di Federico Giusti
Italia ultima in Europa quanto a produttività del lavoro, agli ultimi posti per innovazione e laureati in rapporto alla popolazione Sono questi i dati incontrovertibili che hanno determinato la crisi del sistema Italia. Alla voce produttività relativa all'anno 2015 registriamo un segno negativo, meno 0,3%, mentre cresce in media dell’1,6% nei 28 paesi dell’Unione europea. Rinviamo per maggiori ragguagli al rapporto Istat (qui) di cui citiamo parte del report di sintesi Nel 2015 il valore aggiunto dell’intera economia ha registrato una crescita dello 0,9% rispetto al 2014.
La produttività del lavoro, calcolata come valore aggiunto per ora lavorata, è diminuita dello 0,3%, quella del capitale, misurata dal rapporto tra valore aggiunto e input di capitale, è aumentata dell'1,9%.
La produttività del lavoro, calcolata come valore aggiunto per ora lavorata, è diminuita dello 0,3%, quella del capitale, misurata dal rapporto tra valore aggiunto e input di capitale, è aumentata dell'1,9%.
Nello stesso anno, la produttività totale dei fattori, che misura la crescita del valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico e ai miglioramenti nella conoscenza e nell'efficienza dei processi produttivi, è aumentata dello 0,4%. Complessivamente, nel periodo 1995-2015, la produttività del lavoro è aumentata ad un tasso medio annuo dello 0,3%, sintesi di una crescita media dello 0,5% del valore aggiunto e dello 0,2% delle ore lavorate. La produttività totale dei fattori è diminuita ad un tasso medio annuo dello 0,1%. Tra il 1995 e il 2015 la crescita della produttività del lavoro in Italia è risultata decisamente inferiore alla media Ue (+1,6%). Tassi di crescita in linea con la media europea sono stati registrati per Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%). Per la Spagna, il tasso di crescita è stato più basso (+0,6%) della media europea ma più alto di quello dell'Italia che, allargando lo sguardo al periodo 1995-2015 segnala come la produttività del lavoro - definita come valore aggiunto per ora lavorata - è cresciuta con una media annua dello 0,3%, derivante da incrementi medi del valore aggiunto e delle ore lavorate rispettivamente pari allo 0,5% e allo 0,2%. Utilizzando il database di Eurostat, l’Istat mette in luce che nello stesso periodo l’Unione europea ha avuto un incremento molto più sostenuto (+1,6%), così come l’area Euro (+1,3%). E tassi di crescita in linea con la media europea hanno riguardato Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%), mentre la Spagna pur con un tasso di crescita più basso (+0,6%) della media europea è comunque andata meglio dell’Italia. Proviamo a riflettere a voce alta.
Da due anni la produttività in Italia è in calo, calano le ore di lavoro ma soprattutto il valore aggiunto, dal punto di vista dei salari, del prodotto e della distribuzione di ricchezza\redditi la situazione del nostro paese è particolarmente grave, anzi siamo i soli ad avere perso produttività del lavoro quando altri paesi in crisi evidenziavano segnali di ripresa. La crisi è legata alla stagnazione della ricerca, agli scarsi risultati del progresso tecnico\tecnologico che investe il terziario, i servizi di informazione e comunicazione, la ripresa in ambito industriale e nei trasporti assume connotati alquanto modesti e macchia di leopardo Se poi guardiamo le dinamiche salariali, in Usa e Germania i redditi da lavoro crescono mentre in Italia perdiamo solo colpi. La nostra repubblica, recita l'art 1 della Costituzione, è fondata sul lavoro, in futuro (assai prossimo) la ribattezzeremo Repubblica fondata sui voucher. Per saperne di più della dinamica salariale d'Oltre Oceano rinviamo a un approfondimento de Il sole 24 ore...(qui).
L’Italia resta quindi un paese incapace di affrontare le nuove sfide tecnologiche, con una forza lavoro femminile ridicola, un numero di laureati insufficiente(strano che a nessuno venga in mente di criticare gli esiti delle riforme universitarie degli ultimi anni), con una ancora alta vocazione manifatturiera, e con l'augurio di Confindustria che la prossima manovra economica porti gli investimenti richiesti al premier Renzi Un paese, il nostro, con profondi disuguaglianze e un sistema produttivo pieno di falle. Ma , strano a dirsi, le ricette per gli industriali sono sempre uguali ,le stesse che da anni producono scelte dimostratesi fallimentari: aprire crediti finanziari alle imprese, ridurre il costo del lavoro (mai che ci si chieda gli effetti della deregulation in materia di diritto del lavoro...), crediti e defiscalizzazioni. L'idea vecchia ma sempre in auge è legare il costo del lavoro (per questo i contratti nazionali vengono giudicati desueti dai padroni) alla produttività, i salari siano quindi variabile dipendente dai profitti, anzi i profitti crescano liberamente che a tenere bassi i salari ci penseranno le Leggi del Governo Delocalizzazioni e monocommittenza hanno combinato solo guai, ricordiamo che il 65,4% delle imprese italiane è specializzato in un unico prodotto e appena lo 0,8 ne produce 10 tipi diversi.
Basterebbe aumentare la complessità e la varietà dei prodotti per rendere piu' competitivo il sistema produttivo , ma per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe tornare ad investire, l'esatto contrario di quanto fa il Governo e in aperto contrasto con le politiche di austerità Ma il rilancio del sistema Italia passa dalla distruzione del contratto nazionale e in particolare la imposizione del secondo livello di contrattazione da cui passeranno i pochi (e non per tutti) incrementi salariali.
Contratti aziendali, aumenti per pochi sono la ricetta del Governo e di Confindustria, una ricetta che con alcune variabili si ripresenterà anche per i 3 milioni di dipendenti pubblici. E per abbattere i costi a carico dello stato arriverà il welfare aziendale e parte degli aumenti saranno indirizzati a tale scopo, ovviamente mentre si procederà allo smantellamento del welfare da noi conosciuto fino ad oggi, welfare incompleto e imperfetto ma senza dubbio migliore di quello che ci vanno propinando per i prossimi anni. In questo scenario la collaborazione del sindacato con il Governo giocherà un ruolo determinante per ingabbiare i lavoratori e le lavoratrici indebolendone il potere di acquisto e di contrattazione.
Fonte: controlacrisi.org
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