La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 20 dicembre 2016

Bibi e The Donald, l’asse che lacera Israele e comunità ebraica americana

di Guido Moltedo
Dicembre 2015. Esattamente un anno fa, Donald Trump, la bestia nera dei repubblicani che già consolidava la sua posizione in testa nelle primarie del GOP, dovette cancellare la sua visita in Israele, concordata qualche tempo prima con Netanyahu, con l’idea evidente di poter disporre del sostegno della comunità ebraica statunitense più legata a Bibi. L’allora candidato repubblicano era in quei giorni sui giornali di tutto il mondo per le sue bordate anti-islamiche e per il suo proposito, se eletto presidente, di chiudere le frontiere ai musulmani e di porre sotto controllo i cittadini americani fedeli di Maometto.
Alla notizia dell’arrivo di Trump, il parlamentare arabo Ahmad Tibi chiese che fosse cancellata la visita del “neonazista” americano. Non fu una voce isolata. Alla sua protesta s’unì l’indignazione dei deputati del centro e della sinistra, ma anche quella di un ministro, Yuval Steinitz, titolare dell’Energia e amico dello stesso Netanyahu.
Il “razzista” è persona non grata. Fatto sta che perfino Bibi si rese conto che la visita di Trump rischiava di trasformarsi in un boomerang, innanzitutto per Israele stesso, e all’amico Donald consigliò di rinviare il viaggio a tempi migliori. E poi non c’era motivo di inimicarsi quella che allora sembrava la presidente in pectore, Hillary Clinton.
Dicembre 2016. J Street, il gruppo di pressione degli ebrei progressisti americani, diffonde una nota in cui si condanna duramente l’ambasciatore d’Israele a Washington, Ron Dermer – americano di nascita e formazione, amico personale di Benjamin Netanyahu e del genero e consigliere di Trump, Jared Kushner -, per aver preso appassionatamente le parti del Center for Security Policy (CSP) e del suo fondatore Frank Gaffney, e per aver accettato un premio dal CSP stesso nel corso di un gala a New York. IL CSP è un’organizzazione di estrema destra islamofoba e razzista, sostenitrice del bando totale all’immigrazione di musulmani in America, nemica totale del “musulmano” Obama. Dermer, denuncia ancora J Street, si è anche distinto per i suoi attacchi al Southern Poverty Law Center (SPLC), stimata organizzazione che vigila sui fenomeni di odio e di discriminazione razziale, colpevole, per Dermer, di aver stigmatizzato il razzismo di CSP e Gaffney.
Dermer, sostiene J Street, “danneggia i principi fondamentali sui cui poggia la relazione Usa-Israele e fa un grave disservizio al suo governo e alla nostra comunità”.
Tutto questo prima che fosse diffusa la notizia della nomina ad ambasciatore degli Stati Uniti in Israele di David Friedman, un’idea folle per il prossimo futuro del Medio Oriente e “un anatema nei confronti dei valori sui si fonda la relazione tra Stati Uniti e Israele”, come denuncia in tweet Jeremy Ben-Ami presidente di J Street. Che annuncia battaglia per impedire la ratifica parlamentare della nomina di Friedman, noto anche per aver definito “kapo” Ben-Ami e la sua organizzazione perché sostenitori di un percorso di pace tra Israele e Palestina che dia vita a due stati.
Scrive sul New Yorker, David Remnick:
"Le posizioni di Friedman sono in sintonia e sincronia con quelle dei rappresentanti politici dei coloni e con la “filosofia” degli insediamenti in Cisgiordania, nonché nell’opposizione all’idea dei due stati.
[…] Il genero e consigliere di Trump, Jared Kushner ha con la sua famiglia “un intenso interesse negli affari israeliani. La loro politica sul tema è distintamente di destra. La fondazione della famiglia Kushner, secondo quanto riferiscono i media israeliani, ha donato decine di migliaia di dollari a istituzioni in Cisgiodania, nonostante il fatto che il dipartimento di stato consideri da tempo gli insediamenti nella West Bank una barriera alla pace nella regione.
[…] David Friedman, che ha casa a Gerusalemme, ha anche operato, durante la campagna elettorale, come consigliere di Trump sul Medio Oriente e come collegamento con i sostenitori americani di Trump in Israele, rassicurandoli che, se eletto presidente, non avrebbe fatto pressioni su Israele per un accordo con i palestinesi e avrebbe spostato l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
[…] Chaim Levinson, un giornalista israeliano di lungo corso, mi ha detto da Tel Aviv che la destra, in particolare i coloni, erano “eccitati” per la nomina di Friedman. “Ma cosa significa? Significa che, per la prima volta, l’ambasciatore americani inizierà il mandato andando a visitare le colonie?”
[…] (sul sito dell’ultradestra Arutz Sheva) Friedman interviene con particolare fervore reazionario. Il presidente Obama, per lui, è colpevole di “clamoroso antisemitismo”. Il peccato di Obama, secondo lui, è non aver denunciato il terrorismo la propaganda antisemitica in circoli palestinesi. Che l’incartnazione delle notizie “bufala”."
Inquieta ma non sorprende quanto accade nel rapporto tra l’America di Trump e l’Israele di Bibi. Gli occhi sono puntati sulle ripercussioni in Medio Oriente, ma effetti collaterali molto seri e probabilmente profondi e duraturi sono già visibili nella comunità ebraica americana, più divisa che mai, divisioni che riflettono, sia pure in misura minore, quelle che sono evidenti anche in Israele, tra la granitica egemonia di Bibi e una flebile e divisa opposizione.
Gli ebrei americani sono tradizionalmente democratici. E anche nelle recenti presidenziali l’hanno confermato, dando il 75 per cento dei loro voti a Hillary e ai candidati dem al Congresso. E molti donor ebrei spiccano tra i finanziatori della campagna clintoniana.
Sul versante opposto, si sono mossi a sostegno di Trump donor molto munifici, alcuni dei quali sono molto influenti anche in Israele, a favore di Netanyahu. Tra questi soprattutto il magnate dei casino Sheldon Adelson e la moglie Miriam. Sono gli stessi che hanno alimentato campagne ostili verso la presidenza Obama, gli stessi che, in combutta con i parlamentari della destra più oltranzista, hanno organizzato l’incredibile performance di Netanyahu di fronte al Congresso, un discorso contro il disgelo con l’Iran, un’aperta intromissione nella politica della Casa Bianca.
Il sodalizio tra Bibi e questi settori conservatori ebraici in alleanza con la destra repubblicana e con la destra evangelica mette in evidente difficoltà una comunità ebraica non solo prevalentemente progressista ma nella quale una componente importante – intellettuali, accademici, giornalisti, gente dello spettacolo – considerano deleterio e distruttivo, per Israele stesso e per la diaspora, un rapporto simbiotico come quello che cercano di costruire personaggi come Bibi, Adelson e Friedman.
La frattura tra queste due visioni non è di oggi, accompagna la lunga fase del dominio incontrastato di Netanyahu in Israele. Ma se finora è stata prevalentemente oggetto di discussione all’interno della comunità ebraica, adesso, con Trump, la crisi esplode in tutta la sua gravità.

Fonte: Il manifesto 

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