “pura” (i casi di studio principali sono il Belgio e la Svizzera), si può fare rifermento ad un modello “non maggioritario”, in cui le decisioni sono prese a maggioranza qualificata, che può variare dal “50 percento più due” all’unanimità, mentre le minoranze hanno potere di veto e possono essere molto ristrette o anche ampie quasi come la maggioranza. Ciò che comunque distingue il modello tedesco da altri casi è il forte mix fra elementi maggioritari e proporzionali che formula però esiti più simili a quelli di una democrazia consociativa. All’interno del modello “non maggioritario”, Lijphart evidenzia otto elementi distintivi
  1. Condivisione di potere all’interno dell’esecutivo
  2. Equilibrio di potere fra governo e parlamento
  3. Bicameralismo forte
  4. Sistema multipartitico
  5. Sistema partitico multidimensionale, basato non solo sulle differenze socio-economiche
  6. Rappresentanza proporzionale
  7. Federalismo e decentralizzazione
  8. Costituzione scritta e minority veto
In Germania non ci sono mai stati governi monopartitici, ma si sono sempre alternate delle coalizioni. Fino al 1998, le coalizioni di governo erano formate da CDU-CSU e FDP (cristiano-democratici e liberali), SPD e FDP (socialdemocratici e liberali) e, qualora le opzioni coalizionali standard non permettessero il raggiungimento della maggioranza, SPD e CDU-CSU, la cosiddetta “Große Koalition”. Dal 1998 in poi, a queste coalizioni di governo si è aggiunta anche la coalizione “rosso-verde”, fra SPD e i Verdi, che ha governato il paese fino al 2005. Nonostante ciò, la grande coalizione fra SPD e CDU-CSU continua ad essere scelta quando non vi sono altre soluzioni per formare una maggioranza: da questo punto di vista è importante segnalare che negli ultimi anni la grande coalizione è stata formata molto spesso (più precisamente dal 2005 al 2009 e dal 2013 al 2017, a fronte di un solo precedente dal 1966 al 1969).
Nonostante venga spesso definita “democrazia del cancelliere” per via della posizione ricoperta dal primo ministro, tale posizione è soggetta a molti vincoli, fra cui il forte potere di agenda-setting di cui gode il parlamento. Se il governo e una maggioranza della camera alta possono presentare progetti di legge da discutere, alla camera bassa (il Bundestag) è sufficiente un gruppo parlamentare con almeno il 5% dei membri del Bundestag per poter presentare un progetto di legge. Il governo è anche molto vincolato sugli emendamenti, che possono essere proposti solo da singoli parlamentari o da gruppi parlamentari; è però giusto specificare che tali emendamenti sono in gran parte avanzati su aspetti tecnici che non cambiano l’impostazione generale della legge. Il governo può a sua volta porre il veto su emendamenti o leggi in materia finanziaria, in particolare su leggi che aumenterebbero il livello di spesa oltre il budget proposto.
Grazie al ruolo centrale svolto dalla camera alta, rappresentativa dei Lander e non eletta dai cittadini (Bundesrat), la Germania rientra a pieno titolo tra i casi di forte bicameralismo simmetrico (Schmidt 2003, 58). Le modifiche costituzionali richiedono una maggioranza dei due terzi di entrambe le camere, cosa che conferisce al Bundesrat un potere di veto sulle modifiche costituzionali richieste dal governo o dal Bundestag (ibidem, 58). Anche la legislazione federale che influenza direttamente gli interessi dei Lander è soggetta al consenso del Bundesrat; ad oggi, è stato necessario il voto del Bundesrat per un numero di leggi tra il 50% e il 60%; il Bundesrat, detiene quindi un potere di veto di grande importanza (ibidem, 58). Infine, potendo chiedere un processo di riconciliazione su leggi controverse, a prescindere dal consenso richiesto per l’approvazione delle stesse, il Bundesrat ha la possibilità di influenzare anche la legislazione che non ne richiederebbe l’approvazione (ibidem, 58). Il governo federale deve quindi contrattare molto spesso con la camera alta, contrattazione che può inasprirsi qualora la maggioranza alla camera alta non sia la stessa della camera bassa, scenario tutt’altro che raro nella storia tedesca (Schmidt 2003, 59).
