di Umberto Mazzantini
Mentre due nostri concittadini rapiti muoiono per “fuoco amico”, l’Italia si prepara a guidare una missione in Libia senza sapere quale sarà il nostro vero nemico. Infatti, con la scusa dello Stato Islamico/Daesh – un pugno di tagliagole in lotta con le altre milizie islamiste e probabilmente già decimato dai bombardamenti americani e dai commandos francesi e britannici – stiamo per rimettere gli scarponi in quello che Mussolini chiamava lo scatolone di sabbia, e rischiamo di affondarci.
Il nostro intervento dovrebbe essere richiesto dal nuovo governo unitario libico, un governo che metta insieme due governi ad oggi rivali e che rappresentano poco più che sé stessi e i Paesi che li finanziano e li aizzano (Arabia Saudita e Egitto da una parte e Qatar dall’altra) e che in questi mesi sembra non abbiano disdegnato di bombardare, con aerei senza insegne, le milizie nemiche.
In realtà quel governo unitario è l’ostaggio delle bande armate che dovrebbe “governare” e gli italiani e gli occidentali sbarcheranno in Libia senza sapere chi davvero devono difendere – se non i pozzi petroliferi e gasieri delle multinazionali – e soprattutto da chi si devono difendere.
In realtà quel governo unitario è l’ostaggio delle bande armate che dovrebbe “governare” e gli italiani e gli occidentali sbarcheranno in Libia senza sapere chi davvero devono difendere – se non i pozzi petroliferi e gasieri delle multinazionali – e soprattutto da chi si devono difendere.
Emanuele Giordana e Alessandro Rocca, della Tavola della pace, hanno realizzato la video-intervista – che pubblichiamo in coda all’articolo – al giornalista e storico Angelo Del Boca, uno dei maggiori esperti di Libia che, nonostante le sue simpatie per il defunto Gheddafi (che in Libia è ormai rimpianto da molti), ricostruisce bene il caos libico provocato dall’intervento militare occidentale che ha abbattuto il dittatore. L’obiettivo annunciato era “importare la democrazia”, ed è invece stato aperto il vaso di Pandora del tribalismo e dell’estremismo religioso che Gheddafi era riuscito a tenere a bada, con un la distribuzione di un benessere di tipo occidentale e una repressione di tipo medio-orientale.
Secondo Del Boca «il piano che è stato designato per la Libia, in parte in Italia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, all’Onu, ecc… si basa sul fatto di riconciliare Tobruk con Tripoli e tenere unito questo Paese. Abbiamo visto che fino a oggi il tutto diventa molto difficile, perché quello che pensa Tobruk è diverso da quello che pensa Tripoli, innanzitutto perché Tripoli non dico che guardi all’Isis ma insomma ha una certa debolezza nei suoi confronti, mentre Tobruk invece è un Paese che assolutamente è contrario. Anche perché come capo del suo esercito c’è il generale Haftar», e proprio Haftar è il più grande ingombro sulla strada dell’accordo e continua la sua campagna militare contro il Daesh ma, come fanno i russi in Siria, estende questo concetto anche alle milizie islamiste che appoggiano il governo di Tripoli.
L’errore più grosso che potrebbe fare l’Italia nel tentativo di riprendere il controllo dei giacimenti dell’Eni – e lo sta già facendo – è quello di credere che mettendo d’accordo i due governi di Tripoli e Tobruk il più è fatto.
Come spiega anche Del Boca, ormai la Libia è uno Stato fantasma che esiste solo perché la Banca centrale deve ancora distribuire ai signori della guerra le prebende del poco petrolio che ancora esporta. In realtà la nostra ex colonia è frantumata in 140 tribù che, negli ultimi 3 – 4 anni dopo la caduta di Gheddafi, si sono costituite ognuna in una sorta di mini-Stato che costituisce instabili “federazioni” etniche con altre tribù, e che punta solo a controllare le risorse naturali e a comprare armi utili a fare fragili alleanze politiche.
L’Occidente, la Nato e l’Italia pagano l’errore gravissimo di aver tolto di mezzo Gheddafi senza avere nessun ricambio e senza conoscere la realtà della società libica. Lo stesso errore commesso in Iraq e Afghanistan, e ripetuto in Siria. Ora ci prepariamo ad una nuova guerra senza nessun nemico ufficiale – se non qualche centinaio di jihadisti dello Stato islamico – ma con molti nemici veri, pericolosi, armati con le nostre armi comprate con il petrolio che ci hanno venduto.
I bombardamenti aerei in Siria stanno dimostrando che per vincere una guerra servono a molto poco, se non a sterminare civili, e quello che si sta preparando in Libia è un intervento sul terreno ma, come avverte Del Boca, «se si fa una guerra a terra, a mio avviso, non bastano 300.000 uomini. Ora diventa ridicolo quando la nostra ministra della guerra dice “noi abbiamo 5.000 uomini pronti a partire” ma 5.000 uomini a cosa servono? Servono per presidiare un Paese e nient’altro. Insomma, io credo che se si farà una guerra a terra sarà una guerra difficilissima. E quindi credo che ci penseranno molte volte prima di fare un attacco che possa apparire come un’aggressione: io penso che l’Italia dovrebbe comportarsi in questa maniera. Poiché in realtà è il Paese che conosce meglio la Libia, non fosse altro perché è diviso soltanto da un braccio di mare, ma anche perché è stato una nostra colonia per molti anni, ci abbiamo versato sangue italiano e sangue libico (ma soprattutto sangue libico). Noi conosciamo molto bene la Libia, conosciamo tutte le varie tribù»
Dl Boca conclude con un suggerimento rivolto al nostro governo: «Io penso che l’Italia l’unica cosa che può fare oggi in Libia è di aiutare a creare un esercito nazionale e una polizia nazionale, perché la guerra, se la devono fare, la devono fare i libici, non gli italiani o gli stranieri. Gli stranieri possono essere presenti come istruttori, come persone che danno così forza militare, aerei, carri armati… ma soprattutto istruzione e quindi per esempio l’invio di carabinieri, che sono i migliori istruttori del mondo, veramente, sarebbe una cosa fattibile e non avremmo delle grosse perdite, anche se dobbiamo tenere presente che se si fa una guerra in Libia le perdite ci saranno comunque».
In tutto questo caos e sangue, ancora una volta il petrolio sembra essere più importante della vita umana e la democrazia si valuta un tanto al barile ma, come ha spiegato ieri Romano Prodi, probabilmente il traffico di carne umana è diventato per le milizie libiche – “filo-occidentali” o islamiste che siano – più importante e lucroso dei giacimenti petroliferi ormai occupati dalle varie tribù e dai signori della guerra. Sarebbe cosa buona e giusta che l’Onu si ricordasse dei suoi doveri e dei suoi compiti, e che chiedesse all’Italia e agli altri Paesi pronti a mettere “in sicurezza” la Libia di assicurare prima di tutto la vita degli uomini, delle donne e dei bambini che sono fuggiti da guerre e fame per trovarsi imprigionati nel nostro scatolone di sabbia e petrolio. Questo è possibile solo interrompendo il rifornimento di armi e finanziamenti alle milizie in lotta, imponendo davvero la pace, con veri interventi di pace. Nel mondo della terza guerra mondiale diffusa evocato da Papa Francesco, le guerre si evitano costruendo la pace e restituendo dignità umana ai profughi e al popolo libico, che abbiamo contribuito a sprofondare in un incubo di sangue e petrolio.
Fonte: Green Report
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