La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 marzo 2016

Renzi, Scalfari e un tentativo di appropriazione indebita

di Paolo Ciofi
Le scoperte di Scalfari - è cosa nota - hanno sempre una caratteristica tipicamente scalfariana: devono comunque fare colpo. In altre parole, o sono epocali o non sono. Anche di recente il padre fondatore della libera stampa, cioè di Repubblica, l’ha fatta grossa. Ha scoperto, niente po’ po’ di meno, che Renzi avrebbe impugnato «la bandiera europea di Spinelli». Roba da fare invidia a Cristoforo Colombo, ma di cui il combattente per l’«Europa libera e unita» certamente non sarebbe orgoglioso.
Fino a domenica 28 febbraio 2016 il fondatore credeva «che Renzi fosse andato inutilmente a Ventotene», e adesso «invece - sono parole sue - il messaggio contenuto nel Manifesto firmato da Spinelli, Rossi e Colorni è stato, almeno così sembra, fatto proprio da Renzi». Ma è davvero così? Sembra, o è il contrario di quel che sembra? Analizziamo i fatti.
La visita del capo del governo sull’isola dove Spinelli fu recluso durante il fascismo è stata soprattutto un’operazione d’immagine, e anche un tentativo maldestro di appropriazione indebita. Discorso vuoto, privo di riflessione storica e di progetti per l’avvenire; stanziamento di 80 milioni di euro per il restauro del carcere; annuncio di un «progetto culturale» in vista del 31 agosto 2017 per «ospitare a Ventotene e Santo Stefano il centenario di Altiero Spinelli. Questo - sottolinea Renzi - sarà il nostro modo per affermare l’ideale dell’Unione Europea». Non ha importanza se Altiero Spinelli, nulla sapendo delle intenzioni di Renzi, ha avuto il difetto di nascere il 31 agosto del 1907.
Dopo tali precedenti Scalfari ha avuto però la forza di annunciare che lo statista di Rignano sarebbe il portabandiera del Manifesto di Ventotene. Con la motivazione che nella lettera di nove pagine (lo sforzo deve essere stato titanico) spedita dal governo ai tecnoburocrati dell’Unione si sostiene che c’è bisogno di una visione europea di lungo periodo, e di «un ministro delle Finanze dell’Eurozona che persegua una comune politica fiscale». Ma non, ovviamente, di una comune tutela del diritto al lavoro e dei diritti sociali. Comunque, a questo punto è chiaro ciò che ha detto e scritto il presunto continuatore di Spinelli, prima e dopo la scoperta favolosa del fondatore della libera stampa.
Resta però un problema. Cosa c’è scritto nel Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita? Andiamo a vedere. «La rivoluzione europea - vi si legge – dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici». Di conseguenza occorre sciogliere il nodo della «proprietà privata», che «deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». Un’impostazione di grande interesse, che ritroviamo nella Costituzione repubblicana soprattutto per iniziativa di Togliatti e Basso.
Si tratta di un’esigenza che nasce dal fatto che «il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire [...] per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano». E d’altra parte ciò è necessario anche «per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto, e non solo formale».
Questo sta scritto, tra l’altro, nel Manifesto di Ventotene. Cosa c’entri lo statista di Rignano, che predica e pratica il contrario, è un mistero che neanche le inesauribili virtù conoscitive di Scalfari riescono a svelare. Mentre ormai dovrebbe essere chiaro che la santificazione di Altiero Spinelli allo scopo di disinnescare la portata rivoluzionaria del suo pensiero è una pratica ricorrente che non cancella un clamoroso dato di fatto, sistematicamente occultato e manipolato: l’Europa di Maastricht e dei trattati è l’opposto dell’Europa tratteggiata nel Manifesto di Ventotene, per la quale il suo autore ha lottato da parlamentare europeo eletto nelle file del Pci.
Nella triste circostanza della morte di Berlinguer durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 1984, Spinelli osservava: «Senza la forza del Pci non avrei potuto condurre la mia battaglia europeista». Ma - aggiungeva - si è trattato solo di un primo passo e se il progetto per l’Europa unita verrà affidato ai mercanteggiamenti tra i governi avremo alla fine la liquidazione del progetto, come poi in sostanza è avvenuto. D’altra parte, a Berlinguer era chiaro che «l’Europa dei popoli e dei lavoratori è l’unica Europa possibile», e per questo si adoperava in tutti i modi affinché il movimento operaio si facesse «forza propulsiva e dirigente di un’Europa comunitaria democratica, progressista e pacifica, che muove in direzione del socialismo».
