di Michael Robert
Tony Norfield ha avuto un esperienza ventennale nelle sale operative della City di Londra, per 10 anni, come direttore esecutivo e responsabile globale della strategia in una delle maggiori banche europee. Ha conseguito un dottorato in ricerca in scienze economiche al SOAS di Londra. Soprattutto. è un marxista. E questa è la ricetta perfetta per un eccellente libro sul moderno imperialismo britannico e sulle caratteristiche della finanza globale nel 21° secolo.
Nella City, Norfield porta con sé alcune delle intuizioni chiave per la comprensione della natura dei moderni sistemi finanziari e su quale ruolo essi giochino nel funzionamento (o nel non-funzionamento) del capitalismo. Norfield sottolinea come la finanza e la produzione nel capitalismo del 21° secolo siano inseparabili - "sono partner stretti nello sfruttamento". Lo sono sempre stati fin dall'inizio del capitalismo industriale, ma ora lo sono ancora di più.
Ragion per cui il punto di vista che viene spesso espresso nei circoli keynesiano e marxisti circa il fatto che ci sia una divisione categoriale fra finanza e capitale produttivo, dove il primo è "cattivo" ed il secondo è "buono", è un errore che porta ad un'incomprensione della natura dell'imperialismo e del ruolo dei centri finanziari come la city di Londra.
Ragion per cui il punto di vista che viene spesso espresso nei circoli keynesiano e marxisti circa il fatto che ci sia una divisione categoriale fra finanza e capitale produttivo, dove il primo è "cattivo" ed il secondo è "buono", è un errore che porta ad un'incomprensione della natura dell'imperialismo e del ruolo dei centri finanziari come la city di Londra.
Un'altra osservazione svolta da Norfield ci parla del ruolo avuto dal capitalismo britannico nell'imperialismo. La Gran Bretagna è seconda solo agli Stati Uniti per quel che riguarda l'importanza globale del suo settore finanziario ed in alcune aree, quali il commercio di valuta estera, si trova al primo posto (Norfield, p.71). La Gran Bretagna possiede la più grande riserva di investimenti esteri diretti (FDI) che ammonta a quasi 2 trilioni di dollari, equivalente al 30% del PIL del Regno Unito. Conteggiando le principali 500 imprese globali, il Regno Unito si trova secondo solo agli Stati Uniti, con 34 aziende. Se comparato agli Stati Uniti, che ne ha dieci, il Regno Unito ha sei istituzioni finanziarie fra le principali a livello globale. E i suoi attivi bancari ammontano a circa quattro volte il suo PIL, il più alto rapporto in tutto il mondo, dopo la Svizzera ed il paradiso fiscale del Lussemburgo.
Favoriscono Londra, in quanto centro finanziario globale, il suo fuso orario, la lingua principale dell'imperialismo (l'inglese) e l'enorme riserva di servizi professionali, che contrasta con la relativa debolezza dei mercati monetari statunitensi e delle banche che hanno una minor portata globale.
Il capitalismo inglese ha perduto il suo status di egemonia un centinaio di anni fa ma nel periodo post-bellico il suo settore finanziario ha mantenuto il suo status globale mentre diminuiva la sua base manifatturiera. Il mercato dell'eurodollaro del 1960 ed il "Big Bang" degli anni 1980, quando le banche americane ed estere potevano operare senza alcuna restrizione, ha preservato la preminenza della city.
A pagina 111, Tabella 5, Norfield fornisce un eccellente grafico che mostra la gerarchia globale del potere imperialista secondo una serie di criteri (PIL, spesa militare, Investimenti all'estero, assetto bancario e commercio con l'estero)
Norfield evidenzia come il privilegio finanziario sia una forma di potere economico, che abilita i paesi imperialisti ad attingere a risorse ed a valore che viene creato altrove nel mondo. Per Norfield, la definizione di imperialismo attiene al fatto che esiste un piccolo numero di paesi domina i mercati mondiali per mezzo delle loro corporazioni multinazionali che possono fabbricare oggetti, fornire servizi e finanze, o spesso tutte e tre le cose insieme.
Ci parla della preziosa ricerca svolta da alcuni ingegneri svizzeri su come solamente 147 compagnie controllino globalmente tutto il mondo (p. 113), qualcosa di cui avevo già parlato nel mio blog. E' interessante notare come gli stessi ricercatori svizzeri abbiano recentemente pubblicato un nuovo rapporto che mostra come le compagnie statunitensi ed europee controllino ancora le leve del potere finanziario ed aziendale a livello globale, mentre difficilmente l'Asia potrà avere una simile possibilità, nonostante il grande "miracolo produttivo" degli ultimi 30 anni.
La finanza non può essere separata dal capitale produttivo: questa è una caratteristica dell'economia mondiale moderna. Ciò significa che limitarsi a guardare solo alle attività delle corporazioni dentro gli Stati nazionali significa perdere di vista la storia vera. Come indica Norfield, i ricavi delle corporazioni statunitensi all'estero valgono circa 3 miliardi di dollari al giorni per un totale superiore al PIL annuale della Svizzera.
Parte fondamentale del libro di Norfield è quella che intreccia nei fatti il moderno imperialismo con un'analisi marxista del ruolo del capitale finanziario. Ci mostra correttamente che le banche possono creare moneta (p. 83) cosicché quella moneta può far sembrare il creare moneta come "completamente indipendente dalla produzione capitalista" (p. 85).
