di Luca Tancredi Barone
Un secondo sonoro no. In un parlamento circondato da manifestanti vocianti, il candidato socialista Pedro Sánchez ha ottenuto la sua attesa seconda bocciatura: 131 sì, 219 no.
Di fatto la situazione è bloccata da dieci giorni, quando il partito socialista ha firmato un patto col partito di destra moderata di Ciudadanos. A quel punto, senza l’appoggio del Pp da una parte e di Podemos e degli altri partiti di sinistra dall’altra, irritati fin dall’inizio per i negoziati paralleli del Psoe con la destra, Sánchez non è riuscito a convincere più dei suoi 90 deputati e dei 40 di C’s (e uno del partito canario). Dal breve, ma vivace, dibattito di venerdì non ci si aspettava grandi novità, dato che nelle 48 ore passate dall’ultima votazione, non ci sono stati passi in avanti. La cronaca di ieri mattina ha visto solo schermaglie indirette fra Podemos e Psoe. L’ex eurodeputato di Podemos, il magistrato anticorruzione Carlos Jiménez Villarejo, ha criticato Pablo Iglesias con l’argomento che Podemos si sarebbe dovuto astenere poiché qualsiasi governo è meglio di quello attuale. E dopo l’intervento della sindaca di Madrid, anche quella barcellonese Ada Colau ha chiesto al Psoe di abbandonare la destra e di allearsi con Podemos.
Le posizioni difese invece dai partiti durante il dibattito sono le stesse di sempre: Sánchez si è preso il merito di aver sbloccato l’impasse istituzionale accettando l’incarico, e ha chiesto una maggioranza di deputati è disposta a votare le «200 misure» del «bene comune» (così ora ha battezzato il suo governo virtuale), attribuendo a Podemos la colpa del fatto che Rajoy continua a essere presidente. Per rendere più pesante la minaccia, il portavoce socialista in giornata aveva anche fatto velatamente capire che tutti i governi municipali in cui i socialisti appoggiano nuovi sindaci potrebbero essere in forse.
Rajoy è stato ancora una volta sprezzante, anche se evidentemente sempre più indebolito. Ma il vero istrione del dibattito è stato Pablo Iglesias, che ha aperto il suo intervento ricordando il suo bacio finito su tutti i giornali e con ironia ha chiesto a Sánchez di stringere un accordo di sinistra senza avere paura delle astensioni degli indipendentisti, e di essere il prossimo a riceverne uno («l’accordo del bacio», l’ha chiamato).
Ciudadanos ha auspicato la grande coalizione che ha sempre difeso, ed è arrivato ad auspicare che «magari» Podemos fosse come il partito comunista spagnolo della Transizione: «Quanti ministeri chiedevano? Solo la libertà», ha esclamato. I partiti indipendentisti hanno ribadito la disponibilità ad appoggiare un governo Sánchez se solo ci fossero segnali concreti – un referendum in Catalogna e un ripensamento del rapporto con Euskadi.
Anche i «piccoli» partiti di sinistra riuniti nel gruppo misto hanno rilanciato la palla a Sánchez chiedendo di rimettersi a negoziare un nuovo accordo, come ha fatto Compromís, mentre Alberto Garzón si è lamentato per la strategia di presentarsi con 130 invece che con 161 voti e gli ha chiesto di rimettersi a negoziare, concludendo visibilmente irritato verso il leader di C’s: «Non usi la storia del Pce per giustificare l’accordo con il Psoe».
Ora tocca al capo dello stato. Un monarca che la nuova stagione politica mette al centro dello scacchiere, in una posizione in cui ogni suo passo sarà al centro di critiche. Tanto più che gli spagnoli hanno davanti agli occhi le immagini di sua sorella Cristina, anche questa una primizia storica, seduta giovedì sul banco degli imputati in una causa in cui deve difendersi dall’accusa, sostanzialmente, di aver abusato della propria posizione in combutta con l’ex-marito, per ottenere finanziamenti per l’impresa di famiglia guarda caso da governi locali popolari.
Filippo VI ora ha in mano le chiavi per risolvere la crisi nei prossimi 58 giorni prima della convocazione automatica delle elezioni. Probabilmente Sánchez avrà una proroga di tempo per provare a ricucire gli sfilacciati rapporti con i partiti.
Ma se non dovesse farcela, non è chiaro se il re incaricherà un esponente del Pp – magari non Rajoy – oppure cercherà una soluzione all’italiana, catapultando un Monti spagnolo sull’arena politica. Sarebbe un’altra novità storica.
Fonte: il manifesto
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