Così non è stato, dopo la sua morte prematura. E oggi il Vecchio Continente è un campo di battaglia, nel quale si combattono senza esclusione di colpi le grandi corporations, gli “investitori istituzionali”, i fondi speculativi e gli Stati nazionali sempre più in posizione subalterna. Una lotta tutta interna al grande capitale, nella quale il capitalismo tedesco dominante, privilegiato con l’euro da un tasso di cambio più favorevole rispetto al vecchio marco, conquista i mercati esterni e detta le sue condizioni secondo la logica inesorabile del profitto. L’Unione Europea, che avrebbe dovuto rappresentare l’espressione più alta della cooperazione e della solidarietà, si caratterizza invece come un’area conflittuale, instabile e rissosa sull’orlo di una crisi irreversibile.
Uno stato delle cose determinato non già dall’eccesso di spesa pubblica e dalla sovrabbondanza di diritti sociali da ridimensionare, come insegnano il pensiero unico liberista e J. P. Morgan. Bensì, dalla impossibilità di governare il conflitto tra capitale e lavoro, tra profitto e salario, tra sfruttatori e sfruttati nello spazio europeo ed extraeuropeo, se non al prezzo del dominio assoluto del capitale sul lavoro, della cancellazione delle conquiste storiche del movimento operaio, della liquidazione dei partiti politici dei lavoratori e dei subalterni. E quindi, della trasformazione della democrazia in oligarchia per effetto della concentrazione enorme di ricchezza.
I conflitti armati si moltiplicano ai confini dell’Europa, e la guerra (per ora) senza bocche da fuoco chiamata competitività, in regime di cambi fissi e regolata da trattati che trasformano i bilanci pubblici in fattori di stabilizzazione del capitale privato, si combatte oggi a colpi di svalorizzazione del lavoro, con conseguenze distruttive sulla vita delle persone e dell’intero pianeta. Come ha notato Martin Wolf, «il perno del mercantilismo europeo è oggi la deflazione salariale competitiva che rimpiazza la svalutazione dei tassi di cambio del passato».
Ma proprio nel dominio assoluto del capitale sul lavoro, perfettamente coerente con l’impianto dell’Unione che alla centralità del lavoro antepone la centralità dell’impresa, sta la ragione di fondo di una crisi di sistema, di cui la crescita inusitata delle disuguaglianze è la manifestazione più vistosa e costante. Un contesto denso di incognite, nel quale la linea di Renzi non è orientata a rovesciare l’impianto dell’Europa di Maastricht per costruire l’Europa dei popoli e dei lavoratori secondo i principi del Manifesto di Ventotene. Bensì di impugnare il Manifesto di Ventotene per rafforzare in Italia il potere del capitale sul lavoro sotto la bandiera del liberismo.
Il suo obiettivo è una feroce modernizzazione capitalistica da far pagare ai lavoratori, ai pensionati e ai risparmiatori, a tutti coloro, uomini e donne, che per vivere devono vendere la propria forza-lavoro. Nel tentativo di dare vita a un’oligarchia di nuovo conio da collocare stabilmente dentro i processi di globalizzazione finanziaria, traendo forza dal fallimento delle vecchie classi dirigenti e cercando nuovi spazi in Europa e nel mondo. Un’operazione che toglie diritti e li trasforma in bonus, cioè in graziose concessioni del moderno sovrano e dei nuovi padroni. E che nel combinato disposto della controriforma costituzionale (eufemisticamente denominata riforma del Senato) e della nuova legge elettorale trova il suo passaggio di fase decisivo.
Emerge a questo punto una questione ineludibile, perlopiù trascurata anche da chi generosamente lotta per difendere una Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro e non sul capitale.
Come è possibile garantire i diritti costituzionali, ridotti a fantasmi evanescenti, in particolare i diritti sociali, ma anche i diritti politici e civili, se i titolari di tali diritti, i lavoratori e le lavoratrici del nostro tempo, sono sopraffatti ed esclusi, senza rappresentanza politica e senza rappresentazione culturale e mediatica?
L’impegno prioritario è sconfiggere le scelte di Renzi con i referendum, ma contemporaneamente occorre trovare una risposta convincente a questo interrogativo. La fantastica scoperta di Scalfari non serve, essendo soltanto un nonsense. Molto più utile, invece, è la scoperta (vera) di un liberal americano come Robert Reich, che dall’analisi della crisi è pervenuto secondo Paul Krugman a questa conclusione: «Reich spiegava la disuguaglianza soprattutto come un problema tecnico [...]. Oggi [...] di fatto Reich invoca una guerra di classe o, se volete, una ribellione dei lavoratori contro la guerra di classe silenziosa che l’oligarchia sta facendo da anni».
E’ esattamente la realtà del conflitto di classe. E da questa realtà dovrebbero muovere tutti coloro che si sentono impegnati nella costruzione di una nuova soggettività politica a sinistra con caratteristiche popolari e di massa, in alternativa al partito di Renzi e allo stato delle cose presente. Care compagne e cari compagni, senza una moderna analisi di classe, e del conflitto tra le classi, sarà difficile partire. E ancora più difficile andare lontano.

Fonte: paolociofi.it

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.