di Serena Giannico
A Cocullo, nell’Aquilano, il casello autostradale dell’A25 è a circa un chilometro e mezzo dal paese. Duecentocinquanta abitanti («in estate di più»), circa mille metri d’altitudine, è borgo celeberrimo nel mondo per l’annuale processione del primo maggio, con la statua di San Domenico avviluppata da centinaia di serpi catturate, nelle precedenti settimane, dai suoi residenti, tra pietre e cespi d’erbe. L’autostrada qui è arrivata neppure tanto tempo fa, nel ’78. «È una risorsa – dice il sindaco neo eletto Sandro Chiocchio -, soprattutto per il turismo, che è occasione da cogliere in una realtà che, di fatto, per crescere, deve sfruttare bellezze e tradizioni del territorio. Ora a rischio sono sia l’autostrada sia gli splendidi scenari montani».
Perché in ballo c’è un progetto del gruppo imprenditoriale Toto, che gestisce la rete autostradale A24 (L’Aquila-Roma) e A25 (Pescara -Roma), la cosiddetta «Strada dei Parchi» – dal pedaggio tra i più costosi d’Italia – «il più rapido collegamento diretto tra Tirreno e Adriatico, infrastruttura di trasporto di elevato valore economico e strategico», si legge nel sito internet della holding che intende sventrare e asfaltare l’Abruzzo, in lungo e in largo. Il piano prevede infatti la realizzazione di varianti, assi di penetrazione e di interconnessione, tunnel a volontà con paesaggi annientati, costoni rocciosi bucati e falde che verrebbero intaccate in maniera irreversibile, con una “monumentale” perdita di acqua. Progetto che nasce dall’interesse di un privato e non da programmazione statale: dieci anni di lavori, interventi per 6 miliardi. Niente fondi pubblici ma aumenti certi dei pedaggi (inevitabili, perché il treno per compiere quello stesso percorso, su una monorotaia, impiega più del doppio del tempo) e la società promotrice in cambio guadagnerebbe la gestione del tratto autostradale per altri 45 anni (oltre ai 28 già stabiliti).
Perché in ballo c’è un progetto del gruppo imprenditoriale Toto, che gestisce la rete autostradale A24 (L’Aquila-Roma) e A25 (Pescara -Roma), la cosiddetta «Strada dei Parchi» – dal pedaggio tra i più costosi d’Italia – «il più rapido collegamento diretto tra Tirreno e Adriatico, infrastruttura di trasporto di elevato valore economico e strategico», si legge nel sito internet della holding che intende sventrare e asfaltare l’Abruzzo, in lungo e in largo. Il piano prevede infatti la realizzazione di varianti, assi di penetrazione e di interconnessione, tunnel a volontà con paesaggi annientati, costoni rocciosi bucati e falde che verrebbero intaccate in maniera irreversibile, con una “monumentale” perdita di acqua. Progetto che nasce dall’interesse di un privato e non da programmazione statale: dieci anni di lavori, interventi per 6 miliardi. Niente fondi pubblici ma aumenti certi dei pedaggi (inevitabili, perché il treno per compiere quello stesso percorso, su una monorotaia, impiega più del doppio del tempo) e la società promotrice in cambio guadagnerebbe la gestione del tratto autostradale per altri 45 anni (oltre ai 28 già stabiliti).
