di Edoardo Zanchini
Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati al voto per un referendum che riguarda le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, più precisamente la durata delle concessioni nelle acque territoriali italiane entro le dodici miglia dalla costa. Ma questo referendum va ben oltre il tema delle trivellazioni. Questo voto, ostacolato dai tempi imposti dal Governo e dalla complessità del quesito, è anche una straordinaria occasione per mettere finalmente al centro del dibattito pubblico il tema energetico e ambientale.
Un’occasione per ricordare al nostro Governo l’urgenza e l’importanza di dotare questo paese di una Strategia energetica nazionale all’altezza delle sfide attuali in linea con gli impegni presi a livello internazionale, a partire dalla COP21. C’è infatti una cosa che Renzi non ci ha ancora detto dopo aver sottoscritto gli accordi di Parigi: come intende portare il Paese fuori dall’era dei fossili e verso un futuro 100% rinnovabile? Dopo i proclami, quali sono le politiche concrete che intende adottare?
Sì, perché il tema energetico, e quello ambientale più in generale, sono ormai questioni centrali nella guida di un paese e rimandano direttamente alle dimensioni dello sviluppo economico ed occupazionale.
Sì, perché il tema energetico, e quello ambientale più in generale, sono ormai questioni centrali nella guida di un paese e rimandano direttamente alle dimensioni dello sviluppo economico ed occupazionale.
Ci sono due fantasmi che in questi giorni i detrattoti del referendum stanno agitando: uno è quello della perdita dei posti di lavoro, l’altro è l’indipendenza energetica del Paese. E allora vale la pena sfatare subito il primo di questi miti: il 17 aprile, una vittoria del “Sì”, non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Semplicemente perché le concessioni tornerebbero alle scadenze (fino a 30 anni) che avevano prima che la Legge fosse cambiata con un blitz del Governo, e come è normale per ogni attività che utilizza beni pubblici in Europa. Le aziende già conoscevano queste date e come Paese ci siamo impegnati con accordi internazionali a costruire una transizione che ci dovrà portare a ridurre l’utilizzo di fonti fossili.
L’altro tema caldo è quello dell’indipendenza energetica del Paese, e qui il problema sta nel fatto non è estraendo in casa irrisorie quantità di fossili (il 3% del gas che utilizziamo e l’1% del petrolio) che saremo indipendenti dalle dinamiche geopolitiche e dei mercati internazionali. Solo liberandoci dalla dipendenza dei fossili e puntando verso l’efficienza energetica, il risparmio, l’autoproduzione distribuita e democratica, la produzione da fonti rinnovabili, noi potremo essere liberi dalle tensioni dei mercati internazionali e soprattutto mettere fine al nostro “contributo da consumatori” alle guerre del petrolio che devastano ormai ampie zone del nostro pianeta.
Sogni impossibili? Mica è vero, già oggi per produrre energia elettrica in Italia al posto del gas si utilizza per il 7% il biogas prodotto da impianti, che trasformano attraverso un processo di digestione anaerobica, rifiuti e scarti agricoli o industriali. E questa prospettiva può diventare ancora più interessante se si potesse immettere nella rete di Snam questo biogas, come avviene in Germania dove gli occupati nel settore sono quasi 100mila. Il problema è che in Italia è vietato, per ragioni tecniche che nascondono la pressione di chi non vuole la concorrenza delle rinnovabili.
Il referendum è uno scontro tra interessi e visioni del futuro. Un esempio sono le condizioni economiche uniche al mondo di cui può godere nel nostro Paese per chi vuole estrarre petrolio e gas. Le royalties, ossia il canone che si paga sull’estrazione, sono davvero irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per il petrolio in mare. Inoltre in base alle leggi italiane, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare.
L’effetto è che nell’80% delle piattaforme oggetto del referendum, ossia quelle entro le 12 miglia, non si paga! La scelta del 17 aprile assomiglia molto al referendum sul nucleare o, ancora prima, a quello sul divorzio. Non è il quesito (come sempre incomprensibile) a cui bisogna guardare, ma a quanto una vittoria del “Sì” potrebbe determinare per le scelte che riguardano il nostro futuro. A Parigi, nella conferenza sul Clima, l’accordo internazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra ha messo le fonti fossili dalla parte sbagliata della storia. Ora sta a noi scegliere di avviare la transizione a un modello sempre più incentrato sulle rinnovabili, attraverso una innovazione diffusa che è nell’interesse dei cittadini oltre che del clima.
Fonte: cinaforum.net
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