Intervista a Lidia Menapace di Marco Pasciuti
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero a disposizione. E’ stato così in passato, ma oggi non è più così“. Perché il tempo in cui il Pc “era quasi una chiesa” cui “le persone obbedivano anche quando non erano d’accordo” è finito, avverte Lidia Menapace, classe 1924, “partigiana combattente con il grado di sottotenente”, specificava orgogliosa a Giovanni Floris che a maggio la intervistava a Di Martedì sul distinguo tra i partigiani “veri” che votano sì al referendum sulle riforme costituzionali e tutti gli altri coniato da Maria Elena Boschi.
Un altro scontro con il Pd, che ha invitato l’Anpi alla festa dell’Unità di Bologna, ma ha messo una regola: niente banchetti e volantini per il “no” al referendum sulla riforma costituzionale.
“Che stupidaggine. E’ come dire a qualcuno ‘Ti invito a pranzo, però l’importante è che non mangi‘. E’ una questione impostata male fin dall’inizio perché nell’Anpi è passata a stragrandissima maggioranza, il 97% dei delegati al congresso, la posizione di votare no al referendum. Anche se a quelli di noi che hanno un’opinione contraria, nessuno vieta di votare ‘Si’. Ora, questa cosa ha creato dissapori perché l’associazione è sempre stata molto sensibile alle richieste provenienti dall’ex Partito Comunista e da ciò che da quest’ultimo è venuto fuori in seguito. Ora però provare a cancellare il fatto che la stragrande maggioranza dell’Anpi non ne vuol sapere disconciare la Costituzione, no, non è una cosa ben fatta”.
“Siete voi che venite a casa nostra”, ha risposto il Pd. La sinistra, questa sinistra, non è più la casa dei partigiani?
“Guardi, una volta il partito, il Pc dico, era quasi una chiesa, si aderiva alle sue posizioni con un atteggiamento quasi fideistico, le persone si turavano il naso e obbedivano anche quando non erano d’accordo. Ma è un tipo di cultura politica che appartiene al passato. Non dico che sia da buttare via, ma oggi non è più utilizzabile. Non è possibile pretendere sempre l’unanimità. Io ho fatto la Resistenza, ho lottato in Val d’Ossola dove c’era una Repubblica che era unitaria ma in cui si confrontavano anche a furia di urla diverse anime e non c’era un pensiero uniforme o unanime“.
Come avviene nell’Anpi, dove c’è chi voterà ‘Sì’ al referendum. L’inizio di una spaccatura?
“Quelli che votano sì sono certamente favorevoli a Renzi, ma questo non vuol dire che l’associazione si spaccherà. Quelli di noi che hanno partecipato attivamente alla Resistenza sono vicini alla scomparsa. Ma il passaggio del testimone è già avvenuto a Torino, due congressi fa, quando l’Anpi si è aperta ai giovani e ha visto aumentare i tesseramenti. Quindi non è vero che il passaggio da una generazione a un’altra debba essere traumatico e comportare necessariamente una rottamazione, come la chiama Renzi“.
Qual è allora il motivo di queste continue incomprensioni tra l’Anpi il Pd?
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero spontaneamente a disposizione. E’ stato così in passato, ma oggi non è più così. E’ una delle ultime conseguenze di quella cosa grande e importante – peccato che sia finita male – che era il Pci con tutte le sue organizzazioni di massa. Però è una cosa datata, finita“.
A maggio la Boschi con la distinzione tra partigiani “veri” che votano ‘Sì’ al referendum e tutti gli altri e il paragone con Casapound, ora il comune di Firenze che non invita l’Anci alla Festa della Liberazione e le condizioni poste dal Pd a Bologna. C’è una strategia?
“Nessun gesto politico è innocente, qualche finalità se la pone sempre. Ma arrivare a pensare a una strumentalizzazione mi sembra eccessivo. Noto, invece, una certa insofferenza verso il dissenso“.
La posta in gioco al referendum è molto alta, troppo alta per dare spazio al dissenso.
“Renzi ha rischiato troppo, nessuno glielo ha chiesto di mettersi in prima linea come ha fatto. Ha sbagliato i calcoli. Se la sinistra esiste ancora, cosa di cui parecchi dubitano, di certo non sta nel Pd. E’ la grande questione politica ancora aperta e, siccome è di grande importanza, sarebbe bene affrontarla con prudenza, evitando atteggiamenti del tipo ‘Chi non vota come diciamo noi non è partigiano’, come fa la Boschi. Che farebbe meglio a restare in silenzio”.
L’atteggiamento del presidente del Consiglio è simile a quello di molti dei suoi predecessori: “Dopo di me, il diluvio”.
“Guardi, non sono del Pd, ho un giudizio non buono di Renzi. Anzi, dico una vera carognata: mi fa pensare a Fanfani, ma non nel senso che è democristiano. Fanfani era aretino, Renzi è fiorentino e dare dell’aretino a un fiorentino è un’offesa che non può essere lavata neanche con il sangue. Non posso pensare che il destino dell’Italia sia legato alle sorti del governo Renzi, perché questo è un ricatto e non un discorso politico”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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