di Roberto Romano
Aprile è un mese complicato per tutti i ministri economici europei, soprattutto se le previsioni economiche formulate solo qualche mese addietro saltano clamorosamente. Le stime di crescita dell’Italia per il 2016 scendono all’1,3%, ma lo zero virgola è il risultato più probabile, con delle implicazioni sui conti pubblici dirompenti. Possiamo tagliare la spesa pubblica per tutti i miliardi che “vogliamo”, ma se il denominatore (Pil) non si muove verso l’alto, bruciamo miliardi che potevano essere utilizzati per affrontare alcuni problemi di struttura del Paese. Per esempio, ieri l’Istat ha ricordato che il Pil del Mezzogiorno è pari alla metà di quello del nord-ovest.
Il governo si arrampica sui vetri. Il ministro Padoan sostiene che «nel Def l’insieme delle misure introdotte potranno generare una crescita aggiuntiva dello 0,2% del Pil rispetto allo scenario base e fino all’1% in più sul lungo periodo». Senza discutere gli effetti sulla crescita di lungo periodo delle misure dei governi Monti-Letta-Renzi, teoricamente l’Italia dovrebbe essere la locomotiva europea stando agli effetti indicati nei provvedimenti adottati, la crescita del Pil per il 2016 sarà molto più bassa che quella scritta. Nel Def sarà scritto che il Pil cresce dell’1,3%; diversamente sarebbe costretto a misure “devastanti” per soddisfare i così detti vincoli del Patto di Stabilità europeo: rapporto deficit-Pil, debito-Pil e, in particolare, il pareggio di bilancio di medio periodo, senza contare che all’appuntamento mancano ancora 15 e più miliardi di clausola di salvaguardia – maggiorazione di Iva e accise – utilizzata come copertura per i provvedimenti in deficit del governo Renzi.
All’interno di questo triste scenario, come non richiamare Frankenstein Junior (Dr. Frankenstein: Che lavoro schifoso! Igor: Potrebbe esser peggio. Dr. Frankenstein: E come? Igor: Potrebbe piovere!), il rapporto annuale della Bca e, in particolare, la premessa di Mario Draghi afferma che: «Il 2016 non sarà meno foriero di sfide per la BCE. Le prospettive per l’economia mondiale sono circondate da incertezza. Dobbiamo fronteggiare persistenti forze disinflazionistiche. Si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi shock». Sempre Draghi scrive che «a fine anno abbiamo ricalibrato la nostra politica per fronteggiare nuovi effetti avversi derivanti dagli andamenti economici mondiali, che hanno spinto al ribasso le prospettive di inflazione. Questi effetti avversi si sono intensificati agli inizi del 2016, rendendo necessario, da parte nostra, un orientamento ancora più espansivo della politica monetaria».
Il richiamo alla politica economica non è nuovo. Da qualche tempo Bce, Ocse e Fmi, almeno a livello ufficiale, spingono per delle politiche espansive e nuovi investimenti pubblici. L’Ocse si è spinta oltre sostenendo la necessità di investimenti intelligenti per creare lavoro intelligente (Oecd Interim, economic Outlook, 18 febbraio 2016).
Se il richiamo a delle politiche economiche all’altezza è via via più persistente, in assenza di politiche pubbliche coerenti si sta manifestando uno strano fenomeno: nel 2015 le banche centrali mondiali hanno incrementato le loro riserve auree come solo un’altra volta nella storia recente, nonostante lo scorso anno sia stato un anno di ribasso per il prezzo dell’oro. Recenti report (Forexinfo.it) hanno testimoniato un acquisto netto di 483 tonnellate di oro da parte delle banche centrali durante il 2015, la seconda più grande accumulazione degli ultimi decenni.
Non è che le banche centrali comprano oro contro le loro stesse politiche? Infatti, laddove le politiche monetarie non riescano a raggiungere i propri obiettivi, in questa situazione è difficile che possano avere successo, la presenza di un gran numero di riserve auree all’interno di una banca centrale può costituire un motivo di fiducia per quell’area economica. Una banca centrale inefficace ma con grandi riserve auree ispira maggiore fiducia di una banca centrale incapace di raggiungere i risultati sperati e priva del bene rifugio.
La Bce e in particolare la Banca d’Italia hanno una bella quantità di oro. Romano Prodi aveva suggerito la vendita – una parte – delle riserve auree per sostenere gli investimenti necessari per affrontare la crisi economica. Questa proposta non è mai stata presa in seria considerazione, salvo che per una discussione una tantum. A pensare male si fa peccato, ma spesso s’indovina. Se le banche centrali non si fidano più della politica?
Fonte: il manifesto
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