Le due principali dimensioni di conflitto della società tedesca sono, storicamente, quella socio-economica e quella religiosa. Il class-cleavage è stato parzialmente superato grazie allo sviluppo del welfare e all’aumento del benessere dopo il periodo bellico e ad oggi, la sola appartenenza sociale non è più una variabile affidabile per analizzare le preferenze elettorali. Questa frattura è stata accompagnata da un cleavage religioso, che vedeva contrapposte la SPD e la FDP (laici) da un lato e la CDU-CSU (cristiano-democratica) da un altro, quest’ultimo partito si è prefisso di costruire un ordine sociale basato su valori e norme cristiane, provando ad unire Cattolici e Protestanti in un moderno partito di centro. Questa frattura però ha perso importanza, in seguito all’apertura all’elettorato laico della CDU-CSU e ad una più generale secolarizzazione della società. A fronte di una perdita di rilevanza di queste fratture, vi è anche l’emergere di due nuovi cleavage: quello tra materialismo e post-materialismo e quello tra Est e. I Verdi e DIE LINKE sono i principali beneficiari di queste due nuove fratture. I Grünen mettono infatti al centro del loro programma concetti come lo sviluppo sostenibile e altre tematiche ambientali, mentre DIE LINKE, che raccoglie molti conensi nelle regioni orientali del paese, si è invece posta come alternativa a tutti i principali partiti di matrice “occidentale”, enfatizzandone le “promesse non mantenute”.
Partendo da questo punto non si possono non spendere delle parole sul sistema partitico tedesco, che negli anni è andato incontro ad una frammentazione crescente. Infatti, se fino agli anni ’80 poteva essere definito “triangolare”, oggi osserviamo un sistema decisamente multipartitico. La coesione del sistema è calata costantemente dopo le elezioni del 1987, anno in cui i Verdi raccolsero un importante risultato elettorale, raggiungendo l’8,3%[3]. L’indice Herfindal-Hirschman, che misura la frammentazione del sistema partitico e che varia fra 0 (totale frammentazione) e 1 (one party rule), conferma il calo significativo della coesione del sistema: dallo 0,40 del 1983 fino allo 0,25% del 2009[4]. Tale frammentazione è perlopiù l’esito dei successi elettorali dei Verdi e del PDS, che in seguito alla fusione col WASG ha dato origine a DIE LINKE. Con questo nuovo scenario ci si è spostati dalla triangolazione fra SPD, CDU-CSU e FDP, con quest’ultimo che esercitava ruolo di pivot, ad una “quadriglia bipolare”, che vede contrapposti SPD e i Verdi da un lato e la CDU-CSU e la FDP dall’altro. Infine, non è da escludere che in futuro anche DIE LINKE possa entrare a far parte delle coalizioni elettorali a livello federale, dopo alcune alleanze strette a livello locale su cui Pandora ha pubblicato altri articoli .
Il raggiungimento di questo nuovo settaggio del “mercato elettorale” tedesco è stato reso possibile da una legge elettorale che, al pari della stessa democrazia tedesca, tende a rappresentare la frammentazione del sistema politico in parlamento, fornendo però dei correttivi che incentivino la stabilità di governo. Il sistema elettorale consiste in due voti, il primo è dato ad un candidato, il secondo è dato ad un partito. Il secondo voto è quello più importante (alcune forze politiche come i Verdi, nei loro spot elettorali molto spesso menzionano solo il secondo voto e non il primo), poiché determina la suddivisione dei seggi al Bundestag fra i vari partiti. Per entrare in parlamento, i partiti devono superare una soglia di sbarramento fissata al 5%, che rappresenta uno dei principali elementi di “disproporzionalità” di voti e seggi, che comunque registra valori molto bassi in generale. È infatti importante sottolineare come la soglia del 5% non abbia impedito a nuovi attori politici come i Verdi e DIE LINKE di entrare nel Bundestag, cambiando significativamente le dinamiche coalizioni, nel corso del tempo.
