La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 30 maggio 2017

Il pesante fardello della Grecia

di Jane Shallice
Ottobre 2016. Un taxi ad Atene. Le quattro persone stipate all’interno parlano dei luoghi che hanno visitato: “Quando ero in Macedonia …” Il tassista interrompe: “Il mio inglese non è buono, ma non potete dire Macedonia; state parlando di Skopje!” Parla della necessità che i greci restino orgogliosi del loro paese e, superando un edificio imponente, agita la mano dicendo che quando Erdogan è venuto in visita vi sventolava una bandiera turca. Ma nessuna bandiera greca. Rivolgendosi all’uomo seduto accanto a lui: “Si capisce l’importanza della propria bandiera!” Il nostro compagno sorride e dice gentilmente che non sente altro che rabbia per la bandiera britannica perché per lui rappresenta i crimini dell’imperialismo del paese.
C’è un improvviso silenzio. Rendendosi conto che le sue opinioni non portano da nessuna parte l’autista dice che il giorno precedente ha lavorato ventun ore: “L’affitto è cresciuto. I prezzi del cibo aumentano. Le tasse aumentano. E così la benzina. Devo lavorare e lavorare”. C’è di nuovo un silenzio. “Sono un essere umano. Questa non è vita! Sono un essere umano”.
Di ritorno a Londra, seguendo la fine di I, Daniel Blake, sento gli stessi sentimenti, gli stessi toni e riconosco le stesse forze che hanno determinato l’ultima disperata affermazione. Nel film di Ken Loach è quasi insopportabile guardare quelli che cercano di combattere un sistema progettato per umiliare e respingere. Un sistema imposto da politici al servizio del capitale finanziario. Mentre sono gestiti banchi alimentari in una Gran Bretagna acciaccata dal programma di austerità dei Tory, in Grecia sono state aperte cliniche, farmacie, scuole e mercati ‘solidali’ in risposta allo strangolamento imposto dalla UE.
Se le condizioni sono disperate per così tanti, perché dovremmo preoccuparci particolarmente della Grecia? E’ un modo salutare per ricordare ai sostenitori di governi in parata sotto una bandiera socialdemocratica di sinistra che non hanno alcun potere di attaccare i rappresentanti del capitale o le istituzioni della UE e del FMI? E’ che dobbiamo sostenere quelli che ancora sono in lotta? O è che questo è e sarà il futuro di molti stati? Dove la Grecia è in testa, il resto può seguire.
Occhi sulla Grecia
Se non ci fossero Trump, in tutte le sue manifestazioni, e la May, con la sua “gestione” della Brexit, gli occhi sarebbero puntati sulla Grecia. Ancora una volta lo stato greco sta barcollando sotto il peso di debiti storici e della sua incapacità di far loro fronte.
Si spara ogni sorta di dati sulla dimensione del debito: attualmente il suo debito complessivo è pari al 239 per cento del PIL (nel 2011 era il 188 per cento), mentre il debito pubblico nel 2016 è stato del 179 per cento del PIL. Il FMI sta sostenendo, correttamente, che i debiti sono insostenibili e che deve esserci un certo “perdono”. Ciò potrebbe colpire banche tedesche e francesi, ed è questo il motivo per cui la UE e la Banca Centrale Europea (BCE) si oppongono. Il FMI è ora a favore di prestiti a tassi d’interesse più bassi e a dilazioni nei rimborsi. Se su ciò non ci sarà accordo il FMI minaccia di abbandonare il suo coinvolgimento con la Troika (UE, BCE e FMI) creando un’altra crisi di proporzioni enormi.
Negli anni ’60, e in particolare sotto i colonnelli dal 1967 al 1974, la crescita pro capite greca fu tra le più alte in Europa. Il Financial Times affermò all’epoca che la Grecia era “un posto promettente per fare affari, con politiche monetarie credibili, aumenti contenuti del costo del lavoro, pace sociale, restrizioni decrescenti al commercio e un regime fiscale favorevole”. Dopo la fine della dittatura nel 1974 la Grecia continuò a essere un campo aperto per gli oligarchi (i maggiori erano gli armatori), le banche e gli interessi collegati a partiti politici, molti dei quali erano stati culo e camicia con i colonnelli.
