Intervista a Marcelo Barros di Claudia Fanti
È stata la prima volta in cui il Forum Sociale Mondiale si è svolto nel Nord del mondo ma non è solo per questo che verrà ricordata l'edizione di Montreal, in Québec, dal 9 al 14 agosto scorso. La scelta della sede - frutto della constatazione che la distinzione tradizionale tra Nord e Sud del mondo ha ceduto terreno rispetto a quella tra l'1% dei ricchissimi e la stragrande maggioranza della popolazione esclusa dal banchetto planetario - ha avuto come sgradita ma prevedibile conseguenza quella del drastico ridimensionamento della partecipazione dei rappresentanti dei Paesi poveri, principalmente a causa della rigida politica migratoria del governo canadese, che ha rifiutato i visti a un grandissimo numero di militanti e leader comunitari, anche di grande notorietà (come se questi non avessero intenzione di ritornare alle proprie lotte a conclusione dell’evento).
Tuttavia le novità positive non sono di certo mancate, a cominciare dalla rinuncia agli sponsor, la cui presenza aveva suscitato tante polemiche nelle edizioni precedenti. Se la massiccia partecipazione delle prime edizioni è ormai un ricordo - a Montreal erano presenti circa 20mila rappresentanti -, grande apprezzamento ha riscosso la metodologia seguita, aperta e partecipativa, centrata su oltre mille workshop autogestiti, assemblee di convergenza, “grandes conférences” (incontri di alto livello su questioni chiave, come quello con Naomi Klein) e collegamenti con varie città e realtà in ogni parte del mondo, come la tele-conferenza via internet promossa l'11 agosto tra gli attivisti internazionali dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI) presenti a Montreal e i membri del Comitato Nazionale del Forum Sociale Iracheno riuniti a Baghdad: «un interessantissimo scambio», come ha raccontato su Comune-info (15/8) la presidente dell'ong Un Ponte per Martina Pignatti, che ha affrontato sfide delicate come quella di «stimolare l’attivismo dei giovani nell’associazionismo dissuadendoli dal pensare che la violenza sia l’unico mezzo per un cambiamento» o quella di «riprendere un lavoro di pressione sulle istituzioni irachene per la trasparenza, soprattutto in settori chiave come il petrolio». O, ancora, quella di chiarire come la via per fermare il terrorismo passi non per i bombardamenti e le strategie della coalizione anti-Daesh, ma attraverso un cambiamento di rotta delle istituzioni che governano Iraq e Siria.
Tuttavia le novità positive non sono di certo mancate, a cominciare dalla rinuncia agli sponsor, la cui presenza aveva suscitato tante polemiche nelle edizioni precedenti. Se la massiccia partecipazione delle prime edizioni è ormai un ricordo - a Montreal erano presenti circa 20mila rappresentanti -, grande apprezzamento ha riscosso la metodologia seguita, aperta e partecipativa, centrata su oltre mille workshop autogestiti, assemblee di convergenza, “grandes conférences” (incontri di alto livello su questioni chiave, come quello con Naomi Klein) e collegamenti con varie città e realtà in ogni parte del mondo, come la tele-conferenza via internet promossa l'11 agosto tra gli attivisti internazionali dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI) presenti a Montreal e i membri del Comitato Nazionale del Forum Sociale Iracheno riuniti a Baghdad: «un interessantissimo scambio», come ha raccontato su Comune-info (15/8) la presidente dell'ong Un Ponte per Martina Pignatti, che ha affrontato sfide delicate come quella di «stimolare l’attivismo dei giovani nell’associazionismo dissuadendoli dal pensare che la violenza sia l’unico mezzo per un cambiamento» o quella di «riprendere un lavoro di pressione sulle istituzioni irachene per la trasparenza, soprattutto in settori chiave come il petrolio». O, ancora, quella di chiarire come la via per fermare il terrorismo passi non per i bombardamenti e le strategie della coalizione anti-Daesh, ma attraverso un cambiamento di rotta delle istituzioni che governano Iraq e Siria.