La Germania è una repubblica federale e, come altri sistemi federali, la sua struttura è più complessa rispetto a quella di uno stato unitario come lo era il Regno Unito prima della devolution. È un paese con 17 governi, di cui uno federale con sede a Berlino e 16 governi regionali, uno per ogni Bundesland. Ogni Bundesland è guidato da un governo composto da presidente e ministri eletti dal parlamento statale e possiede una propria corte costituzionale. Nonostante i loro poteri possano sembrare limitati, gli stati svolgono un ruolo chiave nella politica e nel policy making del paese, al punto che è stato affermato che la Germania sia una “repubblica di stati principi”. Questo riflette l’importanza degli stati nella legislazione federale, il loro predominio nell’amministrazione e l’importanza di molte elezioni dei parlamenti statali, cosa che segna il ruolo centrale dei governi statali e dei partiti, sia a livello federale che statale.
La Germania possiede una costituzione scritta che, a differenza di quella degli Stati Uniti, non mira solo a servire come “sistema di governance, ma anche per garantire uno stile di vita sicuro”. Al fine di poter apportare modifiche costituzionali è necessaria, come abbiamo accennato precedentemente, una maggioranza qualificata di due terzi in entrambe le camere, cosa che rende indispensabile la collaborazione tra governo e opposizione, dal momento che in Germania le coalizioni di norma non superano mai il 60%. Infine, a differenza del Regno Unito, l’esistenza di una costituzione scritta comporta che la legislazione possa essere vincolata dall’attività della Corte Costituzionale, la quale detiene ampi poteri che vanno oltre alla semplice dichiarazione di incostituzionalità di una legge. Alla Corte possono appellarsi giudici, governi statali e federali, un terzo dei membri del Bundestag e, in caso di dubbi di costituzionalità, anche tutti i cittadini del paese; la corte può inoltre emettere decisioni vincolanti in caso di contenziosi tra organi costituzionali, può bandire i partiti giudicati incostituzionali e può indire l’impeachment per il presidente della repubblica.

L’equilibrio “renano”

Gli elementi sopra descritti fanno risaltare le grandi similitudini del sistema politico con quello imprenditoriale e di relazioni industriali. La frammentazione sociale trova sintesi in un sistema dove viene riconosciuto un potere di voice a molti attori, senza però condurre tale frammentazione verso l’instabilità. La proprietà concentrata viene sfruttata come metodo per garantire un buon bilanciamento fra le parti sociali all’interno delle imprese, mentre al governo, pur con elementi correttivi volti a garantire la governabilità, importanti vincoli all’azione dell’esecutivo permettono la preservazione delle istituzioni di coordinamento del regime di produzione. A questo si aggiunge anche un ulteriore elemento, legato alla composizione sociale dei principali partiti di governo. SPD e CDU-CSU, in quanto Volksparteien, includono al loro interno quasi tutte le classi sociali[5], cosa che impedisce a questi soggetti di prendere decisioni troppo radicali che potrebbero mettere in pericolo l’esistenza di tali istituzioni di coordinamento. Non è infatti un caso se il tentativo di attaccare il lavoro organizzato da parte del governo di Helmuth Kohl negli anni ’80 fu stoppato proprio dal partito del cancelliere, la CDU-CSU, che al suo interno aveva incorporato diversi comitati sociali vicini al mondo sindacale, che non gradivano una simile politica. Ecco perché la legge elettorale funziona così bene: perché rappresenta il paese nella sua interezza, sia dal lato politico che da quello produttivo.
