La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 giugno 2017

Consumo di luogo: la crisi della pianificazione pubblica degli enti locali

di Piergiovanni Alleva e Cristina Quintavalla
Il Tavolo regionale dell’imprenditoria (che riunisce l’80% delle imprese emiliano-romagnole) ha chiesto di superare i ritardi in materia di «apertura al mercato», di essere coinvolto nelle scelte relative a «impiego delle risorse destinate al welfare e sanità e nella programmazione dei modelli di servizio», di superare la «tradizionale dicotomia pubblico-privato», di «mettere al centro l’impresa», di subordinare ogni scelta della Regione alle sue ricadute sull’impresa, nonché di garantire «la partecipazione dei soggetti privati» nella stessa attività di programmazione regionale.
Il boccone è ghiotto, visto che la spesa sanitaria costituisce oltre il 70% dell’intero bilancio regionale: l’Unipol e le maggiori Coop si sono subito affrettate a promuovere forme di sanità integrativa privata, offrendo pacchetti di prestazioni sanitarie, commisurate al premio assicurativo sottoscritto. Anche il Patto per il lavoro (leggi: per le imprese), siglato in RER con le parti sociali, punta a sostenere le imprese nella corsa alla produzione «di valore aggiunto», con lauti finanziamenti regionali ed europei che, insieme con processi di fusione e aggregazione industriale, semplificazioni burocratiche (leggi: riduzione di limiti e vincoli), sgravi fiscali, innovazione tecnologica, le rendano più attrattive e competitive sul mercato.
Sempre il Patto per il lavoro propone di istituire una nuova forma di welfare integrativo: «viene istituito un fondo regionale per la sanita integrativa per l’erogazione di prestazioni extra LEA [Livelli Essenziali di Assistenza]. Fondo alimentato dalla contrattazione nazionale, articolata, e da risorse aggiuntive derivanti dall’adesione di cittadini anche non lavoratori» (ossia: i privati, le grandi assicurazioni…).
Appare evidente che si va configurando un processo di degenerazione della funzione e del ruolo delle istituzioni pubbliche. Scompare la loro funzione pubblica e sociale, quella di riequilibrare le storture del mercato, con interventi di redistribuzione della ricchezza e di tutela dei ceti meno abbienti e si afferma quella di garantire la concorrena e veicolare le rirsorse economiche dall’ambito pubblico a quello di imprese e finanza.
Anche il DdL recante Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio, approvato dalla Giunta della RER, va nella stessa direzione: legittima l’assalto neoliberista alla città pubblica ed all’ambiente, reso possibile annullando ogni pratica pianificatoria. Viene aperto un varco decisivo in direzione dello smantellamento della civiltà urbana, perché consegna i territori e le città alla rendita immobiliare e alla finanza fondata sul cemento.
È in sinergia con lo Sblocca Italia, voluto dal governo Renzi per assicurare la privatizzazione del territorio, dei beni comuni, consegnati alla grande finanza speculativa, alle società immobiliari quotate in borsa. Ne condivide persino la mistificatoria falsificazione delle finalità perseguite: «Stop all’espansione urbanistica, in nome della rigenerazione urbana e della riqualificazione degli edifici. Adeguamento sismico degli immobili, sostegno alle imprese, solo se funzionale a sviluppo e occupazione, e tutela del territorio agricolo», sta scritto.
Si dice NO al consumo di suolo, ma si prevede «un consumo pari al 3% della superficie del territorio urbanizzato» entro il 2050 con numerose eccezioni. In RER, in cui il consumo di suolo è già altissimo, questo 3% non solo può dare luogo a neo-insediamenti veri e propri, ma verrà incrementato dalla enorme quantità di previsioni urbanistiche pregresse, non azzerate dai precedenti piani regolatori. D’altro canto come non rimanere sedotti dal canto delle sirene
dell’ANCE, che ha indicato le sue priorità?
1) salvaguardare gli investimenti economici già in atto;
