di Michael Hardt
Molti autori americani hanno cercato di definire il problema delle conseguenze politiche del post-strutturalismo. Le loro ricerche hanno avuto esiti molto diversi, collocandosi all’interno di un ampio spettro politico. A dire il vero, non ci si dovrebbe aspettare di trovare una risposta chiara a un problema simile, che investe un ampio ambito teoretico. Ad esempio, negli ultimi centocinquant’anni, la filosofia di Hegel è stata il punto di partenza di una grande varietà di posizioni politiche, tanto reazionarie che progressiste, molte delle quali in aperto dissenso con la visione politica personale di Hegel. È ovvio che non è possibile ricavare la posizione politica, come se fosse una conseguenza necessaria di un corpusteoretico. Passando dalla teoria all’azione le vie perseguibili sono infatti molte. Per questo non serve a granché tentare una definizione anche generica della politica post-strutturalista o della politica della filosofia deleuziana.
È più appropriato e produttivo chiederci: cosa può offrirci il pensiero di Deleuze? Cosa possiamo farci? Ovvero, quali sono gli strumenti utili che la sua filosofia ci mette a disposizione per perseguire i nostri progetti politici? È con questo spirito che ho cercato di portare alla luce alcuni degli strumenti forniti da Deleuze per la costituzione di una democrazia radicale. Le distinzioni che ho cercato di sottolineare contrappongono la molteplicità di organizzazione alla molteplicità di ordine, i concatenamenti della potenza (les agencements de la puissance) ai dispositivi del potere (les dispositifs du pouvoir). Ognuna di queste distinzioni dipende da un concetto di costituzione che rimane latente, ma che è fondamentale nel pensiero di Deleuze. Da questa prospettiva, può aiutarci a sviluppare una concezione dinamica della società democratica come aperta, orizzontale e collettiva.
È più appropriato e produttivo chiederci: cosa può offrirci il pensiero di Deleuze? Cosa possiamo farci? Ovvero, quali sono gli strumenti utili che la sua filosofia ci mette a disposizione per perseguire i nostri progetti politici? È con questo spirito che ho cercato di portare alla luce alcuni degli strumenti forniti da Deleuze per la costituzione di una democrazia radicale. Le distinzioni che ho cercato di sottolineare contrappongono la molteplicità di organizzazione alla molteplicità di ordine, i concatenamenti della potenza (les agencements de la puissance) ai dispositivi del potere (les dispositifs du pouvoir). Ognuna di queste distinzioni dipende da un concetto di costituzione che rimane latente, ma che è fondamentale nel pensiero di Deleuze. Da questa prospettiva, può aiutarci a sviluppare una concezione dinamica della società democratica come aperta, orizzontale e collettiva.
Una visione della democrazia che per certi versi coincide con quella del liberalismo. Forse il principio più importante di una teoria liberale democratica è che i fini della società siano indeterminati, e quindi che il movimento della società sia aperto alla volontà dei membri che la costituiscono. La priorità del diritto sul bene è ribadita per garantire che il libero sviluppo della società non sia impedito o costretto da un telosdeterminato dall’esterno. Questo rifiuto politico della teleologia ci porta direttamente a un rifiuto filosofico dell’ontologia, perché l’ontologia stessa si presume porti con sé una determinazione trascendentale del bene. Allora, la deontologia sarà l’unica posizione filosofica in grado sostenere una società democratica aperta a una molteplicità di fini. I pensatori “liberal” che ragionano in questo modo hanno di fatto accettato troppo presto le affermazioni platoniche ed hegeliane sul nesso tra ontologia e teleologia sociale; sono ancora troppo legati alla logica delle contraddizioni, e quindi perdono importanti sfumature. In altre parole, a una visione ontologica all’origine una società chiusa e conservatrice, credono sia necessario opporre una teoria deontologica che consenta una società aperta e democratica. Ma non c’è bisogno di cadere nell’errore opposto, non c’è bisogno di rifiutare l’ontologia in quanto tale per affermare l’apertura dei fini nella società. La tradizione della metafisica occidentale non è un pezzo unico o un monoblocco, ma contiene al suo interno molte alternative radicali. (Il fatto che la tradizione appaia ad alcuni così scarsa di alternative è solo una prova della debolezza dell’indagine filosofica contemporanea). Quando Deleuze interroga Bergson, Nietzsche e Spinoza sta riaffermando e articolando una tradizione alternativa nella storia della metafisica occidentale, capace di presentare un’ontologia ma senza proporre alcuna carta teleologica, né alcuna determinazione dei fini. Ciò che Deleuze sviluppa coincide con la prospettiva “liberal” quando afferma l’indeterminatezza dei fini nella società democratica, che non per questo si configura come un rifiuto del discorso ontologico. L’essere di Deleuze è aperto all’intervento di creazioni politiche e cambiamenti sociali: questa apertura è proprio la “producibilità” dell’essere che ha ricavato dal pensiero scolastico. La potenza della società, per dirla in termini spinoziani, corrisponde alla sua potenza di essere affetta. La priorità del diritto o del bene non c’entra niente con la concezione di questa apertura. Ciò che è aperto, e ciò che connette ontologia e politica, è l’espressione della potenza: il libero conflitto e la libera composizione del campo delle forze sociali.
