La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 6 novembre 2016

Turchia, il vero golpe inizia adesso

di Tommaso Canetta
Era il 20 maggio 2016 quando il Parlamento turco, rispondendo al diktat del presidente Erdogan, tolse l’immunità parlamentare ai deputati. Già allora gli analisti avevano avvertito: questa è una mossa che può preludere all’ennesima svolta autoritaria, la più drastica, della Turchia. Arrestando infatti una quindicina di deputati – tra gli oltre 100 indagati, grazie alla scellerata legge sul terrorismo che ha portato in carcere giornalisti e intellettuali, che la Ue pretende venga cambiata ma che Erdogan difende a spada tratta – il partito di Erdogan (Akp) avrebbe i numeri per votare da solo la riforma costituzionale iper-presidenzialista che il Sultano invoca da tempo.
Nella notte tra il 3 e il 4 di novembre la profezia si è avverata: Figen Yuksedag e Selahattin Demirtas, co-presidenti del partito di sinistra filo-curdo Hdp, sono stati arrestati nella notte insieme ad altri 10 parlamentari, e altri potrebbero a breve subire lo stesso destino. Immediate e violente le proteste della comunità curda, con il commissariato di polizia di Diyarbakir, dove erano tenuti diversi arrestati, preso d‘assalto dai manifestanti.
Si spiana ora la strada allo stravolgimento costituzionale della Turchia, per dare anche alla forma quel tratto autocratico, quasi dittatoriale, che la sostanza ha già assunto da tempo. Erdogan, che già controlla l’esecutivo legato all’Akp (il primo ministro Yildirim ha sostituito pochi mesi fa l’ex fedelissimo Davutoglu, accusato di mettere in ombra il presidente col suo protagonismo e di avere una linea troppo morbida con la Ue), dopo aver portato la magistratura sotto il proprio controllo nel 2014, ora cannibalizza anche il terzo potere rimasto dello Stato, il legislativo. La svolta iper-presidenzialista è, grazie a questi arresti, finalmente a portata di mano. In Parlamento servono infatti 330 voti su 550 per approvare modifiche costituzionali, l’Akp ne ha 317, che su un totale che scendesse a 535 sarebbero sufficienti. Ma in questo caso – coi tre quinti dei voti - servirebbe un referendum, e visti i sondaggi che raccontano un popolo turco affezionato al parlamentarismo, Erdogan preferisce evitarlo. Si punta quindi a un accordo con gli ultra-nazionalisti del Mhp (il braccio politico dei famigerati Lupi Grigi), che coi suoi 40 deputati porterebbe il totale dei favorevoli a 357. Non sufficienti a rappresentare i due terzi – necessari a evitare il referendum - di un’assemblea di 550 deputati, ma giusti giusti per una di 535.
Accanto alle convulsioni anti-democratiche seguite al fallito golpe di luglio – che hanno portato a decine di migliaia di arresti, sequestri di passaporto, licenziamenti indiscriminati e diffusa isteria anti-gulenista – ora si affianca dunque il canovaccio già noto dal 2015 della spirale autocratica turca: arresti di giornalisti (anche l’ultimo quotidiano rimasto all’opposizione, il Cumhuriyet, è stato colpito pochi giorni fa), accuse all’Occidente (sia Usa che Germania di recente sono stati duramente attaccati), uso spregiudicato della legge anti-terrorismo per neutralizzare gli avversari politici e, soprattutto, repressione dei curdi. Non può infatti sfuggire come Erdogan stia compattando intorno a sé un popolo tendenzialmente sciovinista – non solo i conservatori religiosi a lui storicamente vicini, ma anche i laici ultra-nazionalisti – sulla questione della minaccia curda, tanto in patria quanto all’estero. Gli arresti dei sindaci (un uomo e una donna) della città curda di Dyarbakir, la più importante in Turchia, e dei deputati del Hdp sono il risvolto interno dei bombardamenti in Siria contro i curdi del Ypg e della lotta senza quartiere al Pkk in patria e in Iraq. Il nemico per Erdogan e per molti turchi sono i curdi, che facciano parte di un’organizzazione para-militare o che siano deputati la sostanza non cambia: se non sono fedeli a Erdogan allora sono dei terroristi che mettono in pericolo la sicurezza della Repubblica.
Questo ricompattamento dei ranghi dietro al presidente è funzionale a una molteplicità di obiettivi: propizia la svolta costituzionale auspicata da Erdogan, rende più facili le purghe post-golpe e consente al “Sultano” di presentarsi come uomo forte all’estero (fondamentale in un momento in cui tanto in Siria quanto in Iraq la sfera di influenza strategica turca rischia di essere grandemente erosa, e al dialogo con gli Usa si preferisce quasi quello col Cremlino). Ma l’esclusione delle minoranze e lo scempio dei diritti fondamentali hanno anche conseguenze negative. La guerra al Pkk – e ai curdi siriani del Ypg – forse porta consenso ma sicuramente causa anche morti e instabilità, e soprattutto rischia di regalare alla sigla guerrigliera un appoggio ancor più vasto da parte della popolazione civile curda. Quanti ai rapporti con l’Occidente il loro costante peggioramento rischia di produrre prima o poi risultati ben più gravi che qualche sporadica dichiarazione di condanna o una lite diplomatica.
Se infatti l’accordo sui profughi siriani ha finora reso il tono delle proteste europee prudentemente basso, è altrettanto vero che le costanti violazioni dei diritti umani (con l’arresto di giornalisti, la persecuzione di minoranze etc.) rendono la Ue sempre più lontana e ostile. L’adesione della Turchia non è più (se mai lo era stata) una possibilità concreta, e anche la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi – inserita nell’accordo sui profughi, ma a patto venissero rispettate varie condizioni “di civiltà” che invece vengono sistematicamente violate da Ankara – pare un miraggio. La rottura definitiva è dietro l’angolo e il casus belli è già pronto: la volontà di Erdogan (in questo supportato dai Lupi Grigi) di reintrodurre la pena di morte. Se lo facesse qualunque negoziato con la Ue verrebbe probabilmente interrotto, con ripercussioni difficili da prevedere. Con le tensioni che ci sono al momento in Medio Oriente ed Est Europa, con la Russia che torna ad affacciarsi come Super Potenza sul Mediterraneo orientale, con il terrorismo islamista che rischia di tracimare dalla carcassa dello Stato Islamico in Europa, lo scollamento tra Turchia e Unione europea non può che essere una pessima notizia.

Fonte: Linkiesta.it 

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