di Rossella Muroni
Colpiti al cuore. Il terremoto che ha drammaticamente devastato il centro Italia ha colpito tutti noi e l’unica reazione possibile ora, a caldo, è quella di mobilitarci per aiutare in ogni modo le comunità coinvolte. E in questo siamo bravissimi noi italiani: gli ospedali sono stati presi d’assalto dai donatori di sangue, la Protezione Civile ha già organizzato squadre di volontari da ogni regione, raccolte fondi e di beni di prima necessità sono state attivate sul web e da tanti media nazionali e locali. Le popolazioni colpite non devono essere abbandonate ma generosità e solidarietà non mancano, per fortuna.
Forse manca la memoria però, o la lungimiranza. Gli stessi paesi distrutti dal terremoto di ieri notte avevano subito la stessa catastrofe nel 1639 e in modo meno grave nel 1703. Il centro Italia è notoriamente a forte rischio sismico eppure si è costruito ugualmente, nelle stesse zone, come nulla fosse, tenendo in pochissimo conto la fragilità del territorio. Perché i terremoti non si possono prevedere ed è per questo che è necessario trovare modalità di convivenza idonee.
La vera opera di cui il nostro Paese ha assolutamente bisogno per fronteggiare il rischio sismico passa da una valutazione seria della condizione del nostro patrimonio edilizio. Più che pretendere dalla comunità scientifica un ruolo da indovini per prevedere l’impossibile, definendo quando e dove arriverà una forte scossa di terremoto, è più urgente e sensato avviare le necessarie verifiche della tenuta statica degli edifici, a partire dalle strutture pubbliche sensibili come gli ospedali e le scuole. Per far questo servono innanzitutto risorse economiche adeguate. Attualmente il Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico previsto dall’articolo 11 della legge 77 del 2009, approvata dopo il terremoto dell’Aquila, ha destinato 965 milioni di euro in 7 anni (dal 2010 al 2016 compreso), meno dell’1% del fabbisogno totale che servirebbe per un serio e completo intervento di adeguamento a livello nazionale. Per utilizzarle bene, e soprattutto in modo efficace, serve però anche una cabina di regia nazionale dotata di strumenti di controllo adeguati che valuti i progetti, stabilisca le priorità, a partire dalle aree a maggior rischio, e obblighi Regioni e Comuni a rispettarle. Pensare di evacuare preventivamente territori e intere città è ipocrita: il vero problema sono gli edifici fragili e mal costruiti.
L’attività di prevenzione deve prevedere quindi un approccio complessivo, che sappia tenere insieme le politiche urbanistiche, una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza delle zone a rischio, la realizzazione di interventi pianificati, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e la crescita di consapevolezza da parte dei cittadini. Questi ultimi aspetti sono particolarmente importanti. Le mappe aggiornate del rischio restituiscono un’ampia porzione del Paese, prevalentemente concentrata lungo la fascia appenninica in classe di rischio elevata o molto elevata, con centinaia di piccoli comuni, ma anche città, che devono essere pronti a gestire l’emergenza. Una cultura del rischio, esercitazioni, l’adozione di comportamenti adeguati da parte dei cittadini, campagne di formazione e informazione diventano allora strumenti fondamentali per salvare vite umane, così come la messa in sicurezza del territorio e degli edifici a rischio. Il tema della fragilità del territorio della nostra Penisola deve diventare centrale nella riflessione comune a tutti i livelli di governo del territorio. Abbiamo un sistema di Protezione Civile tra i più avanzati ed efficaci ma molti comuni non hanno mai attivato i sistemi di monitoraggio e allerta o recepito il sistema di allertamento regionale con le attività di informazione alla popolazione e le esercitazioni.
Occorre investire concretamente in una vasta opera di prevenzione che preveda una campagna di informazione capillare, che consenta ai cittadini di poter mettere in pratica i comportamenti più idonei nell’emergenza, e non si può più prescindere da un intervento legislativo che preveda l’estensione dell’ecobonus anche in funzione antisismica per la riqulificazione delle abitazioni private e degli edifici pubblici.
Oggi l’Italia è di nuovo colpita al cuore ma il nostro punto più debole è la memoria che ci impedisce di capire quanto la messa in sicurezza del territorio sia la vera e prima opera pubblica alla quale gli italiani avrebbero diritto. Dovremmo chiederla a gran voce. Anche a nome di coloro che non ci sono più.
Fonte: Il manifesto
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