di Gianmarco Pisa
La sentenza sul caso Karadzic (volume 2, capitolo 3, paragrafo a.4.e, nella formulazione per il pubblico della sentenza, prodotta il 24 marzo scorso dal Tribunale ad hoc), come da prassi, ricostruisce il contesto storico e politico in cui sono maturati gli eventi oggetto del processo e, sulla base di questi, individua le fattispecie criminali legate alla accusa (crimini di guerra in relazione alla guerra di Bosnia del 1992-1995).
Nell’ambito di questa ricostruzione di contesto, vengono quindi approfonditi anche i rapporti di Karadzic con alcune altre personalità, ed in questa cornice si inserisce la ricostruzione delle relazioni con Milosevic, in riferimento alle quali la sentenza non manca di sottolineare le divergenze tra i due, in particolare sui seguenti punti: un approccio molto più cauto in relazione alla ipotesi di costruire una autorità separata dei serbi in Bosnia, riserve molto più nette in merito alla esclusione dei musulmani bosniaci, il costante tentativo di preservare l’unità con la Bosnia e di evitare la divisione e la disgregazione della Jugoslavia stessa.
Nell’ambito di questa ricostruzione di contesto, vengono quindi approfonditi anche i rapporti di Karadzic con alcune altre personalità, ed in questa cornice si inserisce la ricostruzione delle relazioni con Milosevic, in riferimento alle quali la sentenza non manca di sottolineare le divergenze tra i due, in particolare sui seguenti punti: un approccio molto più cauto in relazione alla ipotesi di costruire una autorità separata dei serbi in Bosnia, riserve molto più nette in merito alla esclusione dei musulmani bosniaci, il costante tentativo di preservare l’unità con la Bosnia e di evitare la divisione e la disgregazione della Jugoslavia stessa.
La sentenza cita inoltre la dichiarazione di Milosevic alla Assemblea dei Serbi di Bosnia del maggio 1993 in cui sollecitava la accettazione del piano di pacificazione “Vance – Owen” e metteva in guardia dal rischio delle «disastrose conseguenze della prosecuzione della guerra» (testuale). Richiama inoltre due dichiarazioni di Milosevic (Belgrado, 15 marzo 1994) secondo le quali «tutti i membri delle altre nazionalità ed etnie devono essere protetti» e, in particolare, «interesse nazionale dei Serbi non è la discriminazione».
Ed ancora, notando la progressiva perdita di influenza da parte di Milosevic sulle autorità serbo-bosniache mano a mano che le divergenze con queste ultime si andavano approfondendo, richiama ancora un intervento successivo di Milosevic (20 settembre 1994), secondo il quale «la guerra deve finire» e «il più grande errore dei Serbi di Bosnia è quello di volere la totale sconfitta dei Musulmani Bosniaci». Descrive infine come una «completa follia» le sproporzionate e irrealistiche pretese territoriali delle autorità dei Serbi di Bosnia.
Nel paragrafo 3297 della sentenza è infine riportato che: «Nel novembre del 1995, Slobodan Milosevic si è rivolto al Consiglio Supremo di Difesa della Jugoslavia riferendosi alla leadership di Pale [serba bosniaca] come al maggiore ostacolo nel risolvere i problemi in Bosnia, criticandola inoltre per il suo [delle autorità serbe bosniache] rifiuto dei piani di pace per la divisione territoriale della Bosnia [facendo ancora riferimento a quanto precedentemente riportato in merito al piano “Vance – Owen” e successivi]». Milosevic disse alla leadership serba bosniaca che questa non aveva titolo per ritenere più di metà del territorio della Bosnia.
Passando poi dal “testo” al “contesto”, va detto che la sentenza si esprime sul caso Karadzic quindi non può rappresentare, in termini formali, alcuna assoluzione rispetto ai capi di imputazione attribuiti a Milosevic; d’altro canto, nella sostanza, scagiona di fatto lo stesso Milosevic dall’accusa più grave, quella di essere stato direttamente o politicamente responsabile degli sviluppi della guerra di Bosnia e dei massacri ivi compiuti.
Mette anche in luce, come dimostra il paragrafo 3291 (e non solo), l’approccio diverso, “jugoslavo”, da parte di Milosevic, più interessato alla difesa dell’unità delle repubbliche jugoslave e inserito nella cornice di una visione più complessiva della questione, rispetto a quello, locale, e molto invischiato nella guerra civile in corso, da parte di Karadzic. Tale contrasto risulta ancora più netto alla lettura del paragrafo 3283.
D’altro canto, il contenuto della sentenza e la ricalibratura del giudizio su Milosevic che essa prospetta non potevano non entrare nel dibattito politico in Serbia, ove il primo vicepremier e ministro degli esteri, il socialista Ivica Dacic, secondo quanto riportato dalla stampa locale, ha dichiarato che la sentenza prova che non sarebbero colpevoli Milosevic, la Jugoslavia e la Serbia e che le ripetute bugie sul genocidio e i crimini di guerra, usate come fondamento per colpevolizzare la Serbia e il popolo serbo, sono state smascherate.
Come da altre parti è stato sottolineato, la demonizzazione della Jugoslavia e la colpevolizzazione della Serbia, due tra i più forti ed efficaci artifici retorici e propagandistici che hanno accompagnato e sostenuto le campagne atlantiche di aggressione contro la Jugoslavia, possono essere tra i motivi salienti del vero e proprio oscuramento mediatico che il mainstreaming euro-atlantico ha riservato alla pur importante notizia.
In definitiva, al netto delle riserve e del dibattito sulla legittimità o meno del Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia, da più parti e per diversi profili messo in discussione, il contenuto della sentenza è importante nel senso di mettere in luce l’approccio, l’orientamento e il comportamento di alcuni attori di primo piano in quella che è stata la tragedia della guerra di Bosnia. Può contribuire ad una più completa e meglio definita ricostruzione storica, ma non può servire per una qualche assoluzione “ex post”, specie perché su vicende di tale portata assai meglio si esercita il giudizio della storia che quello di tribunali peraltro controversi.
Fonte: Pressenza
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