I vent’anni successivi videro il montare di problemi, con un’inflazione elevata e crescente, caduta della produttività, una necessaria svalutazione della dracma e un accresciuto debito pubblico. I governi del Pasok (partito socialista) degli anni ’80 non svilupparono una strategia industriale né attaccarono gli oligarchi improduttivi e l’evasione fiscale divenne dilagante, aiutata da un regime fiscale mostruosamente complesso. Con la monopolizzazione di gran parte dell’economia e un credito relativamente facile i debiti personali aumentarono.
L’ingresso nell’eurozona nel 1990 consentì alla Grecia di indebitarsi a tassi d’interesse bassi e la spesa governativa crebbe del 4,7 per cento (la media dell’eurozona era dell’1,9 per cento). Ci fu un’enorme spesa aggiuntiva per le Olimpiadi del 2004 con i suoi deficit di bilancio alle stelle e la Grecia continuò a indebitarsi. I prestiti allo stato erano offerti da banche europee, principalmente tedesche e francesi, mentre le banche greche offrivano prestiti personali, tutti che apparentemente crescevano senza freni.
La Grecia costretta a pagare
E’ stato solo nel 2010 che il governo del Pasok, impossibilitato a rimborsare gli interessi sul debito, ha rivelato ma dimensione della crisi. La reazione della UE è stata categorica: la Grecia doveva pagare. La BCE ha annunciato che doveva farlo tagliando la spesa pubblica ed estendendo le privatizzazioni, il modello estesamente spacciato dal FMI e da altre istituzioni neoliberiste in tutto il mondo.
Cruciale per la UE e il FMI era che le banche non fossero lasciate con i debiti che avevano creato. (Oggi si dice che la Grecia è entrata nell’eurozona con dati falsificati sul debito ma non si indica mai che la Grecia all’epoca collaborava con la Goldman Sachs per celare la sua condizione economica mediante strumenti economici complessi e volutamente fuorvianti). Un “salvataggio” organizzato dal FMI nel 2010 ha visto la BCE e il FMI saldare 100 miliardi di dollari ai detentori di titoli. Altri 140 miliardi di dollari sono stati prestati nel 2012. E’ stato allora che il direttore esecutivo del FMI, Christine Lagarde, ha diffuso una lista dei maggiori evasori fiscali greci che avevano messo al sicuro 50 miliardi di dollari in conti bancari svizzeri, ma il partito al governo, Nuova Democrazia, si è rifiutato di agire contro di loro.
Sotto pressioni della Troika la Grecia è stata costretta a valutare privatizzazioni su larga scala: isole, coste e altri terreni, porti, aeroporti, materie prime. Non sorprendentemente le banche greche si sono rivelate non come istituzioni pubbliche operanti nel pubblico interesse, bensì come istituzioni private usate dagli oligarchi e dagli interessi capitalisti per le loro speculazioni da insider e per l’organizzazione di fughe di capitali.
Il governo Syriza, di nuova elezione nel 2015, ha creato la commissione della Verità sul Debito. Essa ha riferito che i debiti greci accumulati prima del 2012 erano “debiti odiosi”, non essendoci stata alcuna approvazione popolare dei prestiti. Nella legge internazionale tali debiti non devono essere rimborsati. La tesi ha trovato orecchie sorde.
Schiavitù del debito
Tuttavia la chiarezza della situazione è lampante. Quando i debiti dello stato diventano così grandi che non c’è alcuna possibilità di rimborsarli si dovrebbe chiamare le cose con il loro nome: schiavitù del debito [peonaggio, nell’originale – n.d.t.]. Il capitalismo si è sviluppato negli ulti trent’anni con una dipendenza molto maggiore dalla finanziarizzazione dell’economia e dall’esplosione del credito e del suo corrispondente: il debito. Per i singoli i mutui, i prestiti studenteschi, i prestiti per le auto e le carte di credito sono un luogo comune, con il montante fardello del debito sempre presente ma in qualche modo ignorato. Se i salari sono soffocati in un sistema che chiede che la gente continui a spendere e che offre un facile accesso al credito, ne seguiranno sicuramente indebitamento e impoverimento.
