di Bia Sarasini
Colpisce al cuore il titolo del denso volume dello storico Francesco Piva Uccidere senza odio. Pedagogia di guerra della Gioventù cattolica italiana 1868-1943 (Franco Angeli, pp. 316, euro 35). Colpisce ancora di più quando si comprende che non è una brillante trovata di autore (o editore), si tratta invece di un sillogismo elaborato durante la prima guerra mondiale che ha guidato più generazioni di giovani cattolici attraverso i conflitti che hanno segnato il secolo scorso. È nell’editoriale del foglio Mentre si combatte, dedicato al sostegno dei combattenti cattolici, datato ottobre 1917, che si legge: «Dovendo obbedire all’ordine di uccidere, il giovane cristiano uccide senza odio».
È un vecchio dilemma, fin dai tempi di Costantino, ricorda Francesco Piva, che ha insegnato storia contemporanea all’Università di Salerno e all’università Tor Vergata di Roma. La guerra rende un dovere ciò che va contro il principale precetto cristiano. «Con la leva obbligatoria e gli eserciti di massa, quel dilemma investe, più o meno consapevolmente, milioni di cristiani».
È un vecchio dilemma, fin dai tempi di Costantino, ricorda Francesco Piva, che ha insegnato storia contemporanea all’Università di Salerno e all’università Tor Vergata di Roma. La guerra rende un dovere ciò che va contro il principale precetto cristiano. «Con la leva obbligatoria e gli eserciti di massa, quel dilemma investe, più o meno consapevolmente, milioni di cristiani».
L’interessante ricerca di Piva ricostruisce questa vicenda nell’ottica di un grandioso progetto pedagogico, rivolto ai giovani maschi italiani nell’arco di più di 70 anni. Il 1868 è l’anno di fondazione della «Società della gioventù cattolica italiana», che in seguito divenne la «Gioventù Italiana di Azione Cattolica» (Giac). Un’associazione di massa che negli anni ’20 ebbe fino a 400.000 iscritti, raggruppava studenti, contadini, operai. Maschi, ovviamente, come non dice la denominazione, che non viene meno alla pretesa universale del maschile, mentre così non è mai stato per la parallella organizzazione che si chiamava GF, Gioventù femminile, fondata da Armida Barelli.
Ma se questa è un’altra storia, l’osservazione è del tutto interna alla puntuale ricognizione storica di Francesco Piva, che usa il ricco materiale inedito custodito nell’archivio dell’Azione Cattolica. Piva, che fa riferimento ai classici studi di George L. Mosse, tra cui L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna (Einaudi), parla infatti esplicitamente di educazione maschile, della costruzione di un modello di virilità che ha agito nella costruzione della società italiana contemporanea in mille rivoli. E qual è la figura virile che viene proposta ai giovani maschi cattolici, militanti della Giac?
Il punto interessante, che dà un contributo inedito alle pluralità di esperienze che compongono l’identità maschile, è che si tratta di un modello originale, pur influenzato dalle ideologie del tempo, nazionalismo, interventismo, fascismo, addirittura presenti all’interno dell’associazione.
Il nucleo centrale dell’educazione del maschio cattolico, scrive Piva, è «l’incitamento alla purezza». A fine Ottocento la rinuncia a esperienze sessuali prima del matrimonio era vista come, «una dura rinuncia in vista dell’amore coniugale». Entrati nel Novecento, la musica cambiò. Il militante cattolico era «maschio, prestante, forte, coraggioso, pronto allo scontro fisico con i nemici del tempo, socialisti anticlericali. Un’educazione della volontà fondata sul controllo autorepressivo degli istinti sessuali quale percorso indispensabile per sviluppare le virtù guerriere proprie degli uomini veri». Era una posizione aggressiva, sviluppata quando la Gioventù Cattolica si trasformò in associazione di massa, non più un piccolo gruppo elitario. La rinuncia al sesso prima del matrimonio cambiava ottica. Non più mortificazione della carne, ma «il piacere di conquistare un carattere forte» che avrebbe portato al successo in ogni esperienza della vita. Insomma, se eri casto ti veniva promessa «una personalità virile, garanzia di ascesa sociale».
Facile che il nuovo maschio cattolico diventasse l’eccellente soldato della Grande Guerra, con i suoi eroi e martiri, come Giosuè Borsi. Facile il conflitto, come dire, di egemonia sulla formazione dei giovani con il fascismo. Inevitabile il fallimento, l’impossibilità per la Giac, che dopo l’iniziale scontro si era compromessa con il regime, di riproporre negli anni ’40 la figura del cattolico eccellente soldato. L’unico rifugio fu di nuovo la religione, uno smarrimento che pesò sulla società civile della nuova Repubblica.
Fonte: Il manifesto
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