di Carmine Tomeo
La telefonata della - ormai ex - ministra per lo Sviluppo Economico, Federica Guidi al proprio compagno, ha messo in luce mani che, come diceva Gramsci, "non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva”.
In quella telefonata, che le è costata le dimissioni, Federica Guidi informava il fidanzato che l’emendamento su Tempa Rossa sarebbe passato. Il compagno della ministra è titolare della ITS S.r.l., che si occupa di attività di costruzione, avviamento, manutenzione ed esercizio impianti chimici, petrolchimici, petroliferi, farmaceutici e di produzione di energia. Quell’emendamento era stato bocciato con lo Sblocca Italia e poi fatto passare con la Legge di Stabilità 2015, per rendere molto più semplice la realizzazione di opere estrattive di gas e petrolio. Tempa Rossa, il progetto estrattivo della Total in Basilicata, poteva così essere sbloccato, ciò di cui avrebbe beneficiato anche Eni, dal momento che la raffinazione del greggio sarebbe avvenuta nel proprio impianto di Taranto. Insomma, stando agli inquirenti, quegli interessi privati sarebbero stati favoriti da un potere politico compiacente.
Con quell’emendamento, "le opere e le infrastrutture necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria”, oltre “alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate fuori dal perimetro delle concessioni di coltivazione", sono assimilate alle opere strategiche. In questo modo, su quelle opere il via libera definitivo sarebbe stato rilasciato proprio dal ministero fino a qualche giorno fa guidato da Federica Guidi e si sarebbero potuti superare immediatamente gli “intralci” che i movimenti ambientalisti ponevano nell’iter di autorizzazione, che denunciavano gravi rischi di ambientali.
Nonostante tutto, la sfacciataggine del potere politico è tale che Renzi e la ministra Boschi non tentano di fornire giustificazioni: al contrario, attaccano la magistratura e rivendicano il ruolo da loro assunto nella vicenda, seppure messo a nudo nei loro intrecci con gli interessi di pochi privati a scapito di quelli collettivi. E così, quasi in coro, si affrettano a dire che quel provvedimento è “sacrosanto” perché “dà posti di lavoro”. Fateci caso, l’argomento è lo stesso che Renzi ed il Pd stanno usando per far fallire il referendum del 17 aprile.
Ecco, con il referendum del 17 aprile, noi vogliamo preoccuparci di disfare quella “tela della vita collettiva” che petrolieri ed un compiacente potere politico tessono per realizzare i loro interessi; vogliamo impedire a quelle mani di tessere liberamente.
Questa deprecabile vicenda dovrebbe perciò dimostrare quanto esiziale sia fare le pulci al referendum No Triv. La rilevanza politica e strategica del referendum, supera e di molto quelli che sono considerati i suoi limiti “tecnici” secondo i quali, e cadendo in errore, il referendum non servirebbe a niente o all’erronea considerazione che tanto già oggi non si possono realizzare nuove trivellazioni entro le 12 miglia. Queste argomentazioni, già poco fondate dal punto di vista concreto, risultano molto spesso prive di qualsiasi validità politica, che invece non può essere ignorata, come dimostra l’inchiesta su Tempa Rossa che ha coinvolto il governo Renzi.
La pignoleria su questo o quel punto del referendum non farebbe altro che dare un alibi a chi sta fermo o fa finta di niente; a quelli che "tanto il mondo ha sempre girato così e non puoi farci niente". Ma proprio quando “la massa ignora, perché non se ne preoccupa" sono più facilmente possibili commistioni tra governo e padroni; l’uso del potere politico per gli affari privati.
Anche per questo, il 17 aprile andremo a votare Sì. E con la consapevolezza che Renzi teme che questo referendum possa rappresentare una ripresa dell’interesse di popolo per le proprie sorti, che con il referendum costituzionale del prossimo ottobre potrebbe far fallire il progetto del governo Renzi di riformare in senso antidemocratico la Costituzione.
Fonte: La Città futura
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