Analogamente nel caso degli stati. Quando la Grecia ha chiesto di aderire alla UE nel 1975 le è stato assegnato un periodo decennale di pre-ingresso. Ogni sorta di logiche politiche è stata sostenuta all’epoca quando, dopo la rimozione dei colonnelli, c’era stata una grande impennata di politica di sinistra. I lavoratori si organizzavano in sindacati e c’era un’esplicita posizione anti-UE espressa mediante domande di ritiro della Grecia dalla NATO. Si avvertiva l’esistenza di un’aria di incombente crisi politica nell’Europa meridionale e la UE aveva bisogno di ammettere la Grecia come membro. Queste considerazioni politiche sono state fattori dominanti nell’ingresso della Grecia.
Una volta dentro alle banche in Francia e Germania è stato assicurato un accesso facile, con i loro occhi puntati sugli utili futuri. Ma è stato dopo il 2010 che la Grecia è stata realmente risucchiata in una vasta catena di Sant’Antonio, con il denaro che le veniva prestato per rimborsare i creditori e poi dovendo chiedere ancora di più. La storia familiare è che vasti salvataggi della Troika sono stati usati per rimborsare le banche europee. E mentre l’economia diventava sempre più vulnerabile la Grecia come stato finiva priva di difese con le sue terre, risorse, industrie e infrastrutture che offrivano una facile presa alle imprese e agli stati rapaci pronti a risucchiarle.
Ogni volta che incombono rimborsi del debito dalla UE e dalla BCE arrivano previsioni ottimistiche di una maggiore crescita nel periodo successivo. Attualmente affermano che quest’anno sarà del 2,7 per cento, mentre il FMI afferma che sarà dell’un per cento. A febbraio, comunque, è stato annunciato che l’economia greca ha subito una contrazione “a sorpresa” alla fine del 2016. Si dice che i creditori si erano fatti “campioni del ritorno della crescita economica”, chiaramente un desiderio piuttosto che una realtà. Le richieste più recenti sono state che Atene legiferi 3,6 miliardi di dollari di imposte addizionali e tagli alle pensioni, che il governo Syriza dice che rifiuterà di consentire.
Il FMI, oggi con una proporzione inferiore di membri della UE e dunque con un margine più difficile nella sua analisi, vuole che la Grecia firmi una garanzia che introdurrà tagli più vivaci in futuro se i rimborsi non saranno effettuati in tempo. Per la UE, preoccupata dell’impatto dei titoli a proposito del debito greco sulle elezioni nazionali europee quest’anno, è vitale evitare altri inciampi. Ma la UE ha bisogno del coinvolgimento del FMI per garantire il continuo impegno della Germania, tra gli altri, ai salvataggi.
Un avviso agli altri
Nella UE la Grecia è un avvertimento ad altri paesi in cui la fragilità delle economie è mascherata dall’appartenenza all’eurozona. Un gruppo di stati – Italia, Spagna, Irlanda e altri – ha preoccupazioni in corso riguardo alle proprie istituzioni bancarie e finanziarie di altro genere. Gli stati membri della UE hanno sperimentato l’austerità in una miriade di forme. Vi sono compresi molti paesi che sono raramente citati, se mai lo sono.
Stati gravati da costanti programmi di austerità in cui i beni dello stato sono stati privatizzati o prosciugati. Economie a basso reddito disperatamente alla ricerca di attirare la delocalizzazione di grandi imprese. Luoghi con alti tassi di disoccupazione, che esportano su larga scala i loro lavoratori specializzati, come Polonia o Ungheria o Romania, o come Grecia, Spagna, Italia, Irlanda. L’impatto dell’emigrazione è stato disastroso per la vita sociale e familiare in molti paesi. In Grecia la partenza di più specialisti sta avendo un impatto spettacolare, ma gli enormi costi sociali di perdere tali competenze ed esperienze non è mai calcolato.
La Grecia rappresenta solo il 2 per cento della popolazione della UE e il 3 per cento della sua area totale, sottolineando il fatto che ogni lotta con FMI/UE per alleggerire i suoi debiti storici è supremamente politica. Quasi tutti i paesi stanno affrontando futuri indebitati, nella UE e fuori di essa, e deve essere dato sostegno a quelli che ora tentano di contrattaccare.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: redpepper.org
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

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