La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 18 agosto 2016

Il Paese piatto ed il governo suicida

di Gustavo Piga
E’ straordinario il titolone di prima di Repubblica del 14 agosto: “il PIL fermo costa 6,5 miliardi… più lontani i tagli di Irpef e cuneo”. L’avessero scritto invece così, il “il deficit zero costa XX miliardi … più lontana la ripresa del PIL”, avrebbero perlomeno fatto capire agli ignari lettori del perché il loro Paese non cresce. Diseducativo.nIn uno spirito simile, ma più istruttivo, va letto questo pezzo del Sole 24 Ore di ieri che così commenta la logica della Legge di Stabilità che il Governo si appresta a varare in autunno: “una parte della nuova legge di bilancio, grazie all’incremento del target del deficit nominale del 2017 dall’1,1% all’1,8% servirà a disinnescare le clausole di salvaguardia pronte a scattare dal prossimo anno (aumento di Iva e accise per 15,1 miliardi).
Con la frenata del PIL che ridimensiona nei dintorni dell’1% (rispetto al precedente 1,4%) anche la stima di crescita del prossimo anno, andrà rivisto di conseguenza il target del deficit. Non più l’1,8% ma un valore che oscillerà tra il 2 ed il 2,2%. Difficile spuntare di più perché comunque un segnale di riduzione rispetto al 2,3-2,4% atteso quest’anno occorrerà comunque darlo. Ecco allora che essendo preclusa la strada di un’ulteriore incremento del deficit, il finanziamento delle misure per la crescita in agenda per la prossima manovra di bilancio dovrà poter contare su risorse provenienti sia dai tagli della spesa corrente primaria, sia da aumenti di entrate… Incrementi del gettito da non utilizzare per coprire aumenti di spesa, ma a beneficio dei conti pubblici…”.
Ricapitoliamo: il Governo ci dirà a ottobre che ha lottato contro l’austerità portando il deficit dall’1,1% che gli chiedeva per il 2017 l’Europa al 2% o 2,2%, ma anche che per il 2017 dovrà diminuire le spese ed aumentare le imposte, cioè fare manovre austere e restrittive per l’economia. Come si spiega questa contraddizione?
Semplice: come afferma lo stesso articolista del Sole, in realtà l’unica cosa che realmente farà questo Governo sarà di portare il deficit su PIL (sempre che l’Europa non chieda di più) dal 2,3-2,4 di quest’anno al 2-2,2% del 2017.
L’economia italiana non avrà dunque nessun supporto, in una fase di crescita zero, dal bilancio pubblico. Anzi, ogni imprenditore si dovrà aspettare per l’anno prossimo meno appalti pubblici e più tasse. E ovviamente anche per il 2018, per il 2019 e per il 2020 come scriverà la Nota di Aggiornamento al DEF che Padoan sta stilando per il nostro ritorno dalle vacanze.
Già, gli imprenditori. E’ istruttivo leggere anche le opinioni di chi li rappresenta per comprendere pienamente lo stato di confusione mentale che regna sovrano, non solo nelle redazioni dei giornali delle élite, sul significato delle politiche economiche italiane in questa Europa.
A pagina 3 di Repubblica trovate dunque l’intervista al vicepresidente di Confindustria con delega alle politiche industriali, Pedrollo. Il titolo mi incuriosisce, appare rivoluzionario rispetto alle politiche renziane e europee: “obbligatorio sforare il deficit”. Oddio, addirittura sopra il 3%? Che forse si sia capito cosa va fatto per sollevare il Paese Piatto?
Leggo avidamente: “credo che a questo punto per il governo sforare il rapporto dell’1,8% sia una via obbligata, per ritrovare la forza di convincere l’Europa che siamo sulla strada giusta anche se il rapporto tra disavanzo e prodotto si allarga al 2,3-2,4%”.
Sono basito. Qual è dunque lo sforamento di cui si parla? Ma ovvio, richiedere – come sottolinea anche il Sole 24 ore – che il deficit del 2016 (2,3-2,4% del PIL) sia sì ridotto, nel 2017, ma non all’1,8%, ma meno, tipo al 2-2,2%.
Cioè Confindustria richiede un coraggioso sforamento chiedendo … una riduzione del deficit pubblico per il 2017. Ma non esagerata. E questo è l’epocale segnale che rivoluzionerà le aspettative degli operatori obbligandoli ad investire?
Pedrollo non si capacita che gli imprenditori, i suoi associati, continuino a non investire: “certamente alcuni imprenditori non hanno saputo buttare il cuore oltre all’ostacolo, e presi dalla paura e dal timore di questa fase hanno ridotto o bloccato gli investimenti in azienda.” Ma guarda un po’. E chissà perché questi imprenditori sono presi dalla paura e dal timore: forse perché l’Europa e Renzi, al massimo del loro coraggio, l’unica cosa che gli sanno dire con PIL piatto è “tranquilli, le tasse le aumentiamo, ma poco” oppure “tranquilli, gli appalti per voi li diminuiamo, ma poco”?
Pedrollo chiama a raccolta e, non chiede più domanda pubblica per ridare vitalità all’economia, ma si aggrappa a iperammortamenti e crediti di imposta per progetti di digitalizzazione. Non è chiaro con quali soldi, visto che Renzi -Pedrollo devono trovarne già alcuni per ridurre il deficit a bocce ferme; ma, al di là di questo, come fa a pensare che questi suoi associati “presi dalla paura e dal timore” facciano investimenti in digitalizzazione e altro senza avere la garanzia che queste spese, seppure tassate di meno, diano dei ritorni? Come non capire che il binomio per far passare questa paura è più investimenti pubblici e più deficit?
E’ incredibile come i nostri governanti in Europa ed in Italia, assieme ai giornali delle élite e ai suoi rappresentanti, vivano ormai in un mondo dove si finge di aver perso anche il concetto anche minimo di cosa sia la politica economica e quali siano i suoi effetti. Facendo finta di stupirsi da anni del perché il PIL è piatto.
Ma questa finzione nasconde sempre meno un fatto evidente: questo governo è suicida. Avrebbe sì due alternative a disposizione, per cercare di sopravvivere: rifiutarsi di aderire al Fiscal Compact rimanendo nell’euro (e sostenendo, come raccomandava ad esempio il Nobel Sims, di dichiarare che il deficit sarebbe rimasto al 3% di PIL fino a quando l’economia italiana non avrebbe ripreso un cammino sostenuto di crescita) oppure uscire dall’euro.
Chi vi scrive sostiene da tempo che la prima alternativa domina (nel senso più strategico del termine) la seconda. Ovvero, che in qualsiasi situazione di dominio politico-ideologico ci si potrà trovare in futuro – una dove trionfino gli interessi del capitale, ed una dove trionfino gli interessi dei lavoratori – stiamo sempre meglio nell’euro.
Ma al di là di ciò, una cosa è certa: questo Governo che con le sue politiche rappresenta una quota sempre più piccola del Paese sta segnando la sua rapida fine. Il Paese sarà piatto economicamente, ma politicamente dà segni di vitalità. Cosa ci sarà dopo di esso non potrà a quel punto che fare meglio di questo scempio, dovuto (si badi bene) non a miopia ma a una scandalosa e precisa volontà in cui prevale la mancanza del senso etico della solidarietà. E quando avviene ciò, il filo tirato troppo si spezza e si va a casa.

Fonte: Gustavopiga.it 

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