di Chiara Cruciati
Un anno fa, il 20 luglio 2015, a Suruc un kamikaze inviato dall’Isis si faceva saltare in aria portando con sé 33 giovani turchi in partenza per Kobane con medicinali e giocattoli. Quella strage contro la meglio gioventù turca fu abilmente sfruttata dal presidente Erdogan per fingere di lanciare un’operazione contro lo Stato Islamico nel nord della Siria. Fu ben altro: una campagna brutale contro il Kurdistan. Non stupisce, dunque, il timore che serpeggia tra i kurdi turchi: che l’attacco all’aeroporto Ataturk si traduca in un inasprimento di quella campagna, usando ancora come scusa la guerra al terrore islamista. «Difficile che distruggano più di così le città kurde. Le hanno già rase al suolo».
Ari Murad, attivista kurdo-iracheno, regista e giornalista, da tempo impegnato in tutto il Kurdistan storico per coprire le violenze contro il suo popolo, prova a usare l’ironia.
Ari Murad, attivista kurdo-iracheno, regista e giornalista, da tempo impegnato in tutto il Kurdistan storico per coprire le violenze contro il suo popolo, prova a usare l’ironia.
La repressione del sultano la conosce bene: è stato bandito dalla Turchia, porte chiuse a causa della sua attività politica: «I media sono sempre stati censurati, a volte con più vigore, altre con meno – ci spiega – Siamo nel 2016 e la maggior parte dei turchi si informa su internet. Allora il governo censura Facebook e Twitter: molti attivisti kurdi informano online e vengono costantemente bloccati dai social network. Io avevo un account Facebook seguito da 500mila utenti. È stato cancellato».
Ari ci manda una delle foto che il social network di Zuckerberg gli ha recentemente rimosso dal profilo: una giovane kurda che sorride. Sopra il giornalista aveva dato il buongiorno alle Ypg, le unità di difesa popolari kurde, in lotta contro l’Isis. «Rimuovono i nostri account ma non quelli dei jihadisti», aggiunge con amarezza.
Ora potrebbe peggiorare, soprattutto per chi rappresenta un’alternativa alla distruzione portata dall’Akp, il partito di opposizione Hdp: «Già nell’estate del 2015, quando l’Hdp superò lo sbarramento elettorale, lo Stato turco arrestò alcune figure chiave del partito. L’Hdp è una federazione di armeni, comunisti, indipendenti, kurdi. Una minaccia. Penso che ora, dopo aver distrutto le città kurde, il governo approfitterà della lotta al terrorismo per dividere l’Hdp. Come? Finanziando gruppi islamici radicali che lo attacchino, come Huda-Par, e dichiarandolo illegale come altri 9 partiti kurdi prima di lui».
E in Siria? L’altro grande timore è che, usando come copertura azioni contro l’Isis nel nord della Siria (le stesse cellule che finora si sono ingrassate di uomini e armi con il sostegno di esercito e servizi turchi), Ankara possa realizzare il suo vero obiettivo: fermare Rojava, spezzare quel corridoio di territorio lungo la frontiera turco-siriana in cui il progetto confederale del Pyd si concretizza. «Lo Stato turco sfrutterà l’attentato dell’Isis a Istanbul per aggredire il nord della Siria», prevede Ari, che però non nasconde la sua speranza: «Non ce la farà: le Sdf [le Forze Democratiche Siriane, federazione di kurdi, arabi, assiri e turkmeni, ndr] e le Ypg chiuderanno quel corridoio. Ankara non può fare nulla, perderà. Erdogan lo sa e cerca di ricucire con Israele, Russia, Iran: sa di essere isolato come sa di avere dietro di sé un popolo furioso. L’Akp ha vinto le elezioni promettendo buone relazioni esterne e stabilità».
Niente di tutto ciò, solo guerra. Ne è convinto anche Irfan Aktan, giornalista kurdo-turco dell’agenzia al-Monitor: «Nella mente dell’Akp – spiega almanifesto – se si prosegue la campagna anti-Pkk la maggioranza dei turchi ignorerà l’incapacità del governo nelle altre questioni. Non è un caso che ad ogni attentato dell’Isis le operazioni contro i kurdi, in nord Iraq e nel sud est della Turchia, si intensifichino: Erdogan prova a tenere occupata l’opinione pubblica. Ma ormai ha perso credibilità».
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.