Emissione di moneta e attività bancaria non sono "parassiti" in sé, dal momento che sono necessari ad oliare le ruote della produzione capitalista. Ma il capitale fruttifero (soldi per fare soldi) è parassitario nel momento in cui viene dedotto dai profitti del capitale produttivo. E l'imperialismo capitale fruttifero globalizzato.
Marx ha collegato il fenomeno del fare denaro per mezzo del denaro (p. 90) con la sua definizione di "capitale fittizio": una denuncia degli investimenti della compagnie che creano valore e dei loro guadagni futuri. Norfield espone chiaramente l'inadeguatezza della narrazione marxista classica che fa Hiferding del capitale finanziario.
Hilferding si concentra giustamente sul capitale fittizio come caratteristica fondamentale del capitalismo monopolistico o dell'imperialismo ma considera le banche come se fossero le uniche leve del potere finanziario, mentre nel moderno imperialismo ci sono molti altri settori di capitale fittizio. Ed anche lo Stato nazione gioca un ruolo chiave nel supportare e nell'espandere il capitale monopolistico e il potere imperialista.
Per la moderna accumulazione di capitale è un vantaggio che obbligazioni, titoli e derivati siano estremamente liquidi (facili da comprare e da vendere). Ma come dice correttamente Norfield, il capitale fittizio non spezza il legame fra produzione di valore con la forza lavoro o con il valore di risorse "reali" quali materie prime, impianti, attrezzature, ecc., ma lo "estende" soltanto. L'espansione del capitale fittizio rende il capitalismo capace di espandersi più velocemente ma allo stesso tempo anche a collassare più tardi.
In realtà, lo sviluppo della moderna finanza e l'espansione del capitale fittizio in tutte le sue nuove forme a partire dagli anni 1980 è stata davvero una risposta alla caduta di redditività del capitale produttivo che c'è stata in tutte le maggiori economie capitaliste a partire dalla metà degli anni 1960 ai primi anni 1980.
Norfield si riferisce alla legge marxiana della tendenza del saggio di profitto a cadere come al fattore chiave che sta dietro le crisi economiche nel capitalismo. Ma è scettico circa la capacità di poter misurare la redditività del capitale per mezzo delle statistiche ufficiali (p. 153) e considera che la misurazione dei tassi nazionali di profitto ci dicono ben poco riguardo a questo mondo imperialista.
Tuttavia, tenta di misurare la redditività degli Stati Uniti e conclude che c'è stata una crescita a partire dagli anni 1980 e che il tasso degli Stati Uniti era "relativamente alto" durante il periodo del crollo finanziario globale (p. 155). Questo potrebbe sembrar contraddire la legge di Marx, così Norfield cerca una spiegazione nella crescita del tasso di profitto degli Stati Uniti fino alla Grande Recessione come indicazione dello scoppio di una bolla "alimentata con il credito" che era "fittizia". Questa spiegazione ha una qualche validità, ma io penso ancora che sia possibile misurare il trend nella redditività del capitale delle maggiori economie e per il Regno Unito e per gli Stati Uniti (e per quel che importa, per il mondo). E penso che una tale misurazione mostri che il tasso di profitto ha raggiunto il suo picco alla fine degli anni 1990 e ai primi anni 2000. Cosicché la legge di Marx tiene anche senza la spiegazione dei profitti fittizi.
Il libro di Norfield è decisivo nell'illuminare la natura della moderna economia inglese. In passato, avevo descritto la Gran Bretagna come la più grande economia 'redditiera' del mondo. E' questa una parola francese vecchio stile per descrivere un'economia basata sul succhiare 'rendita', attraverso il possesso del monopolio del capitale (o della terra), dai profitti dei settori produttivi. Entrambi i settori sfruttano il lavoro, ma l'economia redditiera si basa sul suo monopolio finanziario e legale per prendere una quota del plusvalore creato dal lavoro. Questo dà al capitale inglese il suo importante ruolo nel moderno imperialismo, ma ne fa anche il tallone di Achille in ogni collasso finanziario globale. In un altro crollo globale il capitale inglese è più vulnerabile rispetto alla maggior parte degli altri capitali.
Una delle conseguenze dell'economia redditiera della Gran Bretagna consiste nella sua relazione ambigua con il capitale europeo, in particolare quello franco-tedesco e quello dell'Unione Europea. Gli strateghi imperialisti inglesi hanno guardato al di là dell'Atlantico, agli Stati Uniti, per una partnership finanziaria, ma anche all'Europa per commercio ed investimenti. Il Regno Unito è il salvadanaio che sta nel mezzo fra gli Stati Uniti e l'Europa franco-tedesca. Tutto questo adesso è arrivato al punto in cui il capitale britannico prende in considerazione il fatto se debba o meno rompere con l'Europa, mentre l'Europa balbetta nella situazione della sua lunga depressione.
Quel che appare chiaro a partire dal libro di Norfield è il perché la city di Londra sia in maniera schiacciante a favore della permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea e si opponga al 'Brexit'. La city dipende dai liberi flussi di capitale fra le economie con 'eccedenza di capitale' del petrolio ed i produttori di risorse (BRICS) e le multinazionali del Nord America dentro e fuori dall'Europa. Questo legame potrebbe essere messo seriamente in pericolo se il Regno Unito si trovasse ad essere fuori dall'Unione Europea - soprattutto se in in futuro l'Unione Europea dovesse disgregarsi.
Articolo pubblicato su Michael Robert Blog
Fonte: blackblog framcosenia
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