di Roberto Ciccarelli
ll 4 novembre 1995 moriva a Parigi il filosofo francese Gilles Deleuze. Qualche giorno dopo fu pubblicato un testo tra i più misteriosi della filosofia: L'immanenza, una vita...Riemerge un'intuizione rimasta ai margini della stessa pensabilità per secoli. Quale gioia leggerlo oggi. “L'uomo libero non pensa a nulla meno che alla morte, e la sua sapienza è meditazione non della morte, ma della vita” (Etica, IV, 67). Questo è il problema ancora impensato che Spinoza ha posto alla filosofia occidentale.
L'impensato è stato coltivato, e ha fruttificato, dando vita a un sapere che Gilles Deleuze ha ripercorso in una delle sue linee più belle arrivando a mostrarci un concetto filosofico meraviglioso: l'immanenza.
Averlo intuito in uno dei testi più brevi, e più densi, della filosofia occidentale, nell'anno stesso della sua morte, esattamente venti anni fa, oggi è una freccia che colpisce il cuore del presente. Perché l'impensato spinozista riemerge come una folgore in questo testo deleuziano, riportando a galla un'intuizione rimasta ai margini della stessa pensabilità per secoli.
Che la filosofia sia un sapere sulla vita – una vita che ha spezzato il suo rapporto ricorsivo con la morte – e che la vita sia una meditazione alla quale l'uomo si dedica quando non è dominato dalla paura della morte – una morte che allontana ogni possibile libertà dall'uomo – è stato per lungo tempo un illusione per la filosofia. Una domenica della vita. Perché al lunedì si torna a combattere.
L'immanenza è un pensiero della vita, non una meditazione sulla morte. Scandiamo questa definizione, dentro la grana di queste parole emerge un suono inaudito. L'appartenenza di una vita a se stessa, il suo immediato prendersi, il suo ritrovarsi nell'uso di una libertà immensa, inconfessabile. Un uomo, una donna, sono liberi se meditano sulle possibilità a disposizione della loro vita, non sui limiti imposti dalla sua finitezza essenziale.
Qui in discussione è la natura della finitezza che Deleuze – come Spinoza – non contrappone a un infinito estraneo alla vita, ma è al contrario la realizzazione delle infinite catene causali che compongono tale finitezza. Anzi, la finitezza è l'espressione dell'infinità delle concause che compongono una vita. La morte è quell'evento che conclude un'esistenza, ma resta l'espressione della catena causale che compone la vita.
Preda occulta di ogni pensiero radicalmente materialista, l'immanenza è produzione differenziale di differenze. La vita è la sua espressione. Il pensiero dell'immanenza parla dell'infinito nel cuore della vita dell'uomo e della donna libera, non aspira a rendere eterna la finitezza che caratterizza l'uomo, ma esplicita l'infinita molteplicità degli eventi di cui tale finitezza è l'espressione.
“L'immanenza non si rapporta a un Qualcosa come unità superiore ad ogni cosa, né a un Soggetto come atto che opera la sintesi delle cose – scrive Deleuze - Si dirà della pura immanenza che è UNA VITA, e nient'altro. Non è immanenza alla vita, ma l'immanente che non è in nulla, è già una vita in sé. Una vita è l'immanenza dell'immanenza, l'immanenza assoluta: è potenza e beatitudine complete”.
Quale potenza nell'ultimo testo, prima del togliersi la vita. Immanenza: una vita... La sospensione finale, espressa dai tre puntini nel titolo originale del testo deleuziano, è come un respiro, il sibilo del polmone di noi asmatici, lasciandosi in un campo interminabile di possibilità.
"Potenza e beatitudine. La mia vita è UNA VITA, infinitamente singolare, infinitamente molteplice. Non ha nome, è la gioia di essere composti da un'infinità di eventi. Essenza singolare, questa vita."
Fonte: la furia dei cervelli
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