Lo scopo di questo articolo non è assolutamente quello di inserirsi nell’attuale dibattito italiano sulla legge elettorale. È invece quello di far capire che quando si discute di un tema così importante come quello della legge elettorale, non bisogna vederla come una semplice regola che disciplina l’elezione del parlamento, ma va pensata come uno strumento che rientra in un gioco di equilibri e meccanismi di “incastro” fra tutte le istituzioni di una nazione, trasversalmente ad ogni ambito della vita organizzata: partendo da quella politica, arrivando a quella economico-sociale. Quando si prendono in esame argomenti simili, bisogna infatti capire che scelte avventate potrebbero avere effetti importanti in moltissimi campi. La politica non è un mondo a sé stante, separato dalla vita delle imprese e degli individui, ma rappresenta invece uno strumento con cui dare stabilità a questi mondi e, pertanto, le regole della politica sono importanti anche per quelle delle relazioni industriali, del governo d’impresa e di tanti altri campi. La lezione tedesca, per quanto nel corso degli ultimi anni siano state fatte scelte fortemente discutibili i cui effetti dobbiamo ancora vedere, fa capire che una simile scelta deve essere ben calibrata su tutto lo spettro della vita organizzata.

Bibliografia
Aoki, M. (1994), The Japanese Firm as a System of Attributes: A Survey and Research Agenda, in Aoki, M. e Dore, R. (a cura di), The Japanese Firm: Sources of Competitive Strenght, Oxford: Clarendon Press pp 11-40.
Bolgherini, S. (2010), Germania: il federalismo consensuale, Il Mulino, 6, pp 974-81.
Campbell, A. (1997), Stakeholders, the Case in Favour in “Long Range Planning”, 30, pp 446–49.
Letza, S. Sun, X. e Kirbride J (2004), Shareholding versus Stakeholding: A Critical Review of Corporate Governance, in “Corporate Governance: An International Review”, 3, pp 242-62.
Lijphart, A. (1971), Comparative Politics and the Comparative Method, in “American Political Science Review”, 65, pp 682-93
  • (1985), Non-Majoritarian Democracy: A Comparison of Federal and Consociational Theories in “Publius”, 2, pp 3-15.
  • (2012), Patterns of Democracy: Government Forms and Performance in Thirty-Six Countries, Yale University Press.
Lipset, S. M. e Rokkan, S. (1967), Party systems and voter alignments: cross-national perspectives, Free Press.
Roe, M. J. (2003), Political Determinants of Corporate Governance: Political Context, Corporate Impact, Oxford University Press.
Schmidt, M. G. (2003), Political Institutions in the Federal Republic of Germany, Oxford University Press.
Vitols, S. (2001), Varieties of Corporate Governance: Comparing Germany and the UK, in: Peter Hall e David Soskice (a cura di), Varieties of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage, Oxford University Press pp 337-60.
Wood, S. (1997), Capitalist Constitutions: Supply-Side Reforms in Britain and West Germany 1960-1990, PhD dissertation, Department of Government, Harvard University.
  • Business, Government, and Patterns of Labor Market Policy in Britain and the Federal Republic of Germany, in: Peter Hall e David Soskice (a cura di), Varieties of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage, Oxford University Press, pp 247-74.

[1] La presenza di tali istituzioni è stata formalizzata con diverse leggi a partire dal 1848. Senza presentare una cronistoria al riguardo, quello che si può dire è che la rappresentanza dei lavoratori è stata oggetto di un’importante azione legislativa.
[2] Che può essere interno all’azienda, coinvolgendone le sue componenti fondamentali, o può essere esterno coinvolgendo l’ambiente in cui l’azienda opera.
[3] In precedenza erano riusciti ad entrare nel Bundestag con solo un parlamentare.
[4] Di più difficile interpretazione è l’esito delle elezioni del 2013, dove la FDP non è entrata in parlamento e la CDU-CSU ha preso quasi il 50% dei voti. Motivo per cui sarà molto interessante vedere quale sarà l’esito delle prossime politiche di settembre.
[5] Per la SPD non è sempre stato così, ma ad oggi può essere classificato a tutti gli effetti come Vokspartei.
Fonte: pandorarivista.it 

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