Questa organizzazione aperta della società deve essere distinta dalle strutture verticali dell’ordine. Per organizzazione qui non intendo un piano o un programma volto a ordinare le relazioni sociali, bensì un processo continuo di composizione e decomposizione attraverso gli incontri sociali su un campo di forze immanente. Lo skyline della società è perfettamente piatto, perfettamente orizzontale, nel senso che l’organizzazione sociale procede senza alcun disegno predeterminato, sulla base dell’interazione delle forze immanenti e può quindi, in linea di principio, essere ricondotta in qualsiasi momento al suo grado zero di uguaglianza, come schiacciata dall’instancabile pressione della forza di gravità. L’organizzazione porta con sé la potenza distruttiva del ritorno ai principi di Machiavelli. Il che non significa che non esistano le istituzioni (o altri esempi di verticalità), ma che esse ricevono una determinazione assolutamente immanente, e quindi rimangono sempre e completamente suscettibili di ristrutturazioni, riforme e distruzioni (nello spirito, ad esempio, della Comune, dove la rappresentanza era sempre soggetta a revoca immediata). I dispositivi, o dispiegamenti, strutturano l’ordine sociale dall’alto, da uno spazio di trascendenza esterna; gliagencements, assemblaggi o concatenamenti, costituiscono il meccanismo dell’organizzazione sociale dal basso, dal piano sociale immanente. L’orizzontalità della costituzione materiale della società si fonda sulla pratica come motore della creazione sociale. Una pratica politica di corpi sociali che libera le forze immanenti dalle strettoie di forme predeterminate per scoprire fini propri, inventare una propria costituzione. Ancora una volta, troviamo che la produttività dell’essere sociale corrisponde alla sua producibilità. La società orizzontale è il luogo aperto che favorisce la creazione pratica e la composizione, così come la distruzione e la decomposizione. Il modello di questa costituzione è l’assemblea generale, l’assoluta e uguale inclusione di tutto il piano immanente: la democrazia, come Spinoza insiste nel dire, è la forma assoluta di governo.
I processi di assemblaggio sociale, di costituzione sociale, sono indifferenti ai limiti posti dall’individualismo; o, più precisamente, i confini dei corpi sociali sono continuamente soggetti a cambiamento, così come la pratica dell’assemblaggio decompone certe relazioni e ne compone altre. Non c’è contraddizione, allora, tra individuale e collettivo: la costituzione della società si basa su una diversa assiologia. Il processo di concatenamento politico, la composizione di rapporti sociali gioiosi, si muove invece tra molteplicità e moltitudine. La pratica deleuziana dell’affermazione e della gioia, in altre parole, è diretta alla creazione di corpi sociali o piani di composizione sempre più potenti, che rimangono però aperti ad antagonismi interni, alle forze reali della distruzione e della decomposizione. L’assemblaggio politico è certamente un’arte, in quanto va continuamente rifatto, reinventato. La moltitudine è assemblata attraverso questa pratica come un corpo sociale definito da un insieme di comportamenti, bisogni e desideri comuni. È questa la prospettiva dalla quale Deleuze valorizza le forze vive della società che emergono dalle forze morte dell’ordine sociale, proprio come il lavoro vivo marxiano rifiuta di farsi succhiare il sangue dai vampiri del capitale che si alzano in volo. E questa qualità della vita è definita sia dalla potenza di agire che dalla potenza di essere affetti: un corpo sociale senza organi. La composizione o la costituzione della moltitudine non nega in ogni caso la molteplicità delle forze sociali, ma al contrario innalza la molteplicità ai più alti livelli di potenza.
È solo un accenno di politica democratica: restano da delineare i suoi meccanismi costitutivi con pratiche sociali concrete. Quello che Deleuze ci offre, in realtà, è un modo per orientarsi nella futura ricerca di forme concrete di architetture sociali. Sul piano politico, saranno la molteplicità delle pratiche sociali e dei desideri a dirci a quali condizioni composizioni o architetture sociali potranno realizzarsi. È questo il campo su cui il processo deve esplicarsi: l’assemblaggio avverrà a partire da corpi sociali con rapporti interni compatibili, con pratiche e desideri componibili. Nelle pratiche sociali esistenti, nelle espressioni affettive della cultura popolare, nelle reti di cooperazione lavorativa, dovremmo cercare di distinguere i meccanismi materiali di aggregazione sociale che possono costituire rapporti adeguati, affermativi e gioiosi: dunque concatenamenti potenti di soggettività. Completare il passaggio dalla molteplicità alla moltitudine resta per noi il compito fondamentale per una pratica politica democratica.
Queste sono le pagine conclusive del libro di Michael Hardt Gilles Deleuze. Un apprendistato in filosofia (ed. it. a cura di Girolamo De Michele, nuova edizione 2016 Derive e Approdi), ringraziando l’editore.
Fonte: Euronomade
Originale: http://www.euronomade.info/?p=7419
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