di Marina Turi e Massimo Serafini
È indubitabile che le destre, in particolare il Pp di Rajoy, abbiano vinto le elezioni spagnole. Poco importa che il voto confermi le grandi difficoltà di chi ha vinto di dare un governo stabile alla Spagna, anche perché ora è un problema solo per le destre, visto che un governo di sinistra, possibile dopo il voto di dicembre, è stato pressoché cancellato dal nuovo voto. Come era ovvio il dibattito fra gli sconfitti, le sinistre, è già cominciato. Il mancato sorpasso di Unidos Podemos sul partito socialista viene spiegato con l’effetto negativo del referendum inglese, la forza della rete clientelare e di potere del Partito Popolare e del Psoe, la forte conflittualità a sinistra, il carattere troppo verticistico ed elettoralistico dell’accordo unitario fra Podemos e Izquierda Unida.
Sono argomenti che aiutano a capire, ma non spiegano perché Unidos Podemos ha sottovalutato il contesto globale sul voto. La vittoria del Brexit, l’insicurezza diffusa e la prevalente reazione razzista alla crisi migratoria avrebbero dovuto far capire che l’appeal prevalente in Europa è quello di una destra più dura, decisionista e ancora più liberista, una destra che risponde all’insicurezza, seminata anche dal terrorismo.
Sono argomenti che aiutano a capire, ma non spiegano perché Unidos Podemos ha sottovalutato il contesto globale sul voto. La vittoria del Brexit, l’insicurezza diffusa e la prevalente reazione razzista alla crisi migratoria avrebbero dovuto far capire che l’appeal prevalente in Europa è quello di una destra più dura, decisionista e ancora più liberista, una destra che risponde all’insicurezza, seminata anche dal terrorismo.
Tutto ciò rende più chiari i limiti di espansione di ciò che viene considerata la positiva diversità spagnola e cioè l’essere, dopo la Grecia, l’unico paese europeo in cui la protesta non ha prodotto né il ritorno a nazionalismi, né a generici populismi e antipolitica, ma un movimento come quello degli indignados, da cui è partito Podemos.
L’energia di questo movimento e la sua capacità di modificare i rapporti di forza nella società spagnola è stata oggi sopravvalutata da chi ha pensato che Unidos Podemos sarebbe stato il partito più votato della sinistra e per questo in grado di trascinare il Psoe in un governo di sinistra, come quello nato in Portogallo. Ci si è fidati dei sondaggi che questo scenario da mesi confermavano.
Un’analisi più attenta dei rapporti di forza reali avrebbe forse aiutato di più a capire i limiti del movimento 15M del 2011. Sicuramente ha cambiato nel profondo la Spagna delle grandi città, non a caso oggi governate da sindache e sindaci che ad esso si ispirano, ma quel vento di cambiamento non è riuscito a incidere nelle province, non ha scalfito la rete clientelare su cui il PP, ma anche il Psoe, perpetuano da sempre il loro consenso. L’indignazione diffusa del 2011 non si è fermata, ma si è divisa in tante maree, dalla difesa della scuola e sanità pubblica a quella contro gli sfratti, da quella per un nuovo modello energetico alla diffusa mobilitazione contro la violenza machista.
Queste lotte non hanno incontrato un progetto che le unificasse e la difficoltà di Podemos ad animare questo progetto misura con maggiore precisione lo scarto fra ciò che raccontavano i sondaggi e ciò che è uscito dalle urne. Il frequente richiamo di Monedero, uno dei fondatori di Podemos, di un ritorno alle origini, riprendendosi strade e piazze, di andare oltre sorrisi e spot televisivi, coglie questo problema. Un ritorno tanto più necessario perché mentre si discute del cattivo risultato si materializza anche l’iniziativa dei vincitori, cioè le destre, che useranno il governo per imporre i nuovi tagli a pensioni, sanità e scuola pubblica, richiesti da Bruxelles in nome del dogma del pareggio di bilancio.
Il successo elettorale spingerà Rajoy, o chi per lui, a confermare che la Spagna proseguirà con la legge sul lavoro che ha consegnato alla precarietà un’intera generazione, continuerà a privilegiare un vecchio modello energetico fossile che espone alle conseguenze del cambio climatico, riprenderà l’attacco all’autodeterminazione delle donne.
La discussione che si è aperta non può evitare di misurarsi con questo contesto sociale. Discutere anche animatamente, ma con lo sguardo rivolto alla società per trasformare i voti in conflitti e pratiche collettive sugli obiettivi che erano al centro del programma con cui Podemos chiedeva voti per governare.
La convergenza con il Psoe, auspicabile per realizzare un governo delle sinistre, va ora ricercata per una comune opposizione alle scelte delle destre. Sarebbe di corto respiro augurarsi che il Psoe sostenesse la grande coalizione che Rajoy auspica. Certo consegnerebbe definitivamente a Unidos Podemos la rappresentanza del popolo di sinistra, ma rischiando di ridurla a semplice testimonianza, perché creerebbe difficoltà a costruire una opposizione forte alle politiche delle destre, consolidando i rapporti di forza usciti dalle elezioni.
La risposta più efficace al parziale insuccesso elettorale è far vivere dall’opposizione il programma di trasformazione della Spagna. Una sfida credibile se alla delusione del risultato subentrerà anche la consapevolezza che avere raccolto il consenso di oltre cinque milioni di persone, oltre il 20% della società spagnola, è comunque un risultato straordinario da cui questa sfida può partire.
Fonte: il manifesto
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