di Felice Besostri
Dopo il 20 D eravamo tutti qua ad aspettare la prova d’appello del 26 J, come usano gli spagnoli indicare le elezioni. Le persone normali in Spagna speravano di capire se dalle elezioni sarebbe uscito un governo, ma i media hanno dedicato più spazio al tema del sorpasso a sinistra: sarebbe riuscito Pablo Iglesias con Unidos Podemos a superare il Psoe. Era stato previsto dai sondaggi d’opinione, compresi quelli pubblicati il giorno delle elezioni dal Periodic d’Andorra. Il Principato d’Andorra è estero e quindi non soggetto alla legge spagnola, che proibisce la pubblicazione di sondaggi nei giorni precedenti al voto. Un sondaggio serio, aggiornato all’esito della Brexit del 23 giugno precedente.
I sondaggi avevano previsto il sorpasso del Psoe da parte di Podemos già il 20 dicembre 2015, anzi alcuni davano il Psoe superato anche da Ciudadanos. Non è stato così: il Psoe si confermò il secondo partito in voti (5.545.315), seggi (90) e in percentuale(22%), mentre Podemos in tutte le sue 4 articolazioni era terzo con 5.369.391 voti, 69 seggi e il 20,69%. Tuttavia a sinistra i rapporti sarebbero stati altri, con una diversa legge elettorale, poiché quella vigente privilegia le piccole circoscrizioni quindi o i partiti presenti in forza su tutto il territorio nazionale ovvero i partiti regionalisti, mentre punisce i partiti distribuiti su tutto il territorio nazionale con percentuali sotto il 10%. IU unita con 926.783 voti e il 2,68% aveva soltanto 2 deputati tutti eletti a Madrid.
L’abilità tattica di Iglesias – che aveva rifiutato l’alleanza con IU nel 2015, preferendo quella con formazioni regionali in Catalogna, Galizia e Paese Valenziano – per le elezioni 2016 fa un’alleanza generalizzata con IU e si forma Unidos Podemos: il sorpasso in voti (6.291.174) e in percentuale (24,36%) era assicurato in partenza con i dati 2015. I seggi in più avrebbero come le salmerie seguito l’esercito vittorioso e infatti i sondaggi andorrani davano una forchetta di 83-87 seggi, la stessa del Psoe, ma con una perdita di seggi ed in percentuale di quest’ultimo. A urne aperte i socialisti e Unidos Podemos avrebbero potuto mettere la firma ad un risultato conforme a quelle previsioni anche con tutte e due le formazioni al loro livello più basso. Avrebbero avuto 166 seggi perciò in grado di competere con un’alleanza di destra-centro, PP- Ciudadanos, di 169 seggi.
Invece il disastro: il Psoe guadagna in percentuale lo 0,67%, ma perde 5 seggi e Unidos Podemos ritorna con gli stessi seggi del 2015 cioè 71 e in percentuale, con il suo 21,11%, perde il 3,25% quasi coincidente con la diminuzione dei votanti in percentuale -3,36%: una debacle. La sinistra avrebbe capitalizzato la voglia di governabilità, se si fosse presentata con una proposta unitaria e credibile. Non è stato così perché da bordo campo, anche nel girone italiano, a sinistra si era come ipnotizzati dal tema del sorpasso. Il sorpasso c’è stato a destra, che ora può contare con 169 seggi, a -7 dalla maggioranza assoluta, mentre la sinistra ne ha 156, cioè è a -20.
A sinistra si è ragionato in puri termini di partito con eccessi di aggressività da parte di settori irresponsabili di Podemos, malgrado un discorso distensivo di Pablo Iglesias ma troppo in ritardo. Quando il tema principale era il sorpasso una maggioranza numerica non sarebbe diventata politica come anche è servito poco definire Podemos come «socialdemocrata», ma anche «patriotico» e «plurinacional». Non ha conquistato simpatie socialiste, ma ha allontanato gli elettori comunisti di IU: non è un caso che le perdite maggiori si siano registrate a Madrid, la circoscrizione dove IU era più forte e dove aveva eletto i suoi deputati. Da altro lato il «patriotico» spiega le perdite nei Paesi Baschi e in Catalogna. Il Psoe non è più il primo partito nelle sue roccaforti come l’Andalusia e l’Estremadura resta il primo partito in tre circoscrizioni, quando Podemos è il primo nel Paese Basco e in due province su 4 della Catalogna. Le restanti sono di Esquerra Republicana.
Se la sinistra si perde come identità alternativa alla destra è anche e definitivamente perdente. Un problema soltanto spagnolo? No di certo, europeo.
Con il XXI° secolo finisce l’epoca socialdemocratica: nel 1999, erano primi ministri dell’Ue a 15 ben 13 socialisti e il 14° era Prodi. Quella socialdemocrazia era comunque di segno ben diverso (Terza Via, Nuovo Centro) da quella dei trentanni gloriosi del secondo dopoguerra, di espansione del Welfare e dell’intervento pubblico in economia frutto delle conquiste politiche e sindacali del movimento dei lavoratori. La divisione dell’Europa in occidentale e orientale e la concorrenza di modelli economico-sociali aveva obiettivamente favorito la concessione di benefici, che, con il crollo del muro di Berlino e la conseguente disgregazione del blocco orientale, non apparivano più necessari agli occhi di un capitalismo, cui si aprivano nuovi mercati non regolati.
Paradossalmente l’incorporazione nel processo europeo, in condominio con quello atlantico, dei paesi ex Comecon/Patto di Varsavia, spostava destra gli equilibri politici europei: sopravvive un solo primo ministro socialdemocratico, lo slovacco Robert Fico, che sul dossier migranti fa concorrenza ad Orban. La crisi economico-finanziaria toglieva ulteriore spazio a politiche espansive, anzi l’attacco al welfare, ai livelli occupazionali e al potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati è diventato sempre più brutale e si accompagna ad una riduzione degli spazi di libertà e democrazia. In questo contesto i rovesci elettorali dei partiti del Pse ne riducono l’influenza e ne accentuano la loro subordinazione.
Con altrettanta chiarezza occorre constatare che la perdita di consensi non si trasferisce a forze alla loro sinistra, salvo che in una fase iniziale in Grecia con Syriza, grazie anche al suicidio del Pasok favorito dall’assenza di ogni solidarietà dei partiti fratelli. In un contesto di offensiva di destra conservatrice con il Ppe alla testa e populista xenofoba, chi abbia l’egemonia a sinistra non è la questione principale, ma quella della costruzione di un «Frente Amplio», Fronte Popolare appare un’espressione troppo datata, anche se renderebbe meglio la drammaticità della situazione. In questo Fronte alla sinistra spetterebbe di portare attenzione non solo al contingente, ma al modello economico-sociale, che funge da incubatore e propulsore alla riduzione della democrazia, alla libertà e alle condizioni di vita della stragrande maggioranza dei cittadini: in altre parole ritrovare la ragione del suo essere.
Fonte: il manifesto
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