di Carlo Clericetti
Che le previsioni sull'economia siano poco attendibili ne abbiamo avuto infinite prove. Che siano state spesso "aggiustate" per infondere fiducia negli operatori - quelle per l'anno successivo indicano quasi sempre un miglioramento, a volte marcato, salvo poi correggerlo pochi mesi dopo - è palese. Che i governi (tutti i governi) nei loro documenti di bilancio stiracchino questo o quel dato per avere i risultati di crescita, inflazione e deficit desiderati, è anche questo scontato. Ora però siamo ad un salto di qualità: siamo alle previsioni che fanno terrorismo economico a fini politici. La prima prova è stata in occasione del referendum inglese. Quasi tutti i centri di previsione pubblici e privati hanno fatto a gara, nel periodo che ha preceduto il voto, nel disegnare scenari catastrofici in caso di vittoria del Brexit.
Naturalmente è presto per affermare senza ombra di dubbio che erano sbagliati, ma nei prossimi mesi avremo modo di darne un giudizio più meditato. Al momento non sembra proprio che si sia scatenata una crisi sistemica, come pure qualcuno si era spinto a paventare. E questo nonostante il risultato a sorpresa. La cosa più probabile è che ci siano effetti sull'economia del Regno Unito, ma con una influenza esterna trascurabile.
Naturalmente è presto per affermare senza ombra di dubbio che erano sbagliati, ma nei prossimi mesi avremo modo di darne un giudizio più meditato. Al momento non sembra proprio che si sia scatenata una crisi sistemica, come pure qualcuno si era spinto a paventare. E questo nonostante il risultato a sorpresa. La cosa più probabile è che ci siano effetti sull'economia del Regno Unito, ma con una influenza esterna trascurabile.
Oggi assistiamo a un altro splendido esempio di uso politico delle previsioni, con quelle diffuse da Confindustria. La stima di crescita per quest'anno viene quasi dimezzata, dall'1,4 allo 0,8%. Colpa del Brexit? Ma no, colpa dell'eccesso di ottimismo delle previsioni precedenti, peraltro sensibilmente più alte di quelle di altri previsori. Il Brexit, lo dice lo studio stesso, quest'anno peserebbe solo per un -0,1. Praticamente nulla. L'anno prossimo, invece - sempre secondo Confindustria - provocherebbe una perdita di mezzo punto secco. Bella scusa per recuperare rispetto al dato troppo rosa del precedente esercizio.
Ma dove Confindustria dà il meglio - si fa per dire - è nelle stime di quello che accadrebbe se al referendum sulle riforme istituzionali vincesse il "no". Caos, recessione, crollo degli investimenti e dell'occupazione, impennata della povertà. Insomma, uno sconquasso, secondo la ben nota teoria thatcheriana del TINA (there is no alternative). Cari concittadini, ma davvero volete esprimervi sul problema se questo cambiamento della Costituzione sia opportuno o no, se la cambi in meglio o in peggio? Fate pure, ma sappiate che se lo bocciate la pagherete cara, ai mercati quella scelta non piacerebbe. Di sicuro non piace al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che nei giorni scorsi ha espresso tutto il suo appoggio alla riforma renziana, anche se è "senz'altro migliorabile". Non vogliamo immaginare come la migliorerebbe Boccia: magari ispirandosi all'ormai famoso documento della JP Morgan.
Ci permettiamo di dare un suggerimento a Confindustria. Faccia un'altra previsione, ipotizzando una riforma costituzionale che abolisca i sindacati e il diritto di sciopero, preveda un governo forte che faccia quel che vuole senza che il Parlamento possa ostacolarlo troppo, restringa la possibilità di attuare qualsiasi protesta. Scommettiamo che ne uscirebbe un'impennata degli investimenti e un Pil al galoppo?
Invece che alla Thatcher e alla sua TINA preferiamo rifarci alla Genesi e al racconto delle disavventure di Esaù, quello che per un piatto di lenticchie cedette la primogenitura. Non fece un buon affare, anche se sul momento placò la fame.
Fonte: La Repubblica - blog Soldi e Potere
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