di Giosuè Baggio
Il 23 giugno i cittadini del Regno Unito hanno deciso con un referendum la probabile uscita del loro Paese dall’Ue. Allo sfortunato popolo britannico è stato posto un quesito che suona come un dilemma cinematografico o da gioco a premi «dentro o fuori», «noi o loro», «prendere o lasciare». Ma non é necessario che ogni referendum futuro sulla Ue sia così. Possiamo immaginare quesiti migliori. Una consultazione sulla forma istituzionale dell’Ue sarebbe la scelta migliore, prendendo come modello il referendum del 1946 in Italia su ‘monarchia o repubblica’. Noi cittadini avremmo così l’occasione di contribuire a disegnare l’Ue futura, senza che sulla nostra decisione pesi la paura di conseguenze immediate per il nostro Paese.
In un referendum il quesito é (quasi) tutto. Le nostre decisioni dipendono dalle opzioni disponibili. Ai cittadini britannici é stata proposta una scelta tra quello che loro giudicano un pessimo vino della casa (l’Ue così com’é) e la cara vecchia acqua (il Regno Unito così com’era o qualcosa del genere). Se Paesi il cui ordinamento lo permette volessero indire referendum simili, ai cittadini dovrebbero essere offerte opzioni migliori dell’acqua e di un mediocre vino della casa.
In un referendum il quesito é (quasi) tutto. Le nostre decisioni dipendono dalle opzioni disponibili. Ai cittadini britannici é stata proposta una scelta tra quello che loro giudicano un pessimo vino della casa (l’Ue così com’é) e la cara vecchia acqua (il Regno Unito così com’era o qualcosa del genere). Se Paesi il cui ordinamento lo permette volessero indire referendum simili, ai cittadini dovrebbero essere offerte opzioni migliori dell’acqua e di un mediocre vino della casa.
Tra le varie possibilitá due mi sembrano particolarmente attraenti. L’Ue nella sua forma attuale contiene istituzioni di varia natura – parte federali, parte intergovernative e parte sopranazionali. L’equilibrio tra le parti é instabile, come ci si può aspettare da un progetto in corso d’opera. L’esperienza ci insegna che le strutture federali (la Bce) funzionano meglio di quelle intergovernative (il Consiglio europeo), teatro di negoziazioni dettate da interessi nazionali o emergenze, quindi spesso lente e incapaci di progettualità. Allora si può andare in due direzioni. O ritornare alle origini dell’Unione adottando un modello intergovernativo leggero che salvaguardi il mercato comune e l’unione monetaria. Oppure riformare le strutture esistenti in senso federale. In entrambi i casi la sovranità degli Stati membri sarebbe tutelata, forse meglio che nel modello misto attuale. Quindi il quesito sarebbe «Ue intergovernativa o federale».
L’Europa si trova a un guado: può decidere di tornare alla sponda di partenza (adottando il modello intergovernativo) o di raggiungere la sponda opposta (modello federale). Non credo che i cittadini europei vogliano un secco ‘fuori’ ovvero nessun accordo di nessun tipo tra Paesi europei (pre-1951). Così non si raggiungerebbe nessuna sponda sicura: ci si abbandonerebbe alla triste forma di suicidio per annegamento scelta dal Regno Unito. I cittadini devono essere informati sulle opzioni possibili, e poi devono poter decidere liberamente. Se venisse indetto un referendum sulla forma istituzionale dell’Ue voterei ‘federale’ perché credo sia questo il modello giusto per incidere sul futuro del pianeta, e per risolvere problemi epocali come i cambiamenti climatici, le migrazioni, la sicurezza globale, le disuguaglianze e l’effetto delle nuove tecnologie sul lavoro e sul benessere delle persone. Ma potrei sbagliarmi, e aspetto di essere meglio informato dagli esperti sui costi e i benefici dei diversi modelli istituzionali per una possibile Ue futura.
Naturalmente un referendum di questo tipo dovrà essere preceduto da una campagna di informazione accurata e completa sulle diverse opzioni, e da una discussione pubblica rigorosa in cui si ascoltino innanzitutto gli esperti. Esattamente quanto non é successo nel Regno Unito. Nel frattempo l’Ue dovrebbe adottare misure eccezionali per ridurre la disoccupazione e per contenere le crisi migratorie e politiche ai suoi confini. Una finestra temporale di 2 o 3 anni potrebbe bastare, per poi dare la parola ai cittadini.
Fonte: Il manifesto
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