2) tutelare i legittimi affidamenti fondati sulle previsioni di pianificazione già approvate e per le quali sono state spesso fornite garanzie agli istituti di credito;
3) sostenere la ripresa economica, favorendo nuovi investimenti in coerenza col Patto per il lavoro.
Questa sinergia di intenti tra imprenditori e Regione discende dalla convinzione che l’espansione edilizia sia leva di crescita, anche se ha originato un’urbanizzazione frammentaria, dispersa, slegata, ha prodotto le grandi opere, drenato risorse pubbliche, privatizzato il territorio, svenduto il patrimonio storico della città, eroso il suolo agricolo.
L’ipertrofia edificatoria finalizzata al mercato è espressamente dichiarata: «gli interventi di addensamento e sostituzione urbana non sono tenuti all’osservanza dei limiti di densità edilizia e di altezza degli edifici». Via libera cioè a densità edilizie, altezza degli edifici, distanze tra essi, non più soggetti a vincoli normativi. La richiesta dei costruttori di riduzione e semplificazione degli strumenti di pianificazione, puntando ai «contenuti minimi e inderogabili degli stessi», di attuazione di «tutte le tipologie di interventi sul patrimonio immobiliare, compresa la sostituzione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, anche non fedele ed in sedime diverso, con necessari aumenti di volumetria per consentire di rendere economicamente convenienti tali operazioni», financo di «esercitare eventuali premialità volumetriche connesse ad interventi di rigenerazione edilizia non utilizzabili in loco» è stata accolta.
La RER ha persino fatto di meglio: ha smantellato la pianificazione urbanistica. Il Piano Urbanistico Generale, che diventa l’unico strumento urbanistico di pianificazione dei comuni per l’uso e la trasformazione del territorio, «non può stabilire la capacità edificatoria», demandata agli accordi operativi: la sostituzione della pianificazione urbanistica con la contrattazione tra pubblico e privato su proposta dei privati da approvare entro 60 giorni.
È il trionfo dell’iperliberismo: tutto è conferito all’iniziativa dei costruttori, che vengono sostenuti dagli enti territoriali a rendere economicamente convenienti tali operazioni, attraverso la diretta negoziazione della disciplina urbanistica. Siamo di fronte ad un attacco frontale al ruolo dei Comuni, che vengono esautorati dalle loro funzioni e resi eteronomi rispetto alle esigenze degli interessi privati più forti.
Questo DdL sottrae loro ogni capacità di intervento e di progettazione della città pubblica, quella che un piano urbanistico dovrebbe delineare a partire dall’idea che il territorio è un bene comune. Questo sistema aggraverà i processi di separatezza delle classi sociali all’interno del contesto urbano: la parte più qualificata alle classi privilegiate e la ghettizzazione riservata ai cosiddetti diversi, migranti e non, disdicevoli per il decoro urbano. I decreti Minniti-Orlando oggi legalizzano la città escludente.
Questo DdL aggrava un’inarrestabile deriva degli enti territoriali, che sono al contempo carnefici e vittime. Stretti tra il patto di stabilità interno, il taglio dei trasferimenti dallo stato, la spending eview saranno sempre più indotti a contrattare coi privati, magari solo per fare cassa attraverso gli oneri di urbanizzazione, ancorché ridotti, visto che sono utilizzabili per la spesa corrente. Più contratteranno e concederanno, più margini di manovra penseranno di avere. In realtà si approfondirà un rapporto sempre più stretto tra potere economico e poteri pubblici, da cui non sarà possibile svincolarsi.
È l’ultimo, decisivo attacco alla sovranità politica, all’espropriazione della sovranità. Così si spezza legame tra comunità e territorio. È quello che il DdL della RER sull’urbanistica fa. D’altro canto che aspettarsi da una Giunta regionale che governa con la maggioranza assoluta in forza di ben 630.000 voti su 3.460.402 elettori?

Questo testo è stato pubblicato sul sito del consigliere regionale dell’Altra Emilia Romagna Piergiovanni Alleva

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