E se a livello di contenuti non si sono registrate, né erano attese, grandi novità - il maggiore risalto è stato dato ai temi dell'ambiente (compreso quello dell'estrattivismo) e della giustizia climatica, delle migrazioni, della militarizzazione, delle campagne contro Ttip e Ceta e delle lotte per l’autodeterminazione dei popoli, dai Sahrawi alla Siria, alla Palestina, fino al confederalismo democratico in Rojava e ai movimenti per la democrazia in Egitto - hanno giocato un ruolo chiave a Montreal nuove generazioni e nuovi soggetti, a cominciare dal movimento studentesco. Come ha evidenziato su il Fatto Quotidiano (13/8) Vittorio Agnoletto, a organizzare questa edizione sono stati giovani tra i venti e i trent’anni che «hanno alle spalle un’altra storia» rispetto ai movimenti protagonisti dei Forum precedenti come Via Campesina e il Movimento dei Senza Terra e «provengono da Occupy Wall Street, dalle lotte studentesche contro la privatizzazione del sapere e per un web libero, dalla lotta contro i grandi oleodotti, dall’impegno per un’energia pulita, contro un modello di sviluppo energivoro fondato sui combustibili fossili».
Ma l’altro mondo possibile?
Quel che è certo è che, nei 15 anni trascorsi dalla prima edizione del Fsm, a Porto Alegre nel 2001, il mondo è cambiato profondamente, diventando ancora più ingiusto (85 persone possiedono ora l'equivalente del patrimonio della metà povera dell’umanità e, nel 2016, la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale ha superato quella del rimanente 99%), violento (alle guerre e alle invasioni militari si sono aggiunte nuove forme di terrorismo) ed ecologicamente insicuro (ogni anno si annuncia più caldo di quello precedente). E sono arrivate al capolinea o perlomeno evidenziano una crisi profonda esperienze come quella del ciclo progressista latinoamericano, di importanza fondamentale per la nascita e il consolidamento del Fsm, o quella della cosiddetta primavera araba, che ha fatto da sfondo alle ultime due edizioni a Tunisi. Un quadro, questo, di fronte a cui restano ancora irrisolte le domande di sempre: come unire le forze a livello internazionale per accrescere la capacità di lotta dei movimenti sociali, rendendo il “Noi siamo il 99%”, il celebre grido lanciato dal movimento Occupy Wall Street, qualcosa di più di un semplice slogan? E il Forum Sociale Mondiale, il principale spazio di autoconvocazione della società civile a livello globale, è ancora lo strumento adeguato per permettere alle diverse realtà di stabilire mete comuni e aspetti su cui convergere, seppure declinati secondo la propria specificità territoriale, creando così sinergie tuttora mancanti e accumulando forza sufficiente per creare un’egemonia alternativa?
Quanto alle Chiese, da sempre coinvolte nel processo del Fsm, non hanno fatto mancare la loro presenza, sia pure in tono minore, neppure a Montreal, dove si è svolta la VII edizione del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, pensato inizialmente come evento separato (per quanto sempre riconducibile al Forum) e poi diventato uno spazio di incontro e di riflessione teologica direttamente al suo interno. Svoltosi dall'8 al 13 agosto sul tema "Resistere, sperare, inventare: un altro mondo è possibile!", il Forum ha affrontato temi come quelli della crisi ecologica, della costruzione della pace, delle migrazioni, della questione di genere e del dialogo interreligioso, con un'attenzione particolare ai popoli indigeni e alla questione della decolonizzazione della religione e della teologia (tematica assai rilevante nel contesto storico del Canada francese). Era presente al Fmtl e più in generale al Fsm anche il monaco benedettino Marcelo Barros, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Il Forum Sociale Mondiale si è svolto per la prima volta nel Nord del mondo. E forse era arrivato il momento, se è vero che la distinzione tra Nord e Sud del mondo è ormai superata da quella tra i pochi ricchi - il famoso 1% - e i tantissimi poveri a livello globale. Quale è stata la specificità del Forum di Montreal? Quali sono state le novità e quali i problemi?
