di Alberto Negri
In Turchia si svuotano di fretta e furia le carceri per far posto ad almeno 35mila persone arrestate dopo il golpe fallito del 15 luglio scorso. Le epurazioni, decine di migliaia, sarebbero «proporzionate alla minaccia», sostiene l’ambasciatore turco in Italia Aydin Sezgin, ma in realtà si sta facendo fuori un intero settore della borghesia, non necessariamente laica e secolarista ma sicuramente colta e istruita, dai magistrati ai militari, dai poliziotti ai manager. I media sono stati decapitati: in un mese hanno messo i sigilli a 130 tra giornali, televisioni e radio.
Erdogan ha deciso di eliminare, con un giustizialismo di stampo balcanico-mediorientale, quelli che non la pensano come lui. Una deriva autoritaria cominciata ben prima del colpo di Stato. In questi anni sono stati silurati giornalisti, intellettuali e minacciati anche grandi imprenditori come i Koc, cioè la Tofas-Fiat, soltanto perché si erano opposti alla sua versione della storia.
Erdogan ha deciso di eliminare, con un giustizialismo di stampo balcanico-mediorientale, quelli che non la pensano come lui. Una deriva autoritaria cominciata ben prima del colpo di Stato. In questi anni sono stati silurati giornalisti, intellettuali e minacciati anche grandi imprenditori come i Koc, cioè la Tofas-Fiat, soltanto perché si erano opposti alla sua versione della storia.
La collocazione della Turchia come “ponte” tra Est e Ovest è ancora valida ma forse appartiene anche al passato. La Turchia di Erdogan ha voluto rivestire un ruolo non di sponda dell’Occidente sul fianco orientale della Nato ma da protagonista nelle primavere arabe e nella disgregazione mediorientale, una partita complicata ma probabilmente ineludibile quando si pongono obiettivi ambiziosi come diventare un Paese guida del mondo musulmano. Questo traguardo è naufragato quando è fallita la defenestrazione di Assad, sostenuto dalla Russia e dall’Iran.
La Turchia di oggi non è un ponte ma un pendolo che oscilla tra Oriente e Occidente perché deve salvarsi da una disfatta. Nella competizione tra gli ex tre imperi (russo, persiano e ottomano) Erdogan è uscito con le ossa rotte e ha dovuto correre da Putin per negoziare un veto a un possibile stato curdo ai confini con la Siria: la Turchia in questo senso ha già perso la battaglia di Aleppo dove ha infilato migliaia di jihadisti che adesso dovranno essere riciclati quando l’Isis verrà sconfitto militarmente. Se Erdogan vuole in qualche modo limitare i danni deve partecipare attivamente a una soluzione politica e non solo militare per contrastare la minaccia terroristica e del radicalismo islamico.
Ma la sua prima preoccupazione qual è stata dopo la fuga dell’Isis dalla roccaforte di Manbij? Ricordare alla comunità internazionale, e agli Stati Uniti in particolare, che ora i curdi da quella città devono andare via, quegli stessi curdi anti-Califfato che a Kobane la Turchia non ha esitato a bastonare e poi a bombardare.
Il presidente turco, di persona e attraverso la sua diplomazia, tende a impartire lezioni agli altri ma non vuole imparare quella che gli è stata assestata non dall’Occidente, che attacca ogni volta che può e senza conseguenze, ma da Mosca e Teheran. Anzi, con la Russia e l’Iran usa i toni morbidi, quelli del compromesso, con l’Europa e gli Stati Uniti tende ad alzare la voce ben sapendo che all’Ovest troverà sempre comprensione «perché è un alleato chiave della Nato, un partner strategico ed economico indispensabile e una nazione di 80 milioni che non può andare alla deriva». Too big to fail, insomma. Sono questi gli argomenti che insieme alla questione dei migranti rendono flessibili gli occidentali di fronte all’arroganza del leader turco.
Ma ci sono anche gli interessi a giocare un ruolo fondamentale. C’è molta fretta nell’appianare le frizioni tra l’Italia e la Turchia: nel 2015 l’interscambio ha sfiorato i 20 miliardi di dollari, con 1.200 società a partecipazione italiana e grandi commesse come il terzo ponte sul Bosforo, senza trascurare le forniture strategiche, dagli elicotteri ai missili che vorremmo vendere ad Ankara. Non solo l’Italia ma anche l’Europa e gli Usa tra la “passione” per la democrazia e gli interessi è quasi certo che sceglieranno i secondi.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
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