di Andrea Colombo
È probabile che mentre affidava a Facebook l’ennesimo post trionfalistico Matteo Renzi avesse ancora nelle orecchie l’eco stridente di quegli articoli di ferragosto sulla stampa estera (a cui si è aggiunto ieri l’Economist) che volevano aiutarlo, certo, ma di fatto registravano il fallimento della sua politica economica. Non è quello lo schema di gioco di Renzi, non è quella la cifra della sua propaganda. Gli piacciono i toni opposti: non vuole invitare gli elettori a votare Sì al referendum per evitare il peggio, ma per celebrare i suoi successi e permettergli di proseguire su quella strada.
Dunque, cogliendo anche l’occasione offerta dall’investimento di un miliardo in Italia annunciato da Ryanair, canta vittoria e promette miracoli sul fronte più delicato di tutti, quello delle tasse: «Da quando siamo al governo lavoriamo per ridurre le tasse. L’ultima volta che una tassa è stata alzata in Italia è stato nell’ottobre 2013. Continueremo con la prossima legge di stabilità. Non è solo giusto ma è anche un fatto di competitività. Lo dimostra in queste ore l’accordo con Ryanair», appunto. L’ottobre 2013 non è citato a caso: al governo, in quel mese, c’era Enrico Letta.
Nulla di straordinario. Renzi conosce davvero un solo tipo di gioco politico e non può fare altro che ripeterlo all’infinito, confondendo la politica con la propaganda e i giochi di prestigio con la realtà. Sa perfettamente, come i contribuenti, che al netto delle partite di giro, degli spostamenti sulle tasse locali e sulla tassazione indiretta, la pressione è cresciuta, non diminuita, e dagli spalti dell’opposizione glielo ricordano tutti. L’M5S, durissimo, minacciando con Luigi Di Maio l’arrivo dei forconi a palazzo Chigi se il premier continuerà «a provocare gli italiani». Affermazione nella quale il capo dei deputati renziani Ettore Rosato, che non brilla per senso della misura, ravvede gli estremi di «incitazione alla violenza». Loredana De Petris, di Sinistra italiana, accusa l’inquilino di palazzo Chigi di «continuare a raccontare balle», il leghista Salvini di essere ubriaco, il forzista Renato Brunetta di imbrogliare, Cinzia Bonfrisco di giocare alle tre cartine. Modi diversi di dire la stessa cosa.
Ma tutto questo Renzi lo sa benissimo da solo. Come sa di non poter strappare consensi limitandosi a rivendicare risultati inesistenti. L’importante, nel peana dedicato a se stesso su Fb, è l’annuncio di voler tagliare le tasse in modo consistente nella prossima legge di stabilità. Ne era convinto già da tempo, ieri ha confermato la decisione nonostante i risultati deludenti dell’economia.
Significa imbarcarsi in una partita disperata. Renzi ha già promesso di intervenire sulle pensioni, e a questo punto rimangiarsi la parola gli potrebbe costar caro. Ma sommare pensioni, intervento sulle tasse e finanziamento per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego vuol dire mettere in campo una marea di miliardi dei quali il governo semplicemente non dispone. Non a caso il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti ha già messo le mani avanti informando gli interessati che la precedenza dovrà essere data alla riduzione della pressione fiscale, e i pensionati anche stavolta dovranno pertanto continuare ad arrangiarsi.
Sulla portata della manovra che dovrebbe permettere sia all’economia che a Renzi di tirarsi fuori dalla palude nella quale stanno affondando al momento non c’è alcuna chiarezza. Le voci che partono dal governo parlano di una trentina di miliardi, e probabilmente non si allontanano dalla realtà. Ieri mattina il ministero dell’Economia si è però sentito in dovere di smentire, con tanto di comunicato ufficiale, senza però smentire davvero. Il Mef afferma, è vero, che «si tratta di ipotesi e cifre prive di fondamento», ma solo perché azzardare previsioni del genere è «prematuro»: «I provvedimenti dipenderanno dai nuovi obiettivi di finanza pubblica contenuti nella Nota di aggiornamento al Def che sarà presentata entro il 20 settembre».
Neppure i più inguaribilmente ottimisti, però, pensano che la manovra possa andare sotto i 20 miliardi e quasi certamente si avvicinerà maggiormente alla cifra smentita dal Mef. Significa che senza la concessione europea di andare oltre lo sforamento dell’1,8%, ottenendo così una decina di miliardi in più da mettere sul tavolo, non ci sarà alcuna possibilità di intervento reale. Ma anche in quel caso, il taglio delle tasse sarebbe limitato alle aziende, in nome delle ripresa. La scure sull’Irpef, sulla quale contava Renzi come arma segreta da usare nella campagna referendaria, è invece fuori discussione.
Fonte: il manifesto
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