"Penso che tutti, sia gli organizzatori che i partecipanti, fossero consapevoli della necessità di affrontare la sfida di organizzare il Forum Sociale Mondiale in una città del “Primo Mondo”. La funzione del Forum è quella di consentire e favorire una maggiore articolazione tra i movimenti popolari e le associazioni di solidarietà. Ritengo che la scelta di una città del Nord del mondo come sede del FSM abbia permesso di dare la priorità ai poveri e agli emarginati del mondo industrializzato, i quali fino ad oggi non avevano avuto possibilità di partecipare a tale processo. Le difficoltà, tuttavia, sono state enormi. Il governo canadese ha negato il visto d'ingresso a più o meno il 70% delle persone che avevano fatto richiesta di partecipare al Forum di Montreal. Ciò spiega come, in termini numerici, questa sia stata l’edizione con la minore quantità di partecipanti (non più forse di 20mila persone). Per la prima volta, però, il FSM ha potuto contare sulla presenza dei rappresentanti degli indigeni di diverse regioni del Canada, generalmente invisibili in questo Paese e in molti casi oppressi e discriminati. E io credo che, in un certo modo, è più facile essere poveri in un Paese povero del Sud del mondo che in mezzo all'abbondanza di una città come Montreal."
Il FSM è riuscito a dare nuova linfa al processo come si proponevano gli organizzatori?
"Non me la sento ancora di affermarlo. Penso che ciò dipenderà dalle decisioni che verranno adottate nel dopo Montreal. Mi sembra significativo, comunque - e forse è la prima volta che questo avviene nel contesto di un Forum mondiale - che diverse conferenze e incontri abbiano avuto come tema proprio quello del futuro del FSM. Ho preso parte a due di questi e mi sono apparsi molto vivi e partecipati. Un motivo di preoccupazione, invece, è venuto dall'assenza, o perlomeno da una presenza assai limitata, di movimenti fondatori del FSM, movimenti che hanno sempre giocato un ruolo chiave nel processo, come il Movimento dei Senza Terra, la Via Campesina, la Marcia Mondiale delle Donne. Da questa edizione, in ogni caso, emergono alcune linee centrali a cui occorre dar seguito: 1. lavorare maggiormente sulle strategie da seguire per far fronte al capitalismo e alle sue guerre; 2. porre l'accento sul fatto che, se oggi, ancor più che nel 2001, appare assolutamente necessario un forum dei cittadini di tutto il mondo, questo processo deve essere però maggiormente radicato, attraverso l'organizzazione non solo di eventi internazionali ma anche di incontri regionali e di base; 3. promuovere forum tematici, più che mai necessari nell'attuale congiuntura mondiale, per evitare la frammentazioni e le dispersioni tipiche del FSM. Anche a Montreal, a fronte di oltre mille workshop autogestiti, l'impressione era che molti gruppi trattassero gli stessi temi, ma ciascuno nella propria sala e per conto suo."
Il FSM ha permesso ai movimenti sociali di tutto il mondo di conoscersi meglio e di articolare le proprie lotte. Ma nel frattempo, al posto dell'altro mondo possibile, quello che abbiamo di fronte è un mondo sempre più violento, ingiusto e diseguale. Perché questo strumento non è riuscito a diventare più incisivo nella formulazione di proposte e di politiche? Cos'è che è mancato?
