di Alberto Lucarelli
A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico decine di migliaia di docenti (gli esiliati) sono costretti alla “mobilità forzata”, principalmente dal Sud al Nord, sulla base del mitico algoritmo che ha attribuito i trasferimenti senza tener conto, tra l’altro, di situazioni personali, anzianità di servizio e dei carichi familiari. Tra gli obiettivi della Buona Scuola c’è quello di ‘stabilizzare’ il personale precario della scuola pubblica che da anni, per effetto di normative sempre diverse, aveva conseguito l’abilitazione all’insegnamento o era comunque stato inserito nelle graduatorie provinciali dalle quali avrebbero dovuto essere assorbiti i docenti da destinare alle attività di supplenza.
Proprio per contenere gli effetti di questa distorsione e, al contempo, per dare una soluzione compatibile con quanto stabilito dall’art. 97 co. 3 Cost. (che impone il concorso per l’accesso ai ruoli del pubblico impiego, fatte salve deroghe disposte per legge), la legge 107 del 2015 ha disposto il suddetto procedimento straordinario di reclutamento. Tuttavia, la legge, in diverse sue parti, configura un procedimento che pone forte dubbi di legittimità costituzionale.
Il fine di garantire i diritti dei lavoratori precari della scuola costituisce, come si è detto, l’elemento principale della ratio dell’intervento legislativo, tuttavia, tale obiettivo è conseguito attraverso un percorso che ingiustificatamente, e con evidenti profili di irragionevolezza, scarica i diritti già maturati da tanti docenti.
In particolare, una categoria di docenti particolarmente numerosa e strutturata nel tempo, in palese violazione del principio di eguaglianza, viene irragionevolmente equiparata, da parte della legge, ad altre categorie di docenti non omogenee con un grave danno al loro status giuridico. I docenti appartenenti ad altre categorie, reclutati in fasi successive, hanno paradossalmente potuto fruire di maggiori disponibilità sia nell’ambito geografico di riferimento che nei settori di concorso per i quali risultavano abilitati. In sostanza, il legittimo affidamento di migliaia di docenti, riposto nelle norme che hanno disciplinato il loro reclutamento nel personale scolastico, è stato completamente stravolto.
Migliaia di docenti erano iscritti in graduatorie di carattere provinciale ed avevano a suo tempo espresso un’opzione, imposta dalla legge, per delimitare l’ambito geografico in cui avrebbe potuto avvenire la loro assunzione negli organici della scuola.
La legge sulla Buona Scuola non ha rispettato la delimitazione dell’ambito provinciale, imponendo una scelta su base nazionale. Tutto questo, benché migliaia di docenti ammessi al procedimento straordinario di reclutamento, avessero fino a quel momento lavorato per maturare i titoli necessari all’assunzione in quel determinato contesto provinciale, proiettando anche la propria dimensione personale e in molti casi familiare in quell’ambito.
A ciò si aggiunga che la legge, pur lasciando formalmente alla libera scelta del docente l’indicazione delle preferenze geografiche, ha stabilito che in caso di mancata accettazione della proposta di assunzione (nella provincia in cui si sarebbe determinata la disponibilità di organico), il docente sarebbe stato escluso dalle graduatorie e non avrebbe potuto partecipare alle ulteriori fasi della straordinaria procedura di reclutamento.
Sono del tutto evidenti le violazioni dei diritti individuali dei soggetti coinvolti, i quali sono stati di fatto ‘costretti’ ad accettare una proposta di assunzione in un ambito geografico del tutto diverso, pur di preservare la legittima aspettativa all’assunzione.
Inoltre, va detto che i meccanismi di reclutamento prefigurati dalla legge, così come attuati in sede esecutiva (il mitico algoritmo), hanno di fatto reso impossibile sia la verifica dei criteri, in base ai quali è stata stilata la graduatoria tra gli aspiranti, sia la verifica dei criteri e delle modalità con le quali sono stati rilevati dal Ministero i posti disponibili per le assunzioni.
Ciò implica una palese violazione dei principi di trasparenza dell’azione amministrativa, non potendosi in alcun modo escludere che siano stati compiuti arbitri o violazioni della discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa investita del compito di stilare la graduatoria tra gli aspiranti. In altri termini, non sono conoscibili i criteri in base ai quali i singoli docenti hanno ricevuto la proposta di assunzione.
Anche in questa chiave, emergono palesi violazioni, oltre che del principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), altresì del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
Il confronto tra le soluzioni normative adottate dallo Stato italiano e le decisioni sovranazionali, che sono alla base del percorso di stabilizzazione dei precari della scuola, fa emergere l’inadeguatezza delle scelte legislative rispetto ai diritti delle persone che la Corte europea dei diritti dell’Uomo aveva inteso garantire e tutelare con le sue decisioni.
In questo senso emergono sia la violazione dell’art. 117 co. 1 Cost., che impone al legislatore italiano il rispetto degli obblighi derivanti dall’adesione alla convenzione Edu, sia la violazione dei diritti delle persone e dei lavoratori che sia la Carta costituzionale che la Cedu tutelano e garantiscono.
Fonte: il manifesto
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