di Anna Lombroso
Ah no, io non ci sto a questa pietas silenziosa molto raccomandata da anime belle della rete e dei media che sollecitano una sospensione compassionevole da polemiche e critiche sciacalle. Lo dobbiamo ai morti di Amatrice, di Accumoli, di Arquata, come a quelli dell’Irpinia, dell’Aquila, dell’Emilia e lo dobbiamo a noi stessi che ci vergogniamo, come succede, di essere sopravvissuti nelle nostre comode case, che non sappiamo fronteggiare il senso di impotenza e anche la paura che si ripeta l’opera di ben altri sciacalli, quelli che ridono in prospettiva di business provvidenziali, quelli che pensano a una ricostruzione con gli stessi materiali scadenti, con gare d’appalto opache in virtù della nuova provvida emergenza.
E quelli per i quali sono le guerre comunque si manifestino, il vero motore di sviluppo e che ci fanno capire che i morti ad Aleppo, i bambini annegati, i ragazzi morti sotto i calcinacci della casa dello studenti o in un ospedale di recente fattura a Amatrice, altro non siano che un necessario scotto che si paga alla crescita, al benessere.
E quelli per i quali sono le guerre comunque si manifestino, il vero motore di sviluppo e che ci fanno capire che i morti ad Aleppo, i bambini annegati, i ragazzi morti sotto i calcinacci della casa dello studenti o in un ospedale di recente fattura a Amatrice, altro non siano che un necessario scotto che si paga alla crescita, al benessere.
A loro dobbiamo di stare svegli, di parlare, di vedere ben oltre il guardare e di ascoltare be oltre il sentire. Il sentire un premier, insieme a alte cariche dello Stato, compiacersi per l’opera dei volontari, per quello spirito indomito che anima gli italiani nelle catastrofi, con aiuti, donazioni, raccolte fondi, ai corpi dello Stato, pompieri, esercito, forze dell’ordine che si prodigano, malgrado tagli infami, attrezzature scadenti, in una retorica che suona oscena perché invece si tace su azioni del governo, su erogazioni di fondi possibilmente distratti da propositi megalomani e certamente aggiuntivi a dissesto e sacco del territorio, sulla opportunità di avviare un negoziato per la revisione di patti scellerati, sulle eventualità che le regioni e i paesi colpite possano sottrarsi agli obblighi di bilancio.
Macché, niente di tutto questo, mancava solo che il pistolotto sulla ritrovata unità del Paese in occasione del sisma, culminasse in un appello referendario o, ma l’ipotesi non è da sottovalutare, in un rinvio per cause di forza maggiore. Sappiamo che al calar della sera, speranzoso che stanchezza e dolore tolga forza ai derelitti, il presidente del consiglio si recherà nelle zone del lutto in visita pastorale. C’è da augurarsi che, come succede sempre ormai, venga sonoramente fischiato, perché vorrà dire che malgrado la disperazione, la paura, non siamo più disposti a subire in aggiunta l’onta degli annunci, delle promesse e della delega alla nostra buona volontà.
E si tace sulla Protezione Civile che dopo gli scandali è stata condannata a essere una scatola vuota di poteri, risorse, competenze. E non casualmente, perché si aspetta, e questa potrebbe essere l’occasione buona, di riproporne la trasformazione desiderata in una agenzia privata, proprio come voleva il tandem Berlusconi – Bertolaso. Si tace sui vigili del fuoco che in questi giorni alle prese con gli incendi di Roma, probabilmente promossi dai soliti piromani che in tutta Italia preparano il terreno per scafati immobiliaristi, denunciano di non avere mezzi, attrezzature, uomini. Si tace sulle misure di contrasto al dissesto idrogeologico, anche se, ma non è strano, a ogni terremoto, ma anche a ogni pioggia, casca giù un costone di montagna. E indagini e piani di intervento passano di mani in mano come una eredità sgradita, mani sempre più incompetenti e sempre più contigue al regime. Oggi affidati a tal Mario Grassi noto per essere toscano oltre che economista, un binomio di successo, e succeduto a D’Angelis, noto per aver preferito all’autorevole incarico la direzione seppure temporanea dell’Unità, con un miliardo di budget per Italiasicura, così si chiama la missione che vale meno di un quarto del budget dell’Expo e delle cui opere avviate non si sa nulla dopo i ridonandoti annunci del 2014, 2015.
Io andai all’Aquila pochissimi giorni dopo il terremoto. Ci andai con ordini professionali la cui candidatura a effettuare a titolo gratuito, perizie e piani di intervento fu respinta con sdegno. Vidi l’occupazione militare della zona: i terremotati non potevano recarsi nelle case del centro storico da soli e nessuno però era autorizzato a accompagnarli, mancavano medicinali, generi di prima necessità, tra i quelli collocherei anche le foto di famiglie e oggetti cari, dentiere comprese, alle quali voleva direttamente provvedere “faccio tutto io”. Li vidi i pochi che si rassegnavano alle tende, grandi e stipate di lettini, di modo che chi aveva perso tutto perdesse la superstite dignità, ridotto a molesto “malato” e confinato. Li vidi i cartelli esposti che raccomandavano sobrietà e compostezza anche nell’abbigliamento, per non farsi riconoscere, suppongo, come i soliti piagnoni indolenti.
Mi pare che siamo stati troppo zitti, aspettando che ci raccontasse qualcosa su quella ferita ancora aperta un film e qualche indagine giudiziaria presto dimenticata.
Non aggiungiamo altro silenzio.
Fonte: Il Simplicissimus
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