«Ricostruire invece che mantenere». L’idea è di rimodulare l’autostrada esistente in «considerazione della classificazione di A24 e A25 quali opere strategiche per finalità di protezione civile». Inoltre – recita il progetto preliminare – c’è necessità «di adeguamento e messa in sicurezza dei viadotti e degli impianti in galleria». Per sopperire alle carenze e per ammodernare sarebbero necessari interventi di manutenzione straordinaria e invece… Invece si vuole smantellare e ricostruire, cambiando tragitto, aggiungendo, distruggendo. Le carte, tra continue revisioni, raccontano di demolizioni di tronchi autostradali, apertura e chiusura di caselli, raccordi e svincoli elevati qui e là. È prevista la realizzazione di 10 tunnel, a doppia canna più corsia d’emergenza, per circa 50 chilometri complessivi, in zone altamente sismiche. Un progetto faraonico, con distruzione e stravolgimento irreversibile dei territori (nella mappa, in rosso in nuovi tratti da costruire). Per quali fini? Perché, secondo Toto, è più agevole rifare che aggiustare. Adeguare significherebbe, viene fatto presente, «cantieri sulla viabilità autostradale, con necessità di chiusura delle tratte soggette a lavori, con ripercussioni notevoli sul comfort di viaggio…». Per scongiurare ciò, ecco colate infinite di cemento e catrame. Sulla nuova autostrada – viene ancora specificato – «la velocità massima potrà essere di 130 chilometri orari, come da legge, mentre attualmente la velocità media possibile è di 90 chilometri, per la presenza delle elevate pendenze longitudinali, per le alte quote». Queste le motivazioni addotte e gli ambientalisti si sono infuriati. «Si promuove il progetto – spiegano – ipotizzando risparmi di tempo immaginari e comunque di manciate di minuti e sostenendo che adesso la velocità media di percorrenza possibile è di 90 km/h come si legge nel parere favorevole di un dirigente della Regione Lazio! Con la nostra esperienza diretta fatta, più volte, con un misero Pandino e senza superare i limiti ci pare di poter smentire questo dato. Inoltre, allontanando l’autostrada dalla Valle Peligna, dalla Valle del Sagittario, dalla Valle del Giovenco, e dall’Alto Sangro, non si è calcolato che i tempi di percorrenza per molti cittadini aumenterebbero a dismisura».
Le montagne bucate
«Nel progetto – rileva il coordinamento “No Toto – Salviamo l’Abruzzo” che abbraccia decine di associazioni, comitati, movimenti, partiti e sindacati – oltre alle varianti, si prospetta una doppia galleria tra il territorio del Parco nazionale d’Abruzzo e Roccaraso, con traforo sotto la Montagna Grande e il Genzana. Ipotesi incredibile e costi assurdi per limitatissimi volumi di traffico. Le zone interne verrebbero letteralmente massacrate, con tunnel che andrebbero a martoriare gioielli ambientali unici in Europa». Solo il massiccio del Sirente, dove c’è l’unico cratere da impatto di meteorite italiano, verrebbe devastato con un traforo di 12,75 km e con altre due gallerie di 2,3 km e 3,9 km che sarebbero collegate ad un viadotto sulle Gole di San Venanzio. I Monti Simbruini sarebbero perforati per 9,88 km. «Abbiamo sovrapposto i tracciati con i perimetri delle aree protette – sottolineano dal coordinamento – : sarebbero direttamente coinvolti il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; il Parco regionale del Sirente-Velino; la Riserva del Monte Genzana e quella delle Gole di San Venanzio, senza considerare le riserve limitrofe: di San Domenico a Villalago e delle Gole del Sagittario». La Val Vomano (Teramo), che presenta ancora un po’ di agricoltura, sarebbe distrutta da 24 chilometri di strade «con consumo di suolo irreparabile e risibili vantaggi a fronte di spese assurde». In Valpescara il comune di Spoltore e la frazione di Santa Teresa verrebbero separate da una bretella: quest’ultima sarà ridotta ad uno spartitraffico.
Progetto avallato dalla Regione Abruzzo ma che il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha finora ricusato. E decine di Comuni – delle province di L’Aquila, Teramo e Pescara – sono sul piede di guerra. Grandi e piccoli. «Basta affacciarsi da queste parti – riprende il sindaco Chiocchio – per rendersi conto delle condizioni, da denuncia, in cui versano alcuni piloni autostradali. Se la cura dell’esistente è già scarsa, chi gestirebbe la costosissima manutenzione dei lunghi tratti che verrebbero dismessi? Siamo contro perché il progetto è deleterio e taglierebbe fuori l’intera zona dai principali collegamenti viari. Senza contare il disastro ambientale». La Valle del Sagittario – con Cocullo, Villalago, Anversa – vanta ambienti esuberanti – con canyon ed eremi -, tutelati per le loro caratteristiche. È rifugio di animali selvatici, dai lupi all’orso bruno marsicano, che qui è autoctono. E che di sicuro, al bitume, preferisce ciliegi da razziare.
Fonte: Il manifesto
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