"In effetti, il capitalismo si è rivelato assai più forte di noi e in grado, nell'attuale momento storico, di vanificare tutte le nostre lotte. È vero che abbiamo vissuto momenti forti e importanti, ma non abbiamo mai potuto contare su strumenti di comunicazione che ci permettessero di coinvolgere le basi locali nelle proposte emerse dal processo del Forum Sociale Mondiale. Tutta la grande stampa ci è ostile e noi non siamo riusciti a varcare questa frontiera, a superare questo limite. Come possiamo muoverci se non abbiamo efficaci strumenti di comunicazione? Attualmente, in Brasile, il popolo viene spogliato, giorno dopo giorno, dei pochi diritti conquistati in questi anni di governo del Partito dei Lavoratori (con tutte le limitazioni e le contraddizioni che questo ha evidenziato). Ogni giorno i lavoratori soffrono una privazione in più, ma la maggioranza della popolazione continua a pensare che con l'attuale governo, responsabile di un colpo di Stato contro la presidente Dilma Rousseff, le cose andranno meglio... Come dire la verità, come garantire un'informazione seria, se gli avversari dispongono di tutti i grandi mezzi di comunicazione? Un altro limite che abbiamo mostrato è che, a eccezione di alcuni momenti, ogni organizzazione porta avanti le proprie bandiere (i contadini la questione della terra, le donne la questione di genere, ecc.), perdendo di vista l'obiettivo generale di unificare le diverse lotte, di creare una bandiera comune pur conservando l'autonomia di ogni movimento... Non siamo ancora riusciti a portare avanti questo compito."
Dopo tante edizioni del FSM, la domande restano infatti le stesse: come unire le forze per accrescere la capacità di lotta dei movimenti sociali? E il Forum Sociale Mondiale è ancora lo strumento adeguato per permettere alle diverse realtà di stabilire mete comuni e aspetti su cui convergere?
"Come dicevo, la battaglia della comunicazione appare prioritaria e d'altro canto dobbiamo essere capaci di portare avanti la resistenza anche con tutta la nostra debolezza e con tutta la nostra fragilità... Il FSM non pretende di essere l'unico strumento di questa resistenza, ma, al momento, non abbiamo altri spazi di convergenza a livello mondiale. Pertanto, dobbiamo potenziare questo strumento e cercare di approfittare al meglio delle sue possibilità."
Nel processo del FSM, il rapporto con le forze politiche è sempre stato fonte di polemiche. Come viene letta oggi la crisi del ciclo progressista latinoamericano?
"Un'analisi critica dei governi progressisti e di sinistra latinoamericani è stata al centro di un affollato incontro organizzato dall'Ibase, l'Instituto Brasileiro de Análises Sociais e Econômicas. Ne sono emersi alcuni punti chiari. 1. Nell'attuale modello di "democrazia", i movimenti sociali e di base non esercitano un reale controllo sui loro rappresentanti. Cosicché, una volta raggiunto il potere, lo scollamento dalla base diventa quasi inevitabile anche per i politici più di sinistra. La politica può cambiare le cose solo nella relazione con la quotidianità delle persone. Se questa relazione si perde, inevitabilmente si prende un'altra direzione, anche senza volerlo. 2. L'apparato di potere, oltre a isolare, contiene un virus distruttivo per il processo rivoluzionario. In tutti i Paesi, i critici denunciano forme di autoritarismo e di caudillismo di sinistra. Ed è comune che le persone pensino: "In ogni caso, è meglio per il popolo conservare il potere, piuttosto che aprire una breccia attraverso cui la destra possa riconquistare il governo". Ma, in base a questo principio, si finisce per stringere alleanze che spingono i governi di sinistra sempre più a destra. Pochi giorni fa, Evo Morales, malgrado tutti i suoi discorsi sulla difesa della Madre Terra, ha autorizzato l'ingresso in Bolivia di 500mila tonnellate di mais transgenico."
Coinvolte nel processo del FSM sono anche le Chiese, presenti nelle varie edizioni in diverse forme, a cominciare da quella del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione. Come giudichi quest'ultima edizione di Montreal?
