di Serge Halimi
Il 9 febbraio 1950, al culmine della Guerra Fredda, un senatore americano poco noto dichiarò: “Ho qui in mano una lista di 205 persone che il segretario di stato sa che sono membri del Partito Comunista e che tuttavia stanno ancora lavorando e modellando la politica del dipartimento di stato.” Con quella frase, McCarthy entrò nella storia degli Stati Uniti attraverso la porta dell’infamia. Non esisteva nessuna lista di quel genere, ma la successiva ondata di isterismo anticomunista e di epurazioni, mandò in frantumi le vite di migliaia di americani.
Nel 2017 c’è semplicemente in discussione la lealtà verso il suo paese del prossimo presidente. Con il suo governo di generali e di miliardari, i motivi per temerlo sono infiniti, ma il Partito Democratico e molti dei media occidentali sembrano ossessionati dall’idea bizzarra che Donald Trump sarà ‘una marionetta per il Cremlino’ (1) e che egli deve la sua elezione alla pirateria dei dati informatici orchestrata dai Russi. La paranoia Maccartista può esserci stata molto tempo fa, ma il Washington Post ha appena fatto rivivere quella storia, il 24 novembre, raccontando di preoccupazioni circa la possibile esistenza di ‘oltre 200 siti web’ che ‘deliberatamente o non deliberatamente hanno pubblicato la propaganda russa o le hanno fatto da eco.’
Un brutto vento sta soffiando in Occidente. E quasi ogni elezione viene valutata attraverso le lenti della Russia. Sia che si tratti di Trump negli Stati Uniti, di Jeremy Corbyn nel Regno Unito o di candidati tanto diversi quanto Jean-Luc Mélenchon, François Fillon e Marine Le Pen in Francia, è sufficiente per esprimere dubbi sulle misure contro la Russia o le teorie anti-russe della CIA – un’istituzione certamente tanto infallibile quanto impeccabile – per essere sospettata di servire i fini del Cremlino.
In un’atmosfera di questo genere, non si osa immaginare il torrente di indignazione che sarebbe stato suscitato se la Russia, invece che gli Stati Uniti, avesse ascoltato le telefonate di Angela Merkel, o se Google avesse consegnato a Mosca miliardi di dati privati raccolti on line, invece che alla NSA (Agenzia per la Sicurezza Nazionale). Senza rendersi abbastanza conto dell’ironia delle sue parole, Obama ha usato una conferenza stampa del 16 dicembre per avvisare la Russia: hanno bisogno di ‘comprendere che qualunque cosa ci facciano, noi possiamo farla a loro.”
Vladimir Putin lo sa molto bene. Nel 1996 un malato e alcolizzato Boris Yeltsin, un architetto (corrotto) del caos sociale del suo paese sopravvisse a un’impopolarità catastrofica soltanto per mezzo dell’appoggio dichiarato, sia politico che finanziario, degli stati occidentali – e dell’opportuno riempimento con schede fasulle delle urne elettorali. E così, Yeltsin, amato dai Democratici a Washington, Berlino e Parigi (anche se gli spari contro il parlamento russo, ordinati da lui nel dicembre 1993, provocarono la morte di centinaia di persone), fu rieletto. Quattro anni dopo, trasferì tutti i suoi poteri al suo leale primo ministro, il delizioso Vladimir Putin.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Le Monde Diplomatique
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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