"Nel FSM di Montreal la presenza delle religioni e delle Chiese è stata piuttosto insignificante. Nelle tre ultime edizioni, tutte svoltesi in Africa, avevano partecipato diverse organizzazioni islamiche e anche rappresentanti induisti e di altre religioni orientali. Questa volta, nessuna di queste organizzazioni ha partecipato. Come pure sono mancati i diversi organismi di pastorale sociale cattolica (la Caritas, per esempio) presenti nelle precedenti edizioni. Nei giorni del FSM, un amico ha chiesto a un importante vescovo canadese cosa pensasse di questo evento e il vescovo ha confessato che neppure sapeva che si sarebbe svolto il FSM! Riguardo invece alla VII edizione del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, la preparazione è stata a carico di una commissione locale, composta da professori (uomini e donne) della Facoltà di Teologia dell'Università di Montreal e anche da qualche docente dell'Università di Toronto. Ciò ha prodotto tre conseguenze: 1. il FMTL ha potuto contare su un'ottima partecipazione, promuovendo attività proprie il giorno precedente all'apertura del FSM e il giorno successivo alla sua chiusura; 2. si è svolto attorno a temi più legati alla realtà canadese, come quello della decolonizzazione e del dialogo con le nazioni indigene; 3. è stata l'edizione del FMTL più integrata al FSM, attraverso svariate attività con i partecipanti al Forum."
Cosa lascia a te in particolare questa edizione?
"In primo luogo, la constatazione di come il fatto che il sistema capitalista sia oggi ancora più forte che al tempo della prima edizione del Forum dovrebbe renderci più umili. Prima dicevamo: un altro mondo è possibile. In questa edizione lo slogan è diventato: un altro mondo è necessario. Insieme, possiamo renderlo possibile. Mi sembra più realistico. In secondo luogo, la convinzione che dobbiamo fare di tutto per arrivare a una più grande unità tra i movimenti sociali, a una più forte articolazione internazionale: i movimenti sociali non dovrebbero aspettare di essere invitati dal papa per riunirsi. Abbiamo un bisogno profondo di unire le forze e il FSM è o dovrebbe ancora essere uno spazio di incontro per un nuovo mondo possibile. La società civile e tanti non credenti portano avanti una lotta che dovrebbe essere anche quella dei credenti di tutte le Chiese: la testimonianza e l'annuncio del regno di Dio (l'altro mondo possibile). Purtroppo, sembra che la maggior parte dei ministri ecclesiali e dei vertici delle Chiese non abbiano ancora scoperto questa relazione tra l'obiettivo del FSM e l'aspetto fondamentale della missione delle Chiese. Nel quadro del FMTL, ho avuto modo di assistere alla prima del film-documentario su Camilo Torres "I volti di Camilo", del regista colombiano Diego Briceño, frutto di un lavoro di più di otto anni in sette diversi Paesi. Colpisce molto, oggi, sentir dire da un uomo come lui appartenente alla classe media: «Il cristiano o è rivoluzionario o non è cristiano». Oppure: «Quello che fa di una persona un cristiano è il suo amore per gli oppressi e la decisione di consacrare la propria vita a questa causa. Punto». E alla domanda se fosse d'accordo, nel momento in cui fossero state espropriate le ricchezze concentrate nelle mani della borghesia, sul fatto di espropriare contestualmente anche i beni della Chiesa, così aveva risposto: «Sono d'accordo a espropriare già ora i beni della Chiesa. Non c'è bisogno di attendere la rivoluzione. Tutti i beni della Chiesa, per diritto, appartengono ai poveri. Si tratta appena di una restituzione...».
Quel che è certo è che l'invito di Gesù, oggi come ieri, è sempre questo: cambiate strada. Il regno di Dio (il programma di Dio per questo mondo) sta arrivando..."
Fonte: Adista.it
Originale: http://www.